Nel giardino romantico disegnato al principio dell’Ottocento da Luigi de Cambray Digny pare di vedere ancora una fanciulla con un cappello dai nastri di seta, importunata da un libertino e soccorsa da un ragazzo malinconico che s’interroga sul senso della vita. Nulla più di un giardino romantico ci immerge in un’atmosfera svanita, ma annidata negli animi sensibili, e fra quelle fronde, appoggiando il capo pensieroso su un’antica statua, riacciuffiamo quello che ci accadde e, soprattutto, quello che avremmo voluto ci accadesse. Di nuovo possibile, per un istante, sotto le chiome del tasso maestoso, dei lecci, dei sicomori. Al profumo dell’olea fragrans.
Gli scrittori e i poeti del XIX secolo si abbandonarono alla malìa del Giardino Torrigiani, il maggiore fra quelli familiari d’Europa racchiusi tra le mura di una città, "il più importante e pregevole fra tutti gli altri giardini di Firenze" secondo lo storico novecentesco Leonardo Ginori Lisci con "viali tortuosi […] e visuali che davano l'impressione di una superficie anche più vasta”. Nel 1858, a otto anni dalla pubblicazione del capolavoro La lettera scarlatta, Nathaniel Hawthorne abitò in via de’ Serragli 132, affacciato sul parco Torrigiani, nella cosiddetta "casa bella". Alphonse de Lamartine visse al numero 134 dal 1825 al 1827 e durante il soggiorno fiorentino, continuato poi in via Faenza, scrisse Armonie poetiche e religiose.
Un’aura romantica aleggia intorno al marchese Pietro Torrigiani che sembra contemplasse dall’alto della torre neogotica, che allude allo stemma dei Torrigiani (un torrino sormontato da tre stelle) e ai gradi dell’iniziazione massonica, il cimitero delle Porte Sante di San Miniato al Monte dove giaceva l’amata. Solo una leggenda? Nato Guadagni, il marchese ereditò il titolo e le ricchezze del prozio cardinale Ludovico Maria, con il trascurabile sacrificio di cambiare il cognome in Torrigiani per scongiurare l’estinzione della dinastia, proprietaria di terreni fin dal Medioevo, e nel 1813 affidò al de Cambray Digny, curatore del Giardino di Boboli, l’incarico di rinverdire i fasti di quello che nel Cinquecento fu un celebre orto botanico. Tranne il bastione mediceo, preesistente, tutte le opere pensate dall’architetto, massone come il committente, portano il visitatore attraverso un complesso itinerario romantico-sentimentale e iniziatico che parte dalla statua di Osiride, dio egizio della fertilità, dell’agricoltura e dell’oltretomba. Molte le strutture di interesse: il Sepolcreto, il Tempietto, il Romitorio, il Gymnasium, l’Uccelliera, il ponte sul torrente Ladone. Il gruppo classicheggiante Seneca con il giovane Pietro Torrigiani è di Pio Fedi, lo scultore del Ratto di Polissena nella Loggia de’ Lanzi di piazza della Signoria. Al de Cambray Digny subentrò l’ingegnere Gaetano Baccani, autore della torre.
Vieri Torrigiani Malaspina, i giardinieri lo chiamano dottore quasi a voler sottolineare che, pur avendo addosso secoli di storia, è soprattutto uno che lavora, spunta da una serra o da dietro una siepe, seguito dal bassotto Banana. Ha fondato l’azienda florovivaistica Giardino Torrigiani nel 1975 trasformando una coltivazione e vendita di azalee e dedicandosi al noleggio delle piante, un servizio che a Firenze mancava. Ingaggiò solo signore giardiniere e il successo fu immediato "dovuto soprattutto alle donne che si facevano apprezzare per la gentilezza, l’impegno e la precisione". I furgoncini Torrigiani sono un classico delle vie di Firenze: pieni di alberelli per le manifestazioni di moda e le serate speciali del Maggio Musicale Fiorentino - memorabile un’inaugurazione del Festival con delle rose antiche a esaltare il saluto al pubblico del maestro Zubin Mehta - traboccano di addobbi natalizi, ghirlande e lampioncini di conifere, che riconciliano dopo la vista di certe luminarie dozzinali che sarebbe più festoso ci venissero risparmiate.
Nascosto da un bel po’ di verde, con le scarpe infangate, chino all’opera nel luogo dove Pier Antonio Micheli, fondatore nel 1716 della Società Botanica Italiana, era solito studiare, s’incontra un altro Torrigiani, il giovane Vanni che ha lasciato lo studio legale dove ha lavorato due anni patendo la mancanza di libertà non compensata da altre soddisfazioni, per dedicarsi al giardino, alla passione. Vuole costruire una casa sull’albero e ha molte altre idee per trasformare in agrituristica l’azienda florovivaistica di famiglia. Saranno potenziate le visite guidate, a marzo partiranno i corsi di orticoltura per scolari e la serra ottocentesca, restaurata e aggiornata con pannelli solari, è pronta ad accogliere gli eventi più disparati. “C’è una nuova figura - spiega il padre Vieri fra il divertito e il rassegnato dinanzi al lessico odierno - l’ortista”. I corsi insegneranno come coltivare le verzure in città, tanto le persone desiderano recuperare un po’ di contatto con l’origine del cibo e crearsi piccoli spazi di libertà dalla grande distribuzione. Un’allieva modello potrebbe essere Michelle Obama, first ortista alla Casa Bianca. “Si tratta di un’orticoltura in contenitori con tecniche biologiche e sinergiche, il che significa concimazione con rifiuti organici, avanzi di cucina e di potatura, e un habitat nel quale le piante si possano aiutare l’un l’altra”. Invece di farsi la guerra come l’aglio e la carota.
Il giardino è stato set cinematografico, ha ospitato concerti di beneficenza per File (Società italiana di liniterapia), esposizioni di auto e defilé di prét-a-porter. Le indossatrici di Diane von Furstenberg sfilarono su un’originale passerella che correva sulle siepi di bosso con un effetto molto suggestivo nel luogo più appropriato del mondo per la moda. Il 12 febbraio del 1951, in un salone della villa, Giovan Battista Giorgini, inventore del Made in Italy, organizzò una sfilata, replicata poi nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, alla quale parteciparono, fra gli altri, le Sorelle Fontana, Emilio Pucci, Carosa, Emilio Schubert. Una mossa che non passò inosservata tanto che la snob Parigi dell’haute couture cominciò a preoccuparsi sul serio di perdere lo scettro dell’eleganza e il primato economico delle maison. Quel giorno c’era anche un Roberto Capucci quattordicenne al quale Giorgini, intuendone il talento, offrì una formidabile occasione, purché si organizzasse da solo e non lo seccasse troppo. L’artefice di abiti degni dei musei e di donne ineffabili alla Valentina Cortese, alla Silvana Mangano, non ha dimenticato e nel prato del giardino Torrigiani, nel 2009 in occasione della scoperta della lapide in ricordo di Giorgini, disse commosso che gli doveva tutto. Fu come se i volant dei suoi vestiti ondeggiassero al vento di tanta, inusuale e dichiarata riconoscenza. Per la gioia degli idealisti di ogni tempo che, passeggiando nel parco, sognarono l’Arcadia.