Un luogo, il Poggiolino, toponimo del centro del centro antico di una cittadina dall’antica storia, Anghiari, un palco naturale sulle colline dell’alta Toscana, dove una piccola comunità interpreta se stessa e, attraverso la forma teatrale, ci richiama ai problemi del mondo che sono grandi certo, ma riconducibili sempre a categorie non piccole e di poco cabotaggio, ma semplici nel senso nobile del termine cioè comprensibili ai più.
È questo il copione sempre mutevole eppure eguale a se stesso di un evento che da diciannove anni coinvolge la cittadina, i suoi abitanti, villeggianti e turisti che riescono ad accaparrarsi i non numerosi ma generosi posti disponibili (circa 1400) nell’arco di dieci giorni nei quali si dipana. Parliamo di Tovaglia a quadri, che quest’anno si è svolta dall’11 al 20 agosto con il tema “Poderi forti”, un occhio alla tradizione e uno all’innovazione tecnologica in agricoltura. Un suggestivo modo di raccontare se stessi che un gruppo di artisti coadiuvati dalla popolazione ha immaginato e che ripropone ogni anno una lettura attenta, ancorché disincantata e impegnata al tempo stesso, della vita che cambia con il passare degli anni, con il cambiare del mondo. Un angolo visuale piccolo, particolare, ma un microcosmo nel quale si specchia con un incredibile gioco il macrocosmo che tutti ci condiziona.
La prima edizione si è svolta nel 1996 e da allora ha riscosso sempre maggiore successo attirando spettatori da ogni parte d’Italia e stranieri. Gli ospiti vengono fatti sedere a tavola apparecchiata con le tovaglie a quadri (la cena si svolge all’interno delle mura medioevali di Anghiari e più precisamente nella piazzetta del Poggiolino, il cuore del borgo antico) e assistono alla riproposizione scenica di quello che accade quotidianamente nel paese – nel privato e nel pubblico. A scandire la performance teatrale, gli intermezzi musicali che rappresentano una sospensione del racconto e accompagnano le portate della cena dove non mancano mai i “grossi” spaghetti fatti a mano con acqua e farina, conditi con il sugo finto (cioè di vegetali al posto del soffritto di carne).
Tovaglia a Quadri coinvolge tutti gli abitanti di Anghiari, poiché raccoglie le memorie di tutti (del centro storico, così come delle frazioni e delle famiglie più lontane dalla Piazza del Poggiolino) e le confronta, senza fare sconti a nessuno, con garbo e ironia, questo il motivo conduttore che piace agli organizzatori. Tutto questo accade mentre il pubblico cena (sopra le famose tovaglie a quadri della storica manifattura anghiarese) e gli attori-abitanti raccontano affacciati a porte e finestre che danno sulla Piazzetta, il loro angolo di mondo e il confronto con la realtà descritta dalla voce narrante. Il Teatro, il buon cibo e la vita quotidiana, una formula antica almeno quanto le mura di questo splendido borgo toscano. E che affonda le radici nella forma più vera di arte popolare non soltanto toscana ma profondamente legata alla tradizione e alla particolare vena poetica dell’Italia dei piccoli borghi, delle piccole e grandi tradizioni secolari e millenarie, in un paese da millenni attraversato da genti e storie che si sono sovrapposte e combattute, ma che hanno lasciato proprio in questi piccoli centri, nelle loro realtà a volte fuori dal tempo in apparenza, la loro eco più genuina e più vera: quella di popoli antichi, di genti avvezze a invasori e signorotti, che hanno sempre trovato il modo di “tradurre” nel proprio autentico e genuino tessuto gli echi della grande storia.
“Gradualmente, con lo scorrere degli anni e delle portate, si è passati dal racconto dei fasti di una celebre cortigiana locale approdata in Vaticano (L’Anghiarina, appunto), al problema degli immigrati che qui sono molti e rendono possibili le grandi coltivazioni di tabacco pregiato. Il cibo in questo caso diviene veicolo di verità anche assai amare. E non è detto che non sia salutare qualcosa di indigesto che rovesci l’affermazione di Brecht, procurando una sana acidità al nostro torpore di cittadini e spettatori annebbiati dal conformismo omogeneizzato”. (Un soffritto che fa scena). Queste le generose parole di quello che è uno dei più grandi critici italiani del mondo dello spettacolo (Gianfranco Capitta), che chiariscono e inquadrano bene il significato profondo della Tovaglia a Quadri: il rovesciamento degli stereotipi oleografici e gastronomico-alimentari nei quali sta sprofondando anche questo angolo orientale di Toscana, la fuga dagli stereotipi vernacolari da intrattenimento, e da ultimo un rito collettivo, dove si mangia si canta si ride e si digerisce, a volte male, e si prova a conoscere senza filtri una realtà locale con specchi e riferimenti a rapporti e relazioni universali. Il tutto senza mai rinunciare a sceneggiature che attingono a un grande patrimonio di battute e di originale comicità toscana, che gli spettatori affezionati sanno ormai a memoria e che vantano numerosi tentativi d’imitazione.
Per ciascuna edizione, in programma ogni anno nel mese di agosto, viene realizzato un nuovo spettacolo scritto dal direttore artistico del Teatro Stabile di Anghiari Andrea Merendelli e da Paolo Pennacchini quale storyteller e sceneggiatore. Le storie narrate negli spettacoli sono frutto di un continuativo lavoro di ricerca d'archivio, unito alle testimonianze vive degli abitanti del posto. Con l’intento di non dimenticare e lasciare traccia di questo fortunato esperimento di teatro di strada sui generis potremmo dire, le sceneggiature complete delle prime tredici edizioni (1996-2008) sono raccolte nel volume Tovaglia a Quadri, tutte le storie, pubblicato nel 2009. Ed è auspicabile che presto analoga iniziativa raccolga gli anni a venire.
Il menù della Tovaglia a quadri, si ripete di anno in anno ma contempla anche varianti sempre legate alla tradizione. I piatti forti , frutto di scelte e prodotti a chilometro zero. I piatti forti sono: crostini neri e crostini rossi; bringoli al sugo finto; bocconcini brasati di chianina; zucchine trifolate al funghetto; pecorino di Montemercole con miele; mantovana e cantucci di Anghiari. Il tutto accompagnato da acqua d’Anghiari, vino rosso, vin santo del contadino, caffe d’orzo al rum, e una tisana di dopopasto per chi lo desidera.
Qualche nota sulle origini e sulla storia
Qualche cenno storico può essere utile a inserire la cittadina nel suo contado e nella più ampia storia toscana. Anghiari (probabilmente dal latino angularium, in altotiberino e in dialetto biturgense, ossia della dirimpettaia Sansepolcro da sempre ai ferri corti, Angdièr) è un comune di 5.665 abitanti in provincia di Arezzo. È inserito nel novero dei Borghi più belli d'Italia, ed è un Paese Bandiera Arancione del Touring Club Italiano nonché città slow (ossia città del buon vivere). La fama del borgo nasce dal fatto di essere stata teatro della Battaglia combattuta nell'anno 1440 tra i Fiorentini e i Milanesi[e in seguito dipinta da Leonardo Da Vinci.
Sull'origine del nome le tesi sono diverse: alcuni sostengono che derivi da castrum angolare, riferendosi alla forma angolare del suo castello, altri affermano che deriverebbe il suo nome da in glarea - la ghiaia). Effettivamente il paese è costruito su un ammasso di ghiaia accumulata dal Tevere nei millenni. Le sue origini datano attorno al VII secolo attorno a un castello longobardo, su preesistenze di età romana (presumibilmente una fattoria come si evince dalla cella vinaria in Palazzo Pretorio), conteso con i bizantini. Il castello di Anghiari, ricordato per la prima volta in un documento del 1048, fu dapprima sottoposto alla consorteria longobarda dei conti di Galbino e Montedoglio e nel 1104 il luogo venne donato da Bernardino di Sidonia, signore di Anghiari, ai Camaldolesi con l'obbligo di fondarvi un'abbazia: il monastero di San Bartolomeo apostolo. Intorno ad esso, in seguito, si sviluppò il centro abitato. Storicamente nel Medioevo legata ad Arezzo, Anghiari entrerà poi nel dominio fiorentino proprio dopo la famosa battaglia.