Gli strumenti musicali d’epoca sono una sorta di macchina del tempo che trasporta indietro nei secoli chi suona e chi ascolta: diversi per sonorità, forma e tecnica esecutiva dagli strumenti moderni, spesso consentono di comprendere della musica antecedente al Novecento alcuni aspetti che altrimenti rimarrebbero oscuri. È alla ricerca di questa conoscenza che il Duo Savigni , formato dalle sorelle Laura (pianista) ed Enrica (chitarrista), ha iniziato un viaggio nella musica per fortepiano e chitarra ottocentesca. Entrambe diplomate al Conservatorio Boito di Parma con il massimo dei voti, hanno poi intrapreso un percorso di perfezionamento dedicato agli strumenti storici (Laura Savigni si sta perfezionando in tastiere storiche con Stefania Neonato, mentre Enrica sta frequentando l’ultimo anno del biennio specialistico di Chitarra dell’Ottocento all’Accademia Civica di Milano con i Maestri Claudio Maccari e Paolo Pugliese).
Come è nata l’idea di suonare sugli strumenti antichi?
ES: Il primo input l’ho avuto io. Iniziando a studiare chitarra dell’Ottocento alla Scuola Civica di Milano, ho scoperto un repertorio e uno strumento nuovi. C’era già nell’aria di suonare con mia sorella, ma il duo chitarra-pianoforte non funzionava bene: infatt la chitarra deve fare un grande sforzo per ricavare un suono potente e allo stesso tempo il pianoforte deve limitarsi nelle sue possibilità sonore. Poi siamo state invitate a suonare al Museo Glauco Lombardi, a Parma, dove è custodito il fortepiano appartenuto a Maria Luigia: lì abbiamo avuto la prima occasione di sperimentarci in duo con un fortepiano. Dalla prima prova ci siamo accorte che era esattamente quella la sonorità giusta per questo tipo di musica, una bella fusione timbrica che permette a entrambi gli strumentisti di agire ed esprimersi con libertà. Abbiamo deciso così di andare avanti per questa strada, avvicinandoci allo stile, cercando di immaginarci come, nell’Ottocento, eseguissero queste musiche e ponendoci l’obiettivo di riprodurle al meglio.
Passando dagli strumenti moderni a quelli antichi, quanto avete dovuto cambiare nella vostra impostazione, nel modo di suonare?
LS: Lo studio è ancora in evoluzione. Lo scoglio più grande, per me, è stato cambiare approccio nella lettura dello spartito: si tratta di ascoltare molto questo repertorio e di imparare un altro linguaggio. Inoltre sul fortepiano si deve usare meno il peso del corpo, si fa un lavoro più “in punta di dita” e di agilità. Quindi si tratta di un percorso fatto di ricerca di suono e di tecnica, in parallelo. Infine ho imparato ad accordare il mio strumento, una cosa cui i pianisti non sono abituati.
ES: Oltre alle problematiche di cui parla Laura, mi sono imbattuta anche in un cambiamento di tipo fisico. La chitarra moderna è più grande e si abbraccia, la mia chitarra dell’800 è molto più piccola e la tengo a tracolla, come spesso accadeva nell’800. All’inizio ci si sente come degli elefanti al suo confronto. La tecnica cambia moltissimo: nella chitarra antica le corde si pizzicano con i polpastrelli e non con le unghie (che rovinerebbero le corde, perché sono di budello e non di nylon come in quella moderna). Quindi, passare da uno strumento all’altro significa imparare nuovamente a eseguire certi passaggi che prima ti riuscivano e sullo strumento antico non escono più. Inoltre la chitarra ottocentesca si può suonare anche in piedi, in questo modo ci si può aiutare col corpo e talvolta cambia l’intenzione espressiva.
Avete acquistato degli strumenti antichi per esercitarvi? Dove si possono comprare?
ES: Io ho due chitarre: una Hijos De Gonzalez del 1868, spagnola, e il mio ultimo acquisto è una Pasquale Vinaccia, chitarra napoletana del 1828. Sono due modelli completamente diversi, perché all’epoca le chitarre cambiavano molto da paese a paese per suono, forma della cassa e del manico. Ci sono chitarre più adatte a certi tipi di repertorio. Il mercato di questi strumenti storici c’è, perché negli ultimi anni è cresciuto l’interesse attorno a essi, bisogna però stare attenti a quello che, a volte, cercano di venderti...
LS: Io ho comprato un fortepiano Clementi & Co. prodotto a Londra nel 1820. È uno strumento che si sposa molto bene con la chitarra Vinaccia di Enrica, perché è proprio degli stessi anni. Ho deciso di comprarne uno da tavolo, trasportabile, in modo da poterci proporre per concerti in duo senza che chi ci ospita debba noleggiare uno strumento (in Italia, infatti, sono pochissimi i luoghi dove ci sono fortepiani funzionanti). Portarlo in giro per l’Italia non è però così facile: questo fortepiano pesa più di ottanta chili e abbiamo bisogno dell’aiuto di almeno un uomo per riuscire a sollevarlo. Per me è molto utile averne uno in casa per poter studiare.
Qual è il repertorio per fortepiano e chitarra? Di solito sono musiche scritte per dilettanti o per virtuosi?
ES: Entrambe le cose: esistono musiche molto semplici e altre, invece, assolutamente virtuosistiche. Molti compositori che hanno scritto per questo ensemble sono italiani che però hanno lavorato all’estero, soprattutto a Parigi e a Vienna. Con l’eccezione di Anton Diabelli, un pianista (che comunque ha scritto diverse cose anche per chitarra sola), in gran parte sono chitarristi: Ferdinando Carulli, Mauro Giuliani, Johann Kaspar Mertz.
LS: I brani più complessi per il fortepianista sono nati dalla collaborazione di Giuliani con due pianisti virtuosi come Ignaz Moscheles e Johann Nepomuk Hummel: sono pagine scritte in uno stile Biedermeier, agile, d’impatto e molto effettistico, mentre Johann Kaspar Mertz è più romantico.
Per lo studio di questo repertorio quali sono i testi su cui vi basate?
LS: È importante studiare su facsimili delle partiture originali e leggere in parallelo trattati dell’epoca, che spiegano come diteggiare e interpretare. Questa modalità dice molto più dell’interpretazione dell’epoca. Infatti a volte le edizioni più recenti sono delle revisioni che aggiungono diteggiature e indicazioni storicamente errate.
ES: Esiste un sito internet in cui si trovano tutte le edizioni originali del repertorio per chitarra, mi sono accorta però che molti giovani chitarristi non lo sanno. Come trattati sono utili quelli di Johann Joachim Quantz, Carl Philipp Emanuel Bach e dei compositori chitarristi (ognuno ha il suo metodo).
Il pubblico come accoglie questi concerti che propongono un repertorio e strumenti meno conosciuti?
LS: Nei nostri concerti di solito facciamo precedere la musica da qualche spiegazione sugli strumenti e il repertorio. Spesso è la prima volta che il pubblico vede gli strumenti ottocenteschi, quindi c’è molta sorpresa, ed è utile collocare storicamente il suono, che risulta molto diverso da quello a cui si è abituati. Alla fine il repertorio piace molto, perché è immediato e credo che il pubblico colga anche che noi ci divertiamo a suonarlo.
ES: Alcuni brani brillanti in stile operistico si possono paragonare a un crescendo di Rossini, spesso l’applauso nasce spontaneo prima ancora che finisca l’ultimo accordo.
Immagino che vi capiti ancora di suonare su pianoforte e chitarra moderni: il passaggio da uno strumento all’altro quali difficoltà comporta?
LS: Per passare con agio da uno strumento antico a uno moderno e viceversa bisogna aver assimilato completamente un tipo di tecnica e linguaggio: io sto ancora studiando per questo. Quello che noto è che ora ho molto più piacere a suonare il repertorio del Novecento sul pianoforte e quello ottocentesco e settecentesco sul fortepiano. Suonare entrambi gli strumenti serve a far capire vantaggi e svantaggi di ognuno: non bisogna per forza suonare tutto l’Ottocento sul fortepiano (ascoltare Chopin sul pianoforte è molto bello, per fare un esempio), ma sapere come andrebbe suonato su strumenti d’epoca aiuta a essere più consapevoli che si fa una sorta di trascrizione per uno strumento diverso da quello per cui è nata quella musica. Il fortepiano mi ha dato la possibilità di scoprire le timbriche originali: il pedale moderatore (azionando il quale si interpone uno strato di feltro tra il martelletto e la corda percossa) mi ha fatto capire cosa intende Schubert quando indica un pianissimo con tre "p", un effetto che sul pianoforte moderno è quasi impossibile da ottenere.
ES: Il passaggio dalla chitarra moderna a quella antica (e viceversa) è sempre problematico e, in vista di un concerto, a volte è bene concentrarsi completamente solo su uno strumento in modo da entrare bene in quell’ingranaggio. D’altra parte ho notato che a volte per me è utile fare tecnica sullo strumento moderno, che serve a fare il muscolo, per poi “catapultarmi” su quello antico il quale, avendo nel mio caso corpo e tastiera più piccoli, mi agevola in alcuni passaggi tecnici.
Cosa vi augurate per il futuro?
ES: Mi piacerebbe che tanti altri chitarristi e musicisti scoprissero quanto sia importante studiare sugli strumenti antichi, non necessariamente per scegliere di suonare in concerto su questi ultimi, ma per capire aspetti che fanno parte della storia della musica e del proprio strumento. In conservatorio si studia per dieci anni un repertorio senza prestare troppa attenzione ad alcuni aspetti legati alla prassi esecutiva del tempo o senza tenere conto delle peculiarità degli strumenti per cui veniva scritta questa musica, c’è poca curiosità e informazione (con l’eccezione di qualche docente). Mi piacerebbe quindi portare avanti un progetto negli istituti, o nelle scuole, per condividere e fare conoscere quello che anche noi, e soprattutto io come chitarrista, sto scoprendo.