Questo monte è stato battezzato a ragione dagli italiani “Monte Pianto”. Tanto sangue è già costato e tanto ne costerà ancora a noi e agli italiani che non so proprio se il suo possesso possa giustificare un così grande sacrificio per noi e per loro. Quanti morti sono qui sepolti! Quanti morti davanti alle trincee! Se questo sia necessario davvero non lo so; so soltanto che questo vogliono coloro che stanno nelle retrovie, con i loro ordini perentori. Del resto tutto ciò non mi riguarda: io devo soltanto obbedire.
(Ignoto Capitano austriaco)
Ero già stato diverse volte sul monte Piana, sempre salendo dal versante “italiano, ma anche il Piana, come tutte le montagne che furono teatro degli scontri tra italiani e austro-ungarici, ha sempre, per quante volte ci si vada, qualcosa di nuovo da far vedere o da scoprire. Questa volta infatti avevo deciso di salire da Landro per il Sentiero dei Pionieri per poi deviare e salire l’ultimo tratto della parete che porta alle retrovie austriache dell’accampamento alla destra, lungo il sentiero attrezzato dedicato al colonnello austriaco Bilgeri, celebre alpinista e pioniere dello sci alpino, ideatore anche di uno dei tipi di attacchi per sci in uso tra le truppe alpine austro-ungariche. La via ferrata segue appunto il tracciato individuato dal Bilgeri, addetto ai sistemi viari del settore monte Piana, come il più defilato al tiro nemico per raggiungere la sommità settentrionale del monte. Il completamento del sentiero iniziato nel 1916 avvenne tra luglio e agosto del 1917. Il sentiero dopo la guerra andò pian piano scomparendo, fino a che i Dolomitenfreunde, l’associazione fondata nel ’73 da Walter Schaumann, per ripristinare i manufatti di guerra in molti luoghi delle Dolomiti, non trovò nell’archivio militare di Vienna la relazione tecnica stilata dallo stesso Bilgeri, che portò, nel 1980, alla completa ristrutturazione del sentiero, munendolo di adeguati sistemi di sicurezza.
La salita, dopo aver attraversato le acque del Rienza Nera che alimenta il lago, si snoda lungo il Sentiero dei Pionieri. Questo sentiero, che con ripide serpentine, sale in quota lungo il versante nord-occidentale del monte Piana (il versante austriaco del monte viene chiamato monte Piano, quello italiano monte Piana, per comodità userò sempre la dicitura italiana Piana) deve il suo nome al fatto che, ancora prima dello scoppio della guerra, le truppe austriache avevano creato questo sistema viario che poi divenne la loro principale via d’accesso al settore. Già dopo i primi tornanti, molti poggianti su splendidi muretti a secco, il pensiero va alle interminabili corvè, che prima della costruzione dei due tronconi della teleferica, che partiva da Landro verso le postazioni in quota, salivano con i loro carichi sulle spalle lungo queste balze rocciose, passando accanto alle tombe dei compagni caduti, e sepolti nel piccolo cimitero di quota 2024...
Poco più su della croce in ferro che attualmente indica la posizione dove sorgeva questo cimitero, incontriamo i resti della stazione intermedia della funivia e quelli degli ex rifugi militari per le truppe in transito, per i portatori, i macchinisti della funivia e gli addetti alla manutenzione del sentiero. Lasciata a sinistra questa deviazione, saliamo ancora per una cinquantina di metri fino a portarci sotto la parte della sommità settentrionale, dove una doppia targa in italiano e tedesco, indica l’inizio del Sentiero in memoria del Col. Bilgeri. Dopo aver indossato l’imbrago e il caschetto, qui quanto mai opportuno viste le frequenti cadute di sassi, si inizia la salita. La ferrata non presenta grosse difficoltà tecniche, tranne la salita, dopo il primo terrazzino di sosta, lungo uno stretto e verticale camino, però ben attrezzato con cavo e pioli. Risalita l’ultima gola sulla destra con l’ausilio di corde di sicurezza, sbuchiamo nei pressi dell’ex comando di battaglione, quindi per le solite “facili roccette” arriviamo in cima al pianoro dove si trova la Croce di Dobbiaco. Panorama meraviglioso sulle più famose cime dolomitiche, le Tre Cime, il Paterno, i Cadini di Misurina, il Cristallo, la Croda Rossa d’Ampezzo… che ci fa capire anche perché durante il conflitto questo monte rivestisse una così alta importanza strategica…
Proseguiamo il nostro percorso ritornando sulla dorsale del monte per poi scendere leggermente fino ad arrivare alla larga cengia dove una volta c’erano le baracche dell’accampamento ala sinistra. Qui troviamo l’entrata della galleria dei Kaiserjager, con il suo bel portale in cemento, ricostruito nel 1978, recante al di sopra della volta gotica uno stemma in rilievo dei reggimenti Kaiserjager tirolesi. All’interno della galleria trova posto un vagonetto militare ricostruito usando anche pezzi originali che serviva per il trasporto del materiale e che corre lungo delle rotaie di una piccola linea a scartamento ridotto ricostruite anche queste studiando alcune foto d’epoca.
Usciti dalla cengia ci troviamo nei pressi delle postazioni austriache di prima linea. Questa serie di trincee e gallerie fa parte dei vari caposaldi di prima linea che gli italiani impossibilitati a penetrarvi con i soliti attacchi frontali cercarono di far saltare con una mina, progetto abbandonato, anche se ormai quasi al termine, per il timore di una contromina austriaca… qui si infransero i vari assalti italiani e la visita delle postazioni in galleria con le feritoie che si aprono sul campo di battaglia da dove le Schwarzlose austriache vomitavano il loro gracchiare di morte, può rendere l’idea dell’assurdità di certi ordini impartiti da chi vedeva il campo di battaglia solo con il binocolo… e dell’assurdità della guerra in generale.
Scendiamo verso la forcella di Castrati, fino ad arrivare alle trincee della Guardia Napoleone, punto massimo di penetrazione frontale degli italiani. Da qui proseguendo si risale la dorsale fino alla capanna Carducci e ai sentieri che portano alla visita delle postazioni italiane. Prendiamo a destra per il sentiero dei Turisti. Giunti al primo bivio cominciamo a scendere, prima su una stretta traccia di sentiero su ghiaia, poi per facile sentiero tra i mughi, fino a una gola franosa dove una lunga scalinata di legno porta a un tratto attrezzato facile… Il sentiero prosegue in rapida discesa fino al greto del torrente e alla biforcazione che a destra ci riporterà in breve al punto di partenza.
Anche lungo questo sentiero si incontrano resti di gallerie e postazioni austriache facenti parte del fianco sinistro del settore “Ponte di Confine” con le varie zone denominate Piano I, II e III. Lungo questo sentiero salirono gli austriaci per il loro primo vero attacco alle postazioni italiane del Pianoro sud, nella notte tra il 6 e il 7 giugno 1915. Così Antonio Berti descrive nel suo Guerra in Ampezzo e Cadore le fasi cruciali della battaglia: (…) Gli attaccanti salgono uno dietro l’altro favoriti, oltre che dal buio, da una pioggia fine e dalle brume che precedono l’alba. Si avvicinano con le scarpe fasciate di tela, nel più assoluto silenzio; giunti sull’orlo del tavolato, ancora coperto di neve, si distendono e innestano le baionette. Le loro sagome si profilano d’improvviso agli italiani, vicinissime, e quasi nello stesso istante crepita la loro mitragliatrice. All’allarme subitaneo il grosso del presidio italiano accorre quanto più presto può, mentre gli avamposti fronteggiano sul posto e trattengono gli assalitori. I tenenti fratelli De Pluri e il tenente De Toni accorrono con i loro plotoni verso la Piramide Carducci, maggiormente minacciata. Il tenente Giuseppe De Pluri, che procede a sinistra, segnala al fratello forze nemiche che avanzano da destra. Immediatamente il tenente Giovanni De Pluri e il tenente De Toni spostano verso destra i rispettivi plotoni. Durante lo spostamento De Toni viene ferito all’addome (morirà due giorni dopo ad Auronzo, chiedendo, fino all’ultimo istante, notizie del monte Piana). Giuseppe De Pluri, resistendo al dolore di una gamba ferita, punta alla testa del suo plotone sulla Piramide Carducci e si avventa alla baionetta sul nemico. Colpito da una pallottola di mitragliatrice si abbatte, ferito a morte, alla base della Piramide. Cadono con lui nella mischia 22 dei suoi alpini. I superstiti del plotone De Pluri, impossibilitati a ritirarsi verso il ciglio sud-est dal tiro della batteria dell’Alpe di Specie, premuti dagli austriaci verso il ciglione meridionale del monte, dove il pianoro si rompe in profondi dirupi, sfuggono pericolosamente in valle quei dirupi. Di laggiù aggirano il monte e rapidamente risalgono a ricongiungersi con i compagni che continuano a combattere sul pianoro. Cadono 18 austriaci; il numero dei caduti italiani è molto superiore: circa 100 alpini tra morti, feriti e dispersi. Un alpino, fatto prigioniero, riesce a sfuggire; vaga per quattro giorni tra i dirupi e i boschi; poi rientra, e rientrando racconta che nel giorno dell’attacco il comandante austriaco, visto cadere il tenente De Pluri, approssimandosi a lui, gli ha stretto la mano e riconsegnata la pistola.
A questo primo attacco, seguirono altri attacchi fino all’ottobre del 1917, quando gli italiani dovettero abbandonare il monte che tanto sangue era costato, a causa dello sfondamento da parte degli austro-germanici a Caporetto… e così sul monte Piana, come del resto in tutto il fronte dolomitico, ritornò il silenzio e la pace.
Siamo ormai giunti alla fine del nostro giro storico. Dal parcheggio, la mole di questo monte, a prima vista insignificante messo a confronto con le più rinomate cime dolomitiche che lo circondano, incombe come una minaccia oscura sulle verdi acque del piccolo lago di Landro. Così, forse sarà apparso anche alle migliaia di soldati che si apprestavano a salirlo, e che forse non ne sarebbero mai più discesi. A noi resta solo la possibilità di percorrere questi sentieri con la consapevolezza che qui qualcosa di “grande” è successo, qualcosa che va oltre la nostra percezione, ma che resterà per sempre nella memoria e nel cuore di chi vorrà amare queste rocce e ascoltare la loro voce.