In una casetta bianca sulla baia del Sole viveva un bimba dagli occhi splendenti di curiosità: Margherita, una fanciulla senza famiglia che vi abitava sola soletta. Passava molto tempo nella sua stanzetta, accoccolata sopra un bauletto di legno che conteneva due bellissime statuine, una di pietra e l’altra di legno che la facevano sentire meno sola. Una vecchia le aveva rivelato: «Questa è la Regina del deserto e questo è il Figlio delle maree. Se avrai fantasia saranno il tuo gioco più bello».
Quando la notte Margherita andava a dormire, pensava al suo scrigno e dormiva serena. Una bella notte, però, una splendida fata le svelò: «Questo scrigno è incantato e ti porta dove desideri, chiedi alle statuine e scoprirai un mistero». Poi scomparve in una nebbia dorata. Allora la bimba si alzò, indossò una veste di raso bianco, mise due nastri azzurri nelle trecce, poi chiese alla Regina di Pietra:
«Quale segreto è celato
nello scrigno incantato?
Regina bianca pietrosa
raccontami una bella cosa! ».
E così lo scrigno dolcemente si aprì e ne uscì una nube argentea: pian piano prese le sembianze di una donna dagli occhi blu, che disse: «Io sono Dafne, la figlia del Re del Deserto. Regina per un sol giorno, quando mio padre fu ucciso. Poi fui fatta prigioniera. Prima che fossi venduta al mercato delle schiave, la fata Fatema mi trasformò in pietra. Chiamami quando vuoi e poi fammi tornare nello scrigno, sarò la tua silenziosa compagna d’avventura». «Oh mia Regina, come posso aiutarti a sciogliere la tua pena?», chiese Margherita. «Per sciogliere l’incantesimo bisogna che un uomo coraggioso affronti tre prove: primo, cercare lo scarabeo che ride, che si trova in una fessura profonda in mezzo al deserto del Gobi; secondo, soffiare dentro un otre finché non sarà imprigionato tutto il vento di maestrale; terzo, scendere nella fossa delle Marianne e pescare la conchiglia d’oro.
Infine dovrà portare queste tre cose sull’Altare di Monte d’Accoddi e offrirle al Nume delle Pietre Preistoriche affinché liberi la mia anima dal giogo della pietra. Chiedi al ragazzo di legno, vedi se mi po’ aiutare. Io non posso parlare con lui, solo tu puoi farlo, quando io sarò di nuovo di pietra. Devi parlare separatamente con le tue statuine, finché non sarà fatta l’offerta al Nume. E ricordati di svelargli i segreti poco per volta. Ora senti cosa ti dice».
Come finì di parlare, la Regina Dafne rientrò lentamente dentro lo scrigno. Margherita stupita e incuriosita, si mise subito in contatto con l’altra statuina:
«Oh mio scrigno prezioso
qual è il segreto misterioso?
Oh ragazzo di scuro legno
sono certa che hai ingegno!
Aiuta Dafne la Regina
a trasformare la sua testolina! ».
Ecco che lo scrigno si aprì con decisione e una nuvola nera si espanse per tutta la stanza delineando le fattezze di un giovane molto abbronzato: capelli arruffati neri come la pece e due occhi a mandorla blu come la notte. Il giovane indossava camicia bianca e pantaloni neri, era alto e ben fatto e risplendeva di un bellissimo sorriso. Appena la figura si fu composta interamente, una voce solare e armoniosa disse: «Io sono Cesare, Figlio delle maree. Mia madre ha vissuto tra una spiaggia e l’altra senza fermarsi da nessuna parte. Ho esplorato il mare coi delfini e le balene. L’acqua è il mio elemento, posso restare a fondo tante ore, posso parlare con il popolo del mare, danzare con le meduse e i cavallucci marini. Amo gli abissi, i prati di posidonie, le grotte di coralli. Esploro tutti gli antri senza timore e torno sempre a galla col sorriso. Amo le bellezze rare, le terre sconosciute, le donne affascinanti. In fondo al mare ho pescato questa statua straordinaria. Lei è Dafne, la Regina del deserto, trasformata in statua per essere preservata dalla violenza. Narra la leggenda che un giovane coraggioso potrà liberarla sostenendo varie prove. Io volevo quella donna ed ero disposto ad affrontare qualunque cosa, ma non sapevo come fare. Mi sono imbarcato su un galeone dove c’era un vecchio mago. Mi ha sottoposto a prove massacranti, mi ha fatto scavare oro, portare tesori dagli abissi, disseppellire forzieri dalle campagne e dopo che mi ha sfruttato mi ha trasformato in questa statuina di legno. Poi mi ha posto nello scrigno insieme alla statua di Dafne e mi ha gettato in fondo all’oceano. Solo una bimba innocente mi può liberare dall’incantesimo: buttami in acqua e ridiventerò Uomo. Poi svelami le prove da superare per riuscire a trasformare in donna la mia adorata Dafne».
Detto questo guardò la bimba e la implorò con lo sguardo. Margherita sorrise felice e disse:
«La Regina mi ha svelato il mistero delle prove. Te le indicherò una per volta. Come prima cosa devi cercare lo scarabeo che ride, che si trova in una fessura profonda in mezzo al deserto del Gobi. Rientra dentro lo scrigno e ogni volta che vorrò richiamarti, userò una formula magica. Naturalmente tu e Dafne non dovrete incontrarvi fino all’ultima prova».
Quando il ragazzo rientrò nello scrigno, il coperchio si chiuse, Margherita ci si sedette sopra e ordinò:
«Portaci nel deserto del Gobi!». D’un lampo la bimba si trovò nel deserto che galleggiava dentro il suo scrigno in una splendida pozza d’acqua. Allora prese la statuina di legno e la buttò in acqua. La statua precipitò in fondo, poi senza uno schizzò risalì a galla il bellissimo giovane, ma questa volta era in carne ed ossa. Cesare nuotò spingendo lo scrigno verso riva e poi lo depositò sotto una palma. Pregò Margherita di stare di guardia, quindi partì alla ricerca dello scarabeo. Vide due rocce poco distanti, bianche come la terra lunare, poi osservò il volo di una farfalla gialla che si posò proprio tra di esse. Allora Cesare ordinò:
«Spostati pietra
indietro arretra
apri oh fessura
la grotta scura».
Una volta entrato nella fessura, Cesare discese per molti metri al buio, poi vide una luce fortissima e sentì il suono di una cascata. Nuotò dentro a un fiume affrontando la corrente fino al punto più profondo. Con i suoi occhi blu, illuminò il fondo e sotto una pietra rosa molto piatta trovò lo scarabeo. Prima che riuscisse a prenderlo tra le mani, una figura luminosa si pose davanti a lui, lo allietò con la sua danza e cercò di distoglierlo dal suo obiettivo. Ma Cesare si bendò gli occhi e con il suo coltello tracciò una croce su quell’immagine che divenne nera e spaventosa e poi si dissolse in polvere di carbone. Poté, quindi impossessarsi del prezioso scarabeo. Lo prese tra le mani e ritornò in superficie. Una volta fuori dall’acqua Cesare gli disse:
«Son del popolo del mare
la mia donna ho da liberare
una risata ci allieterà
ed il nodo si scioglierà».
E lo scarabeo iniziò a ridere. Quindi Cesare tornò sotto la palma, ripose lo scarabeo dentro lo scrigno e si preparò per la seconda prova. La bimba gli svelò:
«Ora trasformati in legno
e aguzza l’ingegno
un otre troverai
e il vento catturerai».
Cesare ridiventò una statuina di legno e Margherita ordinò allo scrigno:
«Cerca il vento sotto la luna
il maestrale soffi fortuna
un otre piccolo ma capiente
trovami scrigno mio potente».
Pronunciate che ebbe queste parole, Margherita si trovò in una notte ventosa di luna piena in riva a un lago argentato. Prese la statuina di legno e la buttò in acqua. Essa precipitò nel fondo del lago e subito risalì a galla Cesare con la velocità delle maree più potenti. L’Uomo a un tratto vide una lucciola e la seguì fino a una pianta di lentisco, dove scavò per scoprirne le radici. C’era là sotto una scatoletta di madreperla tutta rivestita di conchiglie, la aprì e vi trovò un sacchetto bianco di pelle d’ermellino con un tappo di rubino rosso. Lo prese e uscì alla luce della luna piena. A quel punto un enorme lupo grigio si materializzò dinnanzi a lui. Aveva gli occhi rossi e i denti affilatissimi. Sbavava come una bestia feroce e ululava spaventosamente. Cesare ebbe paura, ma cercò di rimanere presente a se stesso. Aveva un laccio magico legato alla cintola, lo slegò e gli ordinò di imprigionare la belva. Come il laccio ebbe immobilizzato il lupo famelico, la bava divenne un fiore bianco, gli occhi si trasformarono in due rose scarlatte e i denti caddero a terra come scintille luminose. Il profumo dei fiori era dolcissimo e sommessamente Cesare cantò:
«Mia dolce luna argentata
stanotte t’ho osservata
anche se sei così lontana
la mia richiesta non sia vana
fai entrare di maestrale il vento
quando io soffio felice e contento
ora che tolgo questo rubino
mettilo dentro entro il mattino».
Il giovane pose la sua bocca sull’otre e soffiò con tutta la forza dei suoi polmoni. Mentre soffiava, il vento incominciò e cessare e quando all’alba finì di soffiare, il vento era scomparso. Mise immediatamente il tappo di rubino, poi ripose nel fondo dello scrigno anche l’otre pieno di vento, esclamando:
«La seconda prova è superata
svelami l’altra richiesta della fata».
Margherita rispose:
«Devi pescare la conchiglia d’oro nella fossa delle Marianne.
Ora trasformati in legno
e aguzza l’ingegno
un pesce ti guiderà
alla conchiglia ti porterà».
Cesare ridiventò una statuina di legno e Margherita ordinò allo scrigno:
«Portaci nella fossa profonda
cerca l’abisso nel cavo dell’onda».
Dette queste parole, immediatamente Margherita si trovò in corrispondenza della fossa. Allora prese la statuina di legno e la buttò in acqua. La statuina precipitò verso il fondo e subito risalì a galla con la velocità delle sue forti braccia. A quel punto Cesare vide una ricciola di straordinaria bellezza e la seguì verso l’abisso. La ricciola si muoveva verso il nero del fondo con la disinvoltura che hanno i pesci più eleganti e Cesare fu attratto dal suo movimento dolce e sinuoso. Arrivarono a toccare il fondo e si trovarono all’entrata di una grotta. La ricciola si ficcò là dentro e Cesare entrò in un cunicolo strettissimo pieno di alghe oscure. Le alghe divennero ben presto mostri marini spaventosi che agitavano i loro corpi minacciosamente verso di lui. Il percorso era bloccato, i mostri sembravano implacabili e Cesare stavolta pensò di dover perire sotto il loro potere oscuro. Veniva attratto in quella morsa attorcigliante che gli levava ogni energia. Le propaggini ombrose cominciarono ad ingabbiarlo e a stritolarlo con forza fino a impedirgli ogni movimento. Fu immobilizzato da infiniti fili sottili, da braccia ombrose, da tentacoli fortissimi e non sapeva come fare. Non poteva urlare perché gli avevano tappato la bocca, gli occhi erano chiusi da un tentacolo spugnoso e solo la punta del naso era libera di respirare, ancora per poco.
A un tratto la ricciola si fece splendente, i suoi occhi divennero di fuoco, partirono verso il groviglio come due razzi infuocati e bruciarono in men che non si dica tutti i fili. Cesare fu miracolosamente libero e poté finalmente proseguire il suo viaggio. Percorso tutto il cunicolo che ormai non faceva più paura, trovò una camera illuminata dallo splendore di alcune stelle marine. Sopra un corallo vermiglio c’era la conchiglia tutta d’oro, straordinaria, splendente, rilucente della luce pura dell’oro.