Se si pensa che il deserto possa celare ai propri occhi un segreto è nell’ora del tramonto, quando le ombre aggiungono ai profili delle dune una profondità che la piena luce nega, e quando le tenebre si saranno prese tutto, ci si ritroverà nuovamente di fronte a se stessi con le stesse domande, le solite risposte, ma con un inaspettato senso di pace che, tuttavia, si sentirà pian piano sfuggire, come la sabbia quando si trattiene nel pugno della mano.
Ci troviamo nelle terre che in antichità venivano definite “Arabia Felix”. Gli abitanti più autentici della Penisola Arabica sono i beduini, pastori nomadi che hanno fatto del loro girovagare, uno stile di vita unico e hanno nel dromedario il loro fedele compagno. Dove c’è acqua ci sono i contadini, quelli che in arabo si chiamano “fellah”; popolazioni stanziali che vivono in case fatte in pietra, fango o anche paglia. Visitare i loro villaggi significa fare un salto indietro nel tempo e il contrasto più visibile è nelle città, dove uno sviluppo modernissimo coesiste con le antiche tradizioni islamiche. L'impressionante salto nell’era futuristica dei principali centri urbani del paese, è stato reso possibile dal petrolio. La Penisola Arabica comprende diversi stati, ma è scarsamente popolato, in quanto più dell’80% della superficie è zona desertica. Fa eccezione la parte meridionale, dove si trovano terre fertili grazie alle piogge, che vengono portate dai Monsoni. Il paese è sicuro, la popolazione è benestante e vive in pace. Ci troviamo in un sultanato e il grosso del potere è saldamente in mano ad una sola persona. Gli abitanti, ovunque li si incontri, si dichiarano estremamente soddisfatti della propria classe dirigente. Le infrastrutture non mancano, le strade sono pressoché tutte asfaltate e, nonostante si tratti di un paese fondamentalmente desertico, il governo provvede a fornire punti di rifornimento idrico lungo tutte le principali vie di comunicazione del paese.
Il “quarto vuoto”
Recita un detto Touareg: “E Dio creò il deserto, perché l’uomo potesse comunicare con lui”. Sono fortissime e molteplici le emozioni che si provano quando si entra nel grande mare di sabbia del deserto del Rub Al Khali. Ovunque si vedono montagne di sabbia rossa fino a scomparire nel riverbero dell’orizzonte. E’ un ambiente così particolare che a qualcuno potrebbe anche causare un senso di angoscia ma, per lo più, è una sensazione di pace e serenità. Si scoprono cose che nel nostro quotidiano diamo per scontate ma che, improvvisamente, realizziamo di non conoscere. Il buio e il silenzio ci sembrano nuove, entusiasmanti esperienze; camminare sulla cresta di una duna e ascoltare il rumore dei propri passi che affondano nella sabbia, percepire il battito del proprio cuore, girarsi di scatto perché si ode il fruscio delle ali di un uccello, sono esperienze davvero uniche e indimenticabili! Lo sguardo si perde lungo le linee ondulate dell’orizzonte e il tempo non ha più significato. Non c’è vegetazione, non c’è fauna e non ci si sente soli, ma di essere un tutt’uno con questa meravigliosa natura. Il Rub Al Khali è un deserto un po’ particolare, molto diverso dal Sahara. La sabbia presenta una componente ferrosa, con una colorazione rossastra molto suggestiva e consente alle dune di crescere in altezza in modo considerevole. Inoltre la zona è battuta da venti contrapposti che vengono sia dall’entroterra che dall’Oceano e le dune assumano la caratteristica forma a stella con creste affilate e sinuose, ripide pareti ma anche più dolci declivi intercalati da grandi spianate bianchissime, resti salini di un antico mare interno. Il Rub Al Khali è la seconda più grande estensione di sabbia della terra, solo il Sahara lo supera. I beduini lo chiamano “il Quarto Vuoto”. Quando Allah creò l’universo lo suddivise in quattro parti: cielo, terra e mare; la quarta parte rimase vuota, era il Rub al Khali.
Si trova a sud ovest di Muscat, la capitale, e corre lungo tutto il confine con l’Arabia Saudita di cui ne occupa buona parte del territorio. Lo separa dalla capitale un’imponente catena montuosa chiamata dell’Hajar, situata parallela alla costa del golfo dell’Oman. Sono montagne brulle, semidesertiche e alte fino oltre i 3000 mt. Il punto più alto è la Montagna del Sole (Jebel Shams) che culmina a 3009 mt. Attraversare con un fuoristrada i tanti “wadi” e affrontare passi a più di 2000 mt rappresenta una vera ed entusiasmante avventura che ci porta indietro nel tempo. Sperduti villaggi di fango essiccato e pietre all’interno di verdissime oasi, antiche e solitarie fortezze e le varie piste, faticosamente strappate agli impervi declivi della montagna, sono gli unici segni di una civiltà che appare molto lontana. Verso le ultime propaggini delle montagne si trova l’antica capitale di Nizwa. Animata cittadina adagiata nel cuore di una grande oasi dove si producono ottimi datteri, offre al visitatore un antico e caratteristico souk e una fortezza, già palazzo reale del Sultano Bin Said, splendidamente restaurati.
La terra dell’incenso
Attraversando il Rub Al Khali seguendo la direttrice nord/sud, approssimandosi al confine meridionale del deserto, ci si trova di fronte ad uno scenario panoramico del tutto inconsueto. Dopo giorni di dolci profili delle dune e dai caldi colori rosso e arancione della sabbia, improvvisamente compare la foresta tropicale. Ci troviamo sul bordo di un terrazzo naturale che sembra disegnato dalla matita di un artista pazzo che nulla sa di clima e di geografia, ma il miraggio, è proprio reale. Stiamo ammirando la regione del Dhofar, caratterizzata da un clima subtropicale che rende possibile la coltivazioni di piante quali il banano, il mango, la palma da cocco e l’avocado. Particolarmente rinomato è l’incenso che si estrae dalle piante di Boswellia, il cui tronco ricorda le spire di un serpente. Per estrarlo è sufficiente incidere il tronco con una lama e subito compaiono le gocce lattiginose che, seccandosi, diventano cristalli da bruciare sulle braci durante i riti religiosi a scopo purificatorio. Non lontano da Salalah si trova il sito di Khor Rori, una grande insenatura separata dal mare da una striscia di sabbia. Qui sorgeva l’antico porto di Sumhuram, l’Abyssopolis dei romani. La città fu fondata nel IV secolo e fu uno dei centri più importanti per le rotte commerciali tra il Mediterraneo e l’Arabia meridionale.
Il capoluogo del Dhofar è Salalah, meta turistica per tutte le popolazioni della Penisola Arabica. Visitando la città, si trovano volantini pubblicitari che promuovono il turismo nella regione con foto che mostrano piogge torrenziali e nebbie fitte. È proprio questo microclima così speciale che la rende appetibile alle popolazioni della penisola. L’estate qui è caratterizzata da temperature miti e da frequenti piogge, mentre in tutto il resto del territorio, le temperature sono torride ed invivibili. Una corona di montagne alte circa 800 mt circonda la regione del Dhofar e fa da barriera alle correnti umide dei Monsoni che provengono dall’ Oceano Indiano. Quando le nuvole si scontrano contro le montagne, scaricano tutta la loro umidità sulla costa, regalando grande fertilità a questa lingua di terra.
La costa orientale
Seguendo la costa verso est per poi salire sul Jebel Samhan, si raggiunge un altopiano brullo e intagliato da profondi wadi. Da qui si può ridiscendere lungo il greto di un lunghissimo wadi, il Salafan. La pista è ripida e serpeggiante e si riduce ad una flebile traccia ricavata nel greto del wadi. Le pareti sono scure e contrastano con il fondo di ghiaia chiara. Il Wadi è il letto di un fiume secco. In occasione di piogge stagionali, il greto si riempie all’improvviso di acqua per diventare un impetuoso torrente di montagna. Mi è capitato ed è veramente incredibile come l’ambiente cambi in pochissimi minuti, trasformando una piana desertica in un torrente in piena, che tutto travolge. Scendendo il wadi si allarga, le pareti strette lasciano il posto a colline rocciose e si vedono le prime piante, come l’acacia. Ci rapiscono questi paesaggi sempre diversi e i nomadi Jabali con le loro piccole carovane di cammelli. Verso la costa si può effettuare una digressione lungo il Wadi Shuwamiyah, con le sorgenti e le alte pareti calcaree bianche ed ocra. Indimenticabile una notte in tenda tra queste formazioni rocciose, sotto un cielo stellato che sembra una secchiata di coriandoli luminescenti.
Proseguendo lungo la strada che corre verso nord, fiancheggiando l’Oceano, si lascia l’asfaltato e si percorrere sconfinate spiagge dalle onde spumeggianti e verdi smeraldo. E’ un ambiente incontaminato con colonie di uccelli marini e piccoli villaggi di pescatori. E’ così che si arriva ad Al Khaluf, una delle baie più suggestive di tutto il sultanato, caratterizzata da piccole dune bianche che sembrano sciogliersi nello Oceano. Poco più a nord c’è il deserto Wahiba Sands. In pochi chilometri, si è immersi in un mare di dune altissime gialle e sono completamente differenti da quelli del Rub Al Khali ma il percorso è davvero spettacolare. L’itinerario è impegnativo ma suggestivo, il Wahiba Sands termina nell’Oceano con onde di sabbia che man mano si fondono con quelle del mare. Queste coste sabbiose sono amate dalle tartarughe verdi dove depositano le uova. A Ras El Hadd si trova un santuario protetto e volendo con guida supervisionata si può assistere alla deposizione delle uova. Chi vi scrive lo ha fatto ma, sinceramente mi è sembrata una violenza gratuita nei confronti di questi enormi e pacifici animali. Questo però, ovviamente è il mio personale parere.
Testo di Andrea Baschieri
In collaborazione con la rivista Giardini: www.giardini.biz