Ci sono persone che a un certo momento della loro vita se ne vanno. Soli. Alcuni, come ha fatto Michele, prendono le vie dell'acqua.
Per esplorare le aree deserte del cuore e renderle territori fertili io vado in bicicletta oppure nuoto. Tutti i giorni, per ore. Rispetto all'impresa di Michele, giro intorno a casa. Non vado in quell'altrove dei grandi naviganti. Nei miei percorsi il pericolo è proprio minimo anche se spesso gli automobilisti investono anziane e anziani signori soprattutto mentre attraversano la strada sulle strisce pedonali. Loro vanno. Vanno veloci come il vento. E più veloci vanno più accecati diventano. Hanno sempre fretta. Non vedono semafori, non vedono strisce pedonali e soprattutto non vedono me.
Il mio altrove forse risiede nella scrittura e negli altri luoghi dell'arte. È lì che mi metto a rischio. Io converso con spazi limitati e se salgo in una barca ecco che immediatamente mi prende il mal di mare. Nasce forse da qui la mia smisurata ammirazione per i naviganti, soprattutto per quelli che se ne vanno da soli. Eppure tra me che in studio guardo il cielo poi abbasso il capo e scrivo e loro, c'è la condivisione di quella solitudine necessaria per diventare esploratori di noi stessi, viandanti di luoghi sconosciuti. E qui finiscono le affinità tra me e i naviganti.
Ciò che mi commuove di queste persone è il silenzio che nasce dal richiamo dello spirito. Hanno scelto, infatti il senso mistico del silenzio carico di suoni e il quasi nulla dei piccoli lavori necessari per la sopravvivenza. Hanno abbandonato il mondo delle cose inutili e creano modelli di vita spirituale. In loro convive il desiderio di una solitudine condivisa con il volo degli uccelli, con le danze dei pesci, con cieli stellati e lune e soli e venti e oceani infiniti. Ritrovano nella contemplazione il respiro primordiale della creazione.
Questa è stata la grande esperienza di Michele Piancastelli. Michele l'ho conosciuto pochi giorni fa nel bar di piazza San Francesco; una delle piazze più belle d'Italia e quindi del mondo. C'era il mercatino della frutta e della verdura biologica. Naturalmente io ho fatto una spesa abbondante - il doppio del necessario. Ricorderemo quel pomeriggio anche per il grande freddo. Vengo prima dei registratori e quindi mentre raccontava il suo viaggio ho preso appunti. Aggiungerà lui quello che è rimasto nella penna.
Michele
"La mia storia parte dal 2004 con una leucemia. In ospedale ho pensato di realizzare il sogno del giro del mondo in solitario. E probabilmente questo desiderio così potente mi ha aiutato a guarire. È stata una scelta ponderata ed è maturata in un tempo molto lungo. Infatti il trapianto e la convalescenza sono durati qualche anno e in quei lunghissimi mesi ho sentito la necessità, se ne uscivo vivo, di realizzare un mio vecchio 'sogno nel cassetto'. Dopo due anni di controlli ho avuto l'ok dei medici di Bologna. Così nel 2006 ho acquistato la barca di un mio amico. È una barca a vela in acciaio costruita nel 1938 nel cantiere Riva Sarnico nel lago d'Iseo. L'ho attrezzata per compiere una navigazione a lungo raggio. Mi ripetevo: 'Io parto e vado in là' e 'Altrove' è il nome della mia barca.
Il primo luglio del 2009 sono partito dal R.Y. C. Quel giorno sono venute a salutarmi tre persone: mio babbo, mia mamma, mio figlio. Per la via dell'acqua sono sceso in Sicilia ho virato poi per la Sardegna, le Baleari e lo Stretto di Gibilterra. Eccomi davanti alle Colonne d'Ercole. Nel mondo classico indicavano il limite estremo del mondo conosciuto ed esprimevano anche il concetto del limite della conoscenza. Varcare queste Colonne rimane ancora oggi una grande emozione: ero comunque nell'oceano Atlantico. 'Sono un tipo molto inquadrato'. Ho assecondato la mia passione cosciente che andare per mare non è uno scherzo. Da Gibilterra sono andato alle Canarie e da questo momento ho avuto la consapevolezza di 'andare oltre'. Dopo una settimana, tra Crotone e il golfo di Squillace per un forte colpo di vento ho dovuto armare la tormentina e mi sono detto: 'Iniziamo bene!'.
Il nostro mondo è grande, non ce ne accorgiamo perché i mezzi che usiamo per visitarlo sono veloci. La barca a vela è il modo ideale per viaggiare il mondo; si comprendono le distanze. Il mio viaggio è stato un elogio della lentezza e dell'essenziale qualità del vivere di quel niente che invece è la radice di tutte le cose. Con questo spirito ho compiuto 40.000 miglia ( quasi due giri della terra) e l'ottanta per cento le ho fatte in solitario. Durante la navigazione ho acquisito nuove abitudini. Le mie azioni venivano scandite seguendo le metamorfosi del tempo. Così, invece di un lungo sonno, solo micro riposi. In mezzo al mare la giornata è scandita dal controllo della navigazione, dalla preparazione del cibo, (naturalmente ho pescato e ho mangiato pesce crudo) e dalla lettura; sono un grande lettore e ho dovuto alleggerire il peso dei libri sostituendoli con un eBook e dalla contemplazione.
Ho seguito il percorso del sole, ho visto arrivare pioggia, vento, bonacce. E infine nella notte ho visto sorgere lune rosso fuoco. E senza luna, altro spettacolo: le stelle e le costellazioni. Ecco, ciò che annichilisce, sono i grandi spazi e la compagnia di quello che noi comunemente chiamiamo silenzio. Io parlavo con la barca, con gli elementi della natura, con i pesci e gli uccelli e pensavo a voce alta. Ho vissuto una solitudine molto affollata e mi sono sentito solo, a terra, in Nuova Zelanda, in mezzo a persone che conoscevo. Se considero i sette anni di navigazione, i momenti di tensione sono stati quattro o cinque. Ci vuole fortuna in mare! Le attraversate oceaniche sono state le più belle e le più tranquille.
Ho avuto incontri strani - lo squalo di barriera e l'unico vulcano al mondo che respira - e ho avuto anche una grande paura quando ho rischiato il ribaltamento della barca. Ho vissuto momenti stressanti: pioggia, freddo, cambiare velocemente le vele, problemi al motore. Ci sono stati momenti critici e di avvilimento. Ricordo quando partendo dalla Thailandia per arrivare alle Chagos, al largo di Sumatra mi sono trovato in una bonaccia di una settimana (le bonacce sono più tremende delle tempeste). In quell'occasione sono tornato indietro. Tornare indietro è stata una scelta obbligata in quanto rischiavo, se la bonaccia perdurava, di rimanere senza carburante e senza viveri. Mi chiedo se questa esperienza mi ha cambiato. Ho sempre prediletto la semplicità e l'Altrove è essenziale. Ho sentito la necessità di nuove esperienze, di conoscere luoghi a me sconosciuti, popolazioni quasi primitive. Lo dovevo fare prima che si concludesse la mia vita. Questo viaggio l'ho pensato, l'ho vissuto ed era giusto che finisse. Un cerchio si è concluso".
Michele mi ha raccontato il suo viaggio con apparente semplicità. Chi va per mare incontra bonacce, tempeste, vento, pesci, uccelli migranti e costellazioni e grandi spazi. Allora dove sta la differenza? Sta tutta nella misura. Michele in questa esperienza ha abbracciato tutte le vie conosciute - tutte quelle sconosciute. L'Altrove di Michele non prevede eventi esteriori, superflui. Nei suoi gesti risuonano la responsabilità e la tenacia di una potente presa interiore. Ma c'è dell'altro: la passione sconfinata per il mare e per tutta l'acqua degli oceani.