Ricercatrice, blogger e scrittrice, Sumaya Abdel Qader fa parte del CAIM, Coordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano, Monza e Brianza ed è promotrice del progetto “Aisha”, per una campagna di sensibilizzazione sul tema della violenza alle donne e della discriminazione di genere. Recentemente è stata eletta nel Consiglio Comunale milanese.
Buongiorno Sumaya, ci racconti un po' di sé...
Sono prima di 5 figli con genitori di origine giordano/palestinesi, nata e cresciuta a Perugia dove ho vissuto fino ai 19 anni un’esistenza serena e tranquilla, per poi passare a Milano. Cresciuta a pane e confronto, a pane e incontro, ho basato la mia vita sulla costruzione di relazioni con persone di ogni cultura, idea, estrazione, con l’ambizione di saper tradurre e interpretare i bisogni e le proposte che arrivano dai diversi “mondi” che ormai convivono ovunque. Per questo mi ridefinisco continuamente, cercando sempre nuovi equilibri con l’ambiente che mi circonda, in continuo divenire. La mia più grande paura è data dall’arroganza di chi, per tutelare i propri interessi, riproduce disinformazione e quindi alimenta pregiudizi e paure. Non sono mai delusa di ciò che mi accade ma sono critica per potermi migliorare. Il mio più grande dolore è alimentato dal sapere che ci sono ancora persone che in ogni parte del mondo hanno fame, subiscono violenza, vivono guerre e sono vittime di ingiustizie.
È promotrice del progetto “Aisha” del Coordinamento delle Associazioni Islamiche Milanesi”: ce ne può parlare?
Aisha è un progetto che nasce nell’ambito delle attività di tipo sociale e culturale del CAIM, il Coordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano, Monza e Brianza. Il progetto vuole operare sul tema della violenza e discriminazione contro le donne con focus particolare sulle donne musulmane. Il progetto è da interpretarsi come pilota e opererà sul territorio di Milano, Monza e Brianza, ma è aperto ad altre realtà musulmane per sviluppare un progetto gemello. Il progetto, in particolare, si prefigge di avviare un processo di riflessione interna alla comunità islamica riguardo al tema della violenza e discriminazione contro le donne, frutto di retaggi culturali e interpretazioni estremiste che vanno contro i principi della tutela della persona sanciti nella tradizione islamica. “Aisha” promuoverà corsi di educazione all'affettività e al rispetto della parità di genere rivolti ai giovani; corsi pre-matrimoniali rivolti alle future coppie per educare all'affettività, ai doveri della coppia nel rispetto reciproco e mutuo aiuto e offrirà incontri rivolti ai genitori per sensibilizzare e prevenire matrimoni forzati e mutilazioni genitali femminili grazie anche al contributo di Imam ed esperti del settore. Il tutto attraverso mediatrici linguistiche e culturali e creando uno o più punti di ascolto e orientamento in strutture pubbliche e/o private e/o presso Centri Islamici e moschee del territorio.
Pensando, in generale, alla donna di oggi: possiamo parlare di liberazione, integrazione, o …
Viviamo l’illusione della liberazione della donna e della sua emancipazione. Sicuramente molto è cambiato in certe parti del mondo ma ancora non è stato realmente interiorizzato il significato del rispetto per la donna e il suo ruolo in ambito sociale e familiare, che forse è diventato ancora più complesso (sì lavoratrice e indipendente, ma ancora principale figura di cura della famiglia, sovraccaricandosi). Neppure nei paesi più avanzati sui temi di genere si vedono calare i femminicidi, violenze contro le donne o reali pari opportunità. Nei paesi cosiddetti non occidentali ci sono interessanti movimenti femminili che guardano al percorso di emancipazione occidentale ma non si riconoscono in esso pienamente, piuttosto propongono nuovi modelli e vie, attraverso ricchi dibattiti, mobilitazioni e nuove normative (si veda Marocco e Tunisia ad esempio). In questo ampio dibattito cerco di essere trasversale, partecipare e contribuire alle riflessioni in corso. Sessualità, maternità e lavoro sono tre fili dell’attuale condizione femminile che indubbiamente si intrecciano in modo diverso a seconda del carattere di ogni donna e a seconda dell’ambiente che la circonda. Possono confliggere, possono elidersi o possono convivere in armonia o difficoltà. In generale, penso che la donna sia più affine al “volere” piuttosto che al “potere” più legato alla mentalità maschile, sempre alla ricerca di egemonia sugli altri. Oggi il rapporto uomo donna è altamente basato sulla competizione e sulla ricerca della ridefinizione dei ruoli. Sicuramente ciò prevede momenti di confronto, scontro, crescita o regressione.
La donna “velata” è l’immagine della religione musulmana che più colpisce l’“immaginario” europeo: il velo femminile è un “oggetto” che nega il “soggetto”?
Il velo è una prescrizione e ogni donna può decidere di adempiere o meno. Non sono previste punizioni per chi non lo porta. Portare il velo è un atto di devozione, è una prova d’amore verso Dio. Il velo non è un simbolo, non nega il soggetto e non rende la donna oggetto. Purtroppo però non sempre il velo è stato così interpretato. In certi paesi è diventato strumento di sottomissione della donna e oggetto dell’espressione di potere maschile. Nulla di più riprovevole e inaccettabile, lontano dal significato originale. Certi uomini si sostituiscono a Dio e legiferano solo in nome del proprio interesse e potere.
Islam e Cristianesimo sono due religioni monoteistiche che si dichiarano entrambe le uniche depositarie della vera rivelazione: è possibile un accordo nell’ambito teologico?
Ogni forma religiosa si ritiene depositaria della verità. Anche un non credente ritiene di avere la verità. Per quanto riguarda le realtà religiose non è possibile trovare accordi teologici su tutto, altrimenti si conformerebbero tra loro e diventerebbero una sola cosa. Ciò che sicuramente può accumunare tutti è l’impegno per garantire la dignità, la solidarietà, il rispetto, il bene comune, per tutti, guardando verso uno stesso orizzonte comune.
In Italia esiste ancora un problema “Stato-Chiesa”: nei paesi a maggioranza musulmana si sente l’esigenza di una “secolarizzazione”?
L’Italia della nostra ultima costituzione si fonda su un patto con la Chiesa cattolica e regolamenta i suoi rapporti con altre fedi attraverso delle intese. Nel nostro paese c’è stato sicuramente un percorso di secolarizzazione ma fa ancora fatica ad entrare pienamente a regime. In altri paesi la secolarizzazione avviene in modi diversi (o non avviene) con percorsi diversi. Spesso c’è la presunzione che un modello sia migliore dell’altro, ma in realtà l’unico metro di riferimento deve essere il valore che la società dà alla donna, la tutela verso le minoranze, la tutela dei diritti di tutti, la capacità di rispondere ai bisogni dei più deboli. I paesi a maggioranza di musulmani hanno ordinamenti che non seguono puramente la Sharia, che comunque viene interpretata diversamente da paese a paese. Sono spesso un mix di costituzioni europee con elementi di ordinamento giuridico islamico. Ma l’idea di secolarizzazione come intesa in occidente non la ritroviamo in quei paesi. Banalmente perché nel corso della storia non ci sono stati conflitti paragonabili a quelli avvenuti in Europa tra Stato e Chiesa. È importante tenere a mente che quando si parla o studiano contesti diversi non si può fare un confronto superficiale usando i propri schemi e modelli come termine di paragone. Perché il contesto, i piani semantici, i concetti, ecc., sono diversi tra loro e non possono essere riducibili a uguali termini.
A che cosa attribuisce il fenomeno dei “foreign fighters”?
Le cause sono molteplici: da un’insoddisfazione rispetto le proprie condizioni sociali, alla rabbia verso un occidente islamofobo, alla ricerca di una “identità forte”, al vuoto spirituale che c’è tra molti, ecc. Su queste categorie è facile insinuare la narrazione della necessità di vendicare ingiustizie, espiare i peccati, ribaltare i rapporti di forza tra occidente/mondo islamico, e così via. È interessante notare l’aumento di foreign fighters tra non musulmani.
Lei ha scritto “Milano è la mia casa”: cosa le piace di più e cosa meno della città?
La mia casa vuol dire dove sto bene, dove mi oriento e muovo facilmente, dove sono felice di tornare quando sono in viaggio. Di Milano mi piace la vocazione internazionale, la convivenza tra le pluralità, il fatto che Milano sia una città del fare. Amo la dinamicità culturale, fortemente incrementata negli ultimi 5 anni grazie all’operato della giunta Pisapia.
Stereotipo e realtà della donna milanese.
Come si potrebbe definire oggi la donna milanese? È solo la donna in carriera vestita di un tailleur serio e con la 24 ore un po’ somigliante a un uomo, come la vuole un certo stereotipo? O è la borghese impegnata socialmente e nelle attività mondane? Oppure è indefinibile, perché Milano oggi conta una realtà plurale e polimorfa?
Fa parte di un popoloso quartiere periferico ambrosiano: quali sono i problemi, con particolare riferimento al rapporto tra “indigeni” e immigrati?
Abito in viale Monza da 2 anni, dopo aver vissuto 7 anni in via Padova. Non li considero affatto periferici, siamo a 15 minuti di metro dal centro! Sicuramente è uno spaccato di Milano ricco e plurale. È una zona che brulica di associazioni culturali, eventi interculturali, progetti e iniziative volte alla valorizzazione del territorio e della coesione sociale. C’è la grande sfida della convivenza tra culture, sfida non facile ma il territorio è un laboratorio che ci racconta che si possono fare molte cose utili, fruttuose e importanti per la stabilità sociale. Non cambierei quartiere per nulla al mondo!
Si è impegnata nella vita politica: quali sono i provvedimenti immediati che proporrebbe?
La prima cosa che proporrei è l’avvio del risanamento delle periferie per operare un passaggio da una visione di città basata su un modello centro/periferia a una città policentrica.