Danzaterapeuta, con precedenti esperienze di animatrice sociale e culturale, fondatrice e direttrice dell’associazione Viaggiatori dell’anima e della compagnia Dreamtime, che promuovono l’integrazione di persone diversamente abili, Paola Banone è stata insignita del prestigioso Ambrogino d’oro, uno dei massimi riconoscimenti della città di Milano.
Buongiorno Paola, ci parli di lei.
Sono una persona molto timida che si è posta e continua a farsi domande su temi universali quali la vita e la morte, la gioia e la felicità cercando una risposta al dolore che ci attraversa e ci accompagna dalla nascita all’ultimo respiro. Penso a come risolvere le dualità maschile e femminile, bianco e nero, e da milanese convinta, che abita in una Milano sempre più internazionale e dunque abituata a fare e a produrre, immersa in una dimensione molto terrena, cerco tranquillità. La mia aspirazione e tensione contemporanea di cinquantunenne che vive nel qui e nell’ora, tende all’azzurro infinito del cielo e al verde cristallino delle acque terrestri, in una ricerca di pace interiore volta a un ritmo di vita più lento e rispettoso del tempo di tutti. Vorrei parlarvi di gioia, della mia gioia e quella dei miei allievi della Compagnia Dreamtime, il collettivo artistico con cui studiamo insieme, dal 1999, come combattere lo stigma della diversità, della malattia e la follia tramite le arti sceniche e performative. La mia vera gioia, in definitiva, è quando i miei allievi mi guardano negli occhi e sorridono, perché si sentono guardati, amati, dunque vivi.
Ci racconti il suo percorso…
Sono impegnata da 30 anni in campo sociale nella realizzazione di progetti a favore dell’inclusione delle categorie di persone più fragili e indifese. Provengo dallo sport e dall’organizzazione di progetti sport e tempo libero a favore di tutti, nessuno escluso, e ho aperto la mia prima associazione di volontariato che si chiamava Libero per Tutti, nel 1994. La storia è lunga ma per riassumere sono presidente a tutt’oggi di un’altra associazione culturale, Vi.d.A., che produce il progetto con base a Milano Dreamtime, un Festival Internazionale, e dell’omonima Compagnia. Quest’anno, lo spettacolo treD: Design, Danza, Disability è stato presentato al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano, un’esibizione di teatro-danza solo 10 anni fa impensabile: danzatori professionisti , ballerini del Teatro alla Scala di Milano accompagnati dalla già direttrice della Scuola di Ballo, Anna Maria Prina, e otto danzatori abili e disabili della Compagnia Dreamtime, che guido in quanto direttrice artistica, in un percorso di ricerca sulla Danza e l’Abilità che abita ciascuno di noi.
Ha parlato della dualità maschile-femminile…
Responsabilità, rispetto e fragilità. La parola che io sento più forte, che mi risuona dentro, pensando alla condizione femminile e ai rapporti donna-uomo in generale è responsabilità, seguita a ruota dal rispetto per la donna in quanto “corpo collettivo” e in quanto “donna-oggetto” abusata, mercificata e mistificata, sia nella cultura iconografica contemporanea, nel mondo della comunicazione che corre veloce sul web, sia nei rapporti interpersonali in cui la donna che guadagna, lavora e decide rappresenta una minaccia per l’uomo secondo me terrorizzato. Infine la fragilità, che è il tema che mi affascina nella mia ricerca artistica e poetica per la scena contemporanea sul gesto individuale e il movimento interiore di ciascuno di noi. La fragilità e le nostre emozioni che diventano vera forza a cui appoggiarsi per scoprire la nostra vera natura che non è né maschile né femminile, non mi interessa la connotazione di genere, semmai energetica ying e yang, ma semplicemente umana, finita e limitata.
Donna e/è potere…
In relazione al potere e alla gestione del potere, credo che ancora una volta debba avvenire un ricambio evolutivo generazionale che può essere operato solo tramite la cultura, spegnendo la tv, usando la rete in modo sano e non facendosi dominare, studiando la storia, frequentando teatro e musei, educando le nuove generazioni al bello e alla vita. Questo è il motivo principale che mi sostiene e grazie al mio entusiasmo continuiamo, nonostante la grande crisi di valori ed economica finanziaria con tagli vergognosi alla cultura, a produrre arte e spettacoli e siamo impegnati in campo artistico sociale ed educativo. Certo è che se la nostra azione strategica e combinata a livello di collettivo diventa anche riabilitativa per noi in primis e per gli altri, i fruitori, il pubblico, ecco allora mi sento di dire che “Donna è potere” perché gli uomini nel campo dell’assistenza, della cura, della danza e della disabilità sono sempre pochi e poco interessati alla danza.
Quali sono state le esperienze, gli incontri, le motivazioni che l’hanno portata a divenire danzaterapeuta?
"La danza non è uno sport" eppure il fatto di provenire dallo sport in quanto tennista semi-professionista a 18 anni, mi ha portato nel tempo e con la crescita ad aumentare la mia consapevolezza e la mia curiosità di acquisire una sempre maggiore coscienza corporea. Lo spirito di avventura, il desiderio di conoscenza e la mia curiosità mi hanno condotto nel 1999 in Provenza, vicino ad Avignone, a incontrare il mio vero primo Maestro, Herns Duplan. Haitiano di nascita, ballerino della Katerine Dunham technique, creatore del tema di ricerca filosofico da Lui nominato Expression Primitive. Attribuisco a Lui l’avermi introdotto al vero primo incontro con il mio corpo in quanto strumento originario che ci è dato dalla nascita alla morte e con cui dobbiamo fare i conti. Il corpo è inteso in tale ottica come legame tra Nadir e Zenith tra terra e cielo. In questo senso la danza, o meglio il sogno di ogni danzatore, è quello di librarsi in volo e lasciare la terra come nei voli estatici dei dervisci rotanti. Duplan mi disse più di una volta “non è importante Paola il peso che porti ma come lo porti”. Mi si aprì un mondo e da lì credo sia cominciata la mia ricerca che afferisce alla psicologia cognitiva-emotiva comportamentale, bioenergetica, gestaltica, transpersonale, sistemica-costellativa con riferimenti al lavoro di Hellinger. Nel 2011 l’incontro con Anna Maria Prina la grande direttrice e formatrice del balletto classico italiano, maestra della migliore generazione di ballerini scaligeri italiani tutt’ora in attività, è stato qualche cosa di magico. Mi sono lasciata guidare da Lei e dalle sue allieve quali l’Etoile Carlotta Zamparo e la Prima Ballerina scaligera Maurizia Luceri, alle quali sono molto riconoscente.
Quale dialogo, scontro, estraneità ha riscontrato nel rapporto tra la psiche e la fisicità?
Ho parlato prima di un “corpo collettivo” e vorrei aggiungere una riflessione sul corpo come contenitore di emozioni. La vita contemporanea di città ci obbliga a una velocità che non rispetta i nostri tempi “naturali’. L’utilizzo della tecnologia e i social network non facilitano le relazioni de visu, dal vero e reali. Credo che un approccio sano al vivere moderno sia un recupero del proprio corpo in relazione agli altri per armonizzare, grazie all’utilizzo della Danza e delle arti terapie, il rapporto psiche e fisicità. Per rispondere in due battute su quanto concerne il nostro lavoro di ricerca, siamo orientati sui temi della self exstime (autostima) e dell’immagine corporea quale ultima frontiera di ricerca per le nuove patologie, con l’utilizzo di AquAbilità, della fotografia e dei video, in collaborazione con il fotografo professionista Franco Covi.
È presidente dell’associazione Viaggiatori dell’anima: ce ne può parlare?
L'Associazione Culturale Viaggiatori dell'Anima nasce nel 2001 con l'intento di occuparsi di proposte per il tempo libero e le vacanze delle persone disabili. Persegue questo suo obiettivo introducendo come strumento ricreativo e riabilitativo le arti sceniche e performative in particolare la danza. Con il passare degli anni nei progetti di danza dell'associazione Vi.d.A. pone sempre di più una maggiore attenzione all'aspetto artistico e performativo oltre che a quello riabilitativo e terapeutico. Le performance acquisiscono connotazioni sempre più vicine al prodotto spettacolare. In seno all'Associazione Vi.d.A. nasce il progetto Dreamtime Festival Internazionale di danza e disabilità organizzato dall'associazione stessa. Viene fondata una compagnia di danzatori con o senza disabilità (Dreamtime cie) che propone al pubblico spettacoli di profondo contenuto emotivo e artistico. Fanno parte dell'equipe del progetto Dreamtime danzaterapisti, insegnanti di Danceability, un medico, un fotografo, danzatori e coreografi professionisti. In particolare collaborano a questo progetto ballerini e coreografi del Teatro alla Scala di Milano.
Si aspettava l’assegnazione dell’Ambrogino d’oro?
È stata una bellissima sorpresa, qualcuno della mia associazione per due anni ha presentato la mia candidatura, a mia insaputa, perché riteneva importante il lavoro che con coraggio, determinazione e passione stavo portando avanti nella città di Milano e Provincia.
Milano è una città amica degli “originariamente abili”?
Milano, come la maggior parte del territorio italiano costituito da città d’arte è fortemente “barrierata”. Costruire spazi più pensati a livello di barriere architettoniche significherebbe città più vivibili in cui vivrebbero meglio tutti, anziani, mamme con bambini, persone disabili. Io credo che il livello di cultura di un paese si misuri dal livello di integrazione di tutte le persone più fragili, rendendo accessibili e fruibili tutti gli spazi dedicati alla vita sociale e della collettività.
Se dovesse realizzare uno spettacolo di balletto “en plein air”, quali luoghi, ambienti, spazi della città sceglierebbe?
Sicuramente il teatrino Burri alla Triennale di Milano, Piazza Gae Aulenti e gli spazi antistanti la nuova sede della Regione Lombardia, per citare i più facili. In realtà stiamo progettando il lavoro che monteremo in residenza al 70° Festival d’Avignone dal 11 al 24 luglio 2016. A Milano lo presenteremo nel mese di settembre partecipando con una Street Parade nel quartiere Isola a un Festival organizzato da Spazio K. Disegneremo insieme alla Compagnia Dreamtime e alcuni “special guests” un percorso strategico. Abiteremo nuovi spazi urbani, i mezzi pubblici e forse un situazione sociale, con una performance innovativa aperta a chiunque vorrà partecipare.