Sembra che solo i falchi possano raggiungere ed espugnare il maniero medievale che dall’alto dei 256 metri del cono vulcanico su cui venne edificato, sovrasta e domina i quattro chilometri di pianura che lo dividono dal centro abitato di Siliqua, nella provincia di Cagliari. Sono proprio i falchi pellegrini a librarsi nel vento oggi, come quando il castello di Acquafredda era abitato dai soldati e questi volatili erano loro fidi compagni di caccia.
Definito Monumento Naturale con decreto legge nel 1993, è corretto supporre che dovesse essere stato edificato almeno dal 1215, anno in cui viene citato in una Bolla di papa Gregorio IX. Nonostante ciò la costruzione del castello viene convenzionalmente attribuita a Ugolino Della Gherardesca conte di Donoratico. I più famosi inquilini del maniero di Acquafredda furono proprio il pisano Conte Ugolino e la sua progenie che lì si insediarono nel 1257 alla caduta del Giudicato di Cagliari. La morte cruenta del Conte, accusato di aver complottato ai danni dei ghibellini di Pisa, farà di lui l’eterno protagonista del XXXIII Canto dell’Inferno di Dante. Il forte di Acquafredda è stato un crocevia particolarmente prezioso: da lì si aveva il controllo e l’accesso alle risorse minerarie del sud ovest della Sardegna. Al termine della gestione pisana fino al 1410 il maniero diverrà degli Aragonesi, dopo di allora passerà di proprietà da una famiglia feudataria a un’altra, fino al suo riscatto avvenuto nel 1785 per mano di Vittorio Amedeo, re di Sardegna.
Il castello di Acquafredda è famoso per non essere mai stato espugnato da alcun esercito nemico: la strategia che veniva posta in essere per riuscire a conquistarlo era quella di “affamare” i soldati presenti all’interno della fortezza. L’isolamento del castello e la difficoltà di giungervi erano visti come un punto di debolezza da sfruttare per motivi bellici. Il maniero però era strutturato in maniera tale da essere sì inaccessibile, ma al tempo stesso autosufficiente per resistere proprio a questo tipo di attacchi, basti pensare alla presenza di ben quattro cisterne per l’acqua. Solo un folle, Brigata, riuscì a entrare, ma venne appeso al mastio e il suo corpo dilaniato dai corvi. Una fortezza senza comodità certamente, ma munita di tutto punto per le necessità dei soldati che vi abitavano, anche spirituali. In quella che si presume dovesse essere la chiesetta del castello, probabilmente consacrata a Santa Barbara, sono stati anche rinvenuti due scheletri, quasi certamente appartenenti a due vescovi, oggi conservati nel museo archeologico di Cagliari. La lontananza dal centro abitato, il freddo e il caldo che a causa della posizione del maniero erano percepiti con particolare intensità rendendovi insalubre la vita, hanno fatto sì che la fortezza venisse gradualmente abbandonata. Oggi diverse opere di restauro poste in essere negli ultimi anni stanno facendo riscoprire la struttura originaria e i tanti misteri che custodisce.