Oggi decido di intervistare un disponibile e affabile Gaspare Caramello, ammantato dell'umiltà propria solo dei più grandi fra i grandissimi, per diverse ragioni. La prima di queste è la consapevolezza che chi scrive i libri di storia, siano essi boriosi elenchi di fatti e gesta compiuti da politici, militari e finanzieri o la descrizione degli articolati processi intellettuali che portano ai mutamenti del sentire e dell'esprimersi degli artisti, sempre lo fa privilegiando notizie e aneddoti volti a giustificare il venirsi a creare dello status quo degli equilibri (o meglio degli squilibri) del potere, relegando nel dimenticatoio il lavoro di quanti quel potere osteggiano.
Si tratta quindi di contribuire a lasciare una traccia del prezioso lavoro intellettuale di uno degli spiriti più attenti e laboriosi del suo tempo, acuto nell'analisi dei fatti e geniale nell'elaborazione del suo messaggio di sintesi, nel puntare il dito a indicare quali siano le reali problematiche e sfide alla cui ricerca di una soluzione l'uomo contemporaneo non può e non deve sottrarsi. Infatti gli ultimi lavori No Global Warming sono solo l'apice di un percorso intellettuale e artistico che vedono nel maestro Caramello un faro nel buio della decadenza e dell'ignoranza, che svolgono a corte il ruolo di consiglieri.
Credo poi sinceramente che le forme espressive privilegiate da Caramello, che non è mai invecchiato e ha saputo interagire col trascorrere del tempo e il mutare degli strumenti, costituiscano ancora oggi, come negli ultimi cinquant'anni una prova inconfutabile del suo stazionare in forma permanente fra l'avanguardia artistica e intellettuale. Stiamo parlando di un artista eclettico, che produce pregevoli opere visive eseguite in "action pixeling", tecnica da egli stesso concepita e che non smette di esplorare nuove dimensioni del suono attraverso il suo Movimento di Liberazione Strumentale. Sarebbe inutile spendere ulteriori parole per presentare un artista che è necessario studiare e con cui si deve interagire a partire dalla sua opera, di cui sono presenti abbondanti tracce sul web.
Maestro Caramello, come ti poni in fronte alla mia affermazione che, sebbene di potente impatto estetico, sebbene vigorosa scossa a una morale borghese stantia, la rivoluzione culturale del ’68 non ha mantenuto le proprie promesse, fino forse addirittura rivelarsi funzionale al potere che negli intenti avrebbe dovuto osteggiare?
Possiamo rispondere con la genialità espressa nell’immagine che ti mostro (la recupera dall’album del proprio telefono), in cui vediamo i burocrati retrogradi del partito, che Mao Tze Tung, nel contesto della Rivoluzione Culturale Cinese, ha esposto al pubblico ludibrio, con tanto di berretto d’asino sulla testa, prima di estradarli a zappare la terra nelle comuni contadine cinesi, allo scopo di farli riappropriare della coscienza rivoluzionaria e sottoporsi al processo di autocritica. È proprio l’autocritica il principio che deve ispirarci nelle nostre attività creative e che purtroppo la maggior parte dei compagni di allora ha dimenticato per uniformarsi a un mercato strumentalizzato dal capitale.
Sottolineo l’enorme significato di ottenere in risposta alla prima domanda posta a uno dei Maestri rivoluzionari e avanguardisti dell’arte visiva del nostro tempo, in particolare il padre del Transconcettualismo, proprio un’immagine. Maestro Caramello, regali alla nostra generazione un’immagine altrettanto suggestiva, a partire dalla quale poter comprendere il nostro tempo, liberarcene, proseguire la costruzione del ponte per l’Età dell’Oro: come rappresenterebbe Licio Gelli in trittico?
L’immagine di Licio Gelli in un trittico non può discostarsi dall’arte iconografica della Toscana ante Giotto. Il trittico dovrebbe apparire come un quadrato sormontato da un triangolo. All’interno del triangolo il volto del Venerabile Maestro con il capo coperto dalla tiara del Papa, nella parte inferiore, divisa in due immagini, lo stesso nudo che si specchia bilateralmente. Il tutto va ovviamente inserito in uno sfondo circolare, completamente dorato.
Maestro Caramello, gradirei molto ascoltare il tuo punto di vista in merito agli eventuali orizzonti che si aprono in fronte all’esigenza creativa dell’artista maturo, che si sia formato nel corso del rapido sfacelo della pubblica istruzione (senza scampo o remissione per l’Accademia) e che sia costretto dal proprio anelito espressivo a creare, nello scenario della grande decadenza che sempre si accompagna alla recessione economica…
Premesso che la risposta richiederebbe un’analisi e una dissertazione troppo lunga, preferisco risponderti con il progetto di una installazione che la domanda stessa mi ha testé ispirato: pensiamo a un anziano che soffiando con vigore gonfia un enorme palloncino completamente dorato, nel momento in cui il palloncino giunge alla sua massima dimensione, un bambino lo scoppia con la punta di uno spillo.
Maestro, vorrei trarre lo spunto per la prossima domanda dalla predominanza cromatica di questa nostra chiacchierata: il colore dell’oro. Abbiamo forse trasformato del piombo senza che me ne sia dato conto? O forse il colore rimanda a quello del metallo che da sempre l’arte finanzia e che è lo strumento per appropriarsene?
Mi piace vedere questa intervista come una ricerca alchemica, che vuol trasformare il piombo in oro ma, nel nostro caso si vuol portare a termine l’operazione inversa: riportare l’oro al piombo. Sostengo sempre che l’arte debba riappropriarsi della propria connotazione Rivoluzionaria e Popolare, caratteristica delle Avanguardie Storiche e delle Neoavanguardie degli anni ’50 dello scorso secolo. Il mercato dell’arte, le gallerie, le organizzazioni (più o meno) culturali al servizio del potere vogliono far apparire oro il vuoto, l’assenza di idee, il bieco conformismo a stereotipi mentali precostituiti. Il fruitore oggi è come il cane bulldog del cugino Nino di Torino. Chi come me ha vissuto la sua infanzia negli anni Cinquanta può ricordare una famosa marca di liquore che abbinava alla bottiglia due bellissime ciliegie di plastica. Ogni estate veniva a trovarci il cugino Nino di Torino con un antipatico cane bulldog che ci abbaiava sempre dietro ed era ghiottissimo di ciliegie. Un bel giorno, mio cugino discolo, accanto al piattino di ciliegie preparategli dalla nonna, ne ha predisposto uno con quelle di plastica e lui imperterrito, attratto dalla bellezza esteriore, le ha divorate tutte, lasciando da parte quelle autentiche che con tanto amore la nonna gli aveva preparato.
È dunque il Mercato il colpevole del peccato originale che trasforma l’arte da sublime e ineguagliata forma liturgica a scabrosa industria di beni di lusso da investimento finanziario?
Premettendo che non considero affatto l’arte una liturgia bensì ritengo debba essere una forma di affrancamento dai vincoli e gli oneri di una struttura sociale che riduce l’uomo in schiavitù, creando in continuazione bisogni indotti, il mercato attualmente cerca di imporre al pubblico dei cliché mentali ispirati a una falsa e bieca teoria tardo-romantica per cui l’artista è tale solo se è uno sprovveduto colpito improvvisamente, con una specie di fulmine di Giove ispiratore, che gli permette di trasformare in arte ogni sua “creazione”. Il mercato ha creato critici ignoranti che a loro volta creano artisti che per forza di cose devono essere più ignoranti di loro. È inaccettabile che un artista oggi non conosca il percorso della storia dell’arte, della storia del pensiero, della finalità del suo stesso messaggio. L’arte deve trasmettere un messaggio di impegno civile e sociale, nell’ottica di porre l’Uomo e la sua spiritualità al centro di un mondo che deve essere armonico.