Entro in casa con una faccia da funerale: «La volpe ha ucciso un’altra gallina. Questa volta ha fatto un buco sotto la rete, dalla parte del fienile». Eva mi guarda di sopra la spalla e torna a tagliuzzare la verdura. «Bisognerà fare qualcosa» dice poi.
Muovendo il capo in segno d’assenso vado verso il camino dove è appeso il fucile, lo tolgo dagli appoggi e lo metto sul tavolo, apro il cassetto e scelgo le cartucce. Pallettoni da cinghiale, non me ne frega niente della pelliccia, non la voglio mancare. Nel silenzio della cucina pulisco per bene l’interno delle canne con lo scovolino mentre il soffritto canticchia portando in giro il suo profumo. Olio per bene il meccanismo del percussore, alzo e abbasso i cani poi vado a prendere la cartuccera. Infilo tre cartucce nelle celle poi prendo un cestino, una bottiglia di vino, una pagnotta di pane e una formaggetta. «Stanotte resto sul fienile» dico a Eva e me ne esco con una coperta sulle spalle.
Mentre mi arrampico sulla scala a pioli, penso alla faccia che ha fatto. C’è rimasta male, in pratica non l’ho nemmeno salutata, come ce l’avessi con lei e non con la volpe e poi, non c’era motivo di saltare la cena, difficile che la volpe si muova a quest’ora. Cosa mi è preso non lo so. Sul fienile cerco il punto più adatto, poso il fucile, sistemo un mucchio di fieno e mi ci sdraio sopra rivolto verso i campi. La luna sta salendo, speriamo che il cielo resti sereno e non tiri vento, almeno non da quella parte se no me lo scordo che arrivi, son bestie diffidenti, basta un niente e se ne stanno alla larga. Quando ho costruito il recinto avevo infossato la rete di mezzo metro ma non è bastato, ha scavato fino a passarci sotto.
Penso a Eva, chissà se starà già dormendo? È ben strano non essere vicino a lei, abbiamo dormito accanto per ventidue anni ogni notte, da quando ci siamo sposati. I suoi capelli erano neri allora e le facevano risplendere gli occhi, due pezzi di cielo che mi hanno fatto innamorare. Ci eravamo incontrati alla “Conca del sale”, dicono che si chiama così per via di un acciugaio che veniva su dalla Liguria portando sale e acciughe da scambiare con altre cose di qui. Quel giorno c’era un violentissimo temporale e quando col suo carro è arrivato alla conca, una ruota è finita in una buca e quello si è ribaltato. Un barile si è rotto, il sale è andato in giro e l’acqua se lo è portato dentro la terra. Così, in quel punto, per un sacco di anni non è più cresciuto niente. Siccome però la conca è un gran bel posto, i pastori hanno cominciato a farci una festa, qualcuno portava su un ballo a palchetto, quelli di legno col pavimento bello liscio perché i ballerini possano andar via leggeri e un'orchestrina suonava fino al mattino. Per loro, i pastori, era un’occasione per cercare moglie che sempre soli, su negli alpeggi, non è che di ragazze ne potessero incontrare tante.
Guardo il profilo dei campi e sulla schiena mi arriva un soffio di vento, questo vuol dire che questa notte la volpe non verrà, quindi potrei anche scendere ma ormai son qua, tanto vale che resti, non si sa mai. Mi addormento e sto sognando Eva che mi scivola vicino, è nuda, ha i capelli neri e il suo corpo è caldo come il raggio di sole che si è posato sulla coperta ma c'è un gallo rompiballe che si mette a cantare più forte che può e mi strappa al sogno. Scendo dal fienile e faccio un cenno di saluto a Eva che sull'aia sta lanciando il granoturco alle galline. Senza motivo, invece di andare in casa mi infilo nel bosco e cammino fino ad arrivare alla chiesa di Sant’Ilario, in cima alla collina. Di lassù vedo un sentiero appena accennato, forse la volpe passa di lì, lo seguo e di bosco in bosco la giornata scivola via come l’acqua di un rio.
Rientro in casa che è quasi buio, sulla porta mi arriva il profumo di un rametto di rosmarino che canta nella padella. Non ho mangiato e mi risveglia l’appetito ma invece di fermarmi, chissà perché, faccio un cenno di saluto a Eva, prendo una bottiglia di vino, una pagnotta e mezzo salame e mentre lei, un po’ stupita, mi chiede perché prima di salire non mangio qualcosa, con la coperta sulle spalle esco a testa bassa come un ladro, dicendo :«No, no, Eva, stanotte resto ancora sul fienile sto su finche la volpe non viene».
Una fitta mi attraversa il cuore, anzi, un senso di colpa grosso come una casa. Ho sempre pensato di non poter vivere senza di lei e adesso, dopo un giorno intero passato nel boschi e la notte prima sul fienile, preferisco stare da solo invece di cenare con lei. Il suo sguardo però me l’ha detta lunga su quel che ne pensa, più che se avesse mosso la lingua. Stasera fa freddo, è tutto sereno ma si è di nuovo alzato il vento, il mio odore finirà lontano per cui mi sa che non la prendo nemmeno stanotte, mi rode da morire non aver cenato in casa e più ci penso e più mi prende la malinconia. Forse, mi dico, ho solo voglia di starmene un po’ da solo, libero nel mio tempo, com’era prima di sposarla e fare i figli che da lì in poi siamo stati sempre insieme, sempre, io e lei, fino a che la volpe mi ha chiamato.
Guardo il fucile e scuoto la testa, dicendomi che no, così non va bene. Mi verso un po' di vino e lo sorseggio adagio guardando il margine del campo, la volpe potrebbe arrivare di là, giusto dove inizia il bosco. In quel momento sento il rumore di un ramo spezzato. Mi sdraio, piazzo il fucile sulla spalla e resto immobile, l’occhio fisso sul mirino puntato alla fine del campo. Una nebbiolina leggera se ne sta sospesa a una spanna da terra, non è ancora completamente buio e gli occhi si sono abituati alla penombra, mi stupisce persino quanto vedo bene.
Un altro rumore, più forte e un cespuglio si muove. Arriva. Stringo forte il fucile, spingo il calcio contro la spalla e aspetto. Dal bosco esce un cinghiale, un bel maschio giovane che sta perdendo le striature sulla schiena, si ferma di colpo annusando l’aria poi china la testa e fa un passo indietro raspando un poco come se si preparasse alla carica, allunga il collo in alto e annusa forte, cercando la corrente dell’odore che non gli piace, sicuramente il mio, poi si volta e sparisce nel bosco.
Potrei anche andarmene a dormire a casa, tanto se viene mi sente di sicuro anche la volpe. Invece tiro su la coperta e cerco il sonno. Quando è mattino scendo dalla scala e trovo Eva che mi aspetta a braccia conserte. «Allora, hai dormito bene lassù»? «Non è venuta» «Se no avrei sentito i colpi, no? O pensavi di strangolarla? Dai, vieni che ti preparo la colazione e poi mi spieghi».
È bello guardarla, lo specchio mi ritorna un sorriso che non mi ero accorto di avere stampato sulla faccia. Finalmente sento caldo al cuore, questo benedetto cuore che nel suo star bene di salute in questi giorni mi fa star male. È vero quel che dicono, da vecchi ci si rincoglionisce. «Tieni Claudio, fai attenzione che è bollente. Senti un po', me lo vuoi dire cos’hai che ti gira in quella testa?» Oh belin! «Ma niente, cosa vuoi che ci sia, ho solo le palle girate per via della volpe e poi sai com’è non è che lassù si dorma troppo, son nervoso, tutto qui».
Il bacio sulla fronte è arrivato al volo, Eva si è chinata passandomi accanto e lo ha fatto schioccare ma io, invece di tirarla a me come forse si aspettava, mi son guardato le scarpe e pesato il mio magone. Son passati quattro giorni da quel mattino e son sempre tornato sul fienile da solo, tutte le notti ma alla fine la volpe l’ho presa.
Non è stato bello, anche se, centrata in pieno è caduta senza un tremito, fulminata.
No, non credo abbia sofferto non ne ha avuto il tempo, comunque oggi vado in paese e vendo il fucile.