La coscienza è molto più della scheggia, è il pugnale nella carne.
(EM Cioran)
Anche se è passato un anno ad aprile, la mostra Coscienze Accese, alla Galleria La Fortezza a Gradisca d'Isonzo, in provincia di Gorizia, merita uno sguardo attento per avvicinarsi, conoscere e approfondire pratiche artistiche e curatoriali di una giovane generazione.
ON - OFF. on - off. La coscienza alla stregua di un interruttore funziona solo con la volontà di un gesto. Coscienze Accese è un gesto che la curatrice insieme agli artisti hanno compiuto per provocarci l'inizio di una combustione cerebrale. I cinque artisti selezionati, Barbara Baroncini, Con.Tatto, Daniele Pulze, Debora Cavazzoni, Jessica Ferro appartengono tutti più o meno alla stessa generazione. Una generazione che si interroga sul senso di interpretazione della vita e dell'arte.
Risvegliare la coscienza che in questo caso per me diventa sinonimo di conoscenza è voler scavare e scivolare nel corpo, nella carne del sapere alla stregua di una lama. In per non essere banale Barbara Baroncini ci propone un lavoro composto da otto frasi incise su zinco, brevi affermazioni che utilizzano gli stereotipi della comunicazione nelle cartoline postali, pensate per essere ipoteticamente inviate da chiunque, per chiunque. L'artista ribalta letteralmente, semioticamente e semanticamente l'ordine dell'ordinario. Lo spettatore qualunque è così costretto ad accendersi di nuovo sguardo per poter non essere banale.
Nei video proposti dal duo artistico Con.Tatto quello che si vuole indagare sono le relazioni, tra noi e l'altro ma anche tra noi e le nostre fragilità che in realtà non sono che abilità. Nei lavori di Con.Tatto il corpo diviene strumento di indagine e di riflessione della conoscenza che abbiamo o che ancora sicuramente non deteniamo sull'essere umano.
Debora Cavazzoni invece si interroga sul senso della tassonomia scientifica e innesta cortocircuiti nella fruizione. In Sinestesia, ad esempio, numerosi volatili vengono messi sotto vuoto in barattoli che normalmente sono impiegati per conservare alimenti; l'etichetta utilizzata per l'identificazione non è che una rilevazione di differenza. Ogni grafico della frequenza del cinguettio diventa un elemento incomprensibile per l'osservatore, che non può che percepire l'inesprimibile diversità nella categorizzazione.
Daniele Pulze per questa occasione ha pensato invece a un preciso site-specific. Le opere dell'artista, non a caso, solitamente nascono in relazione allo spazio che le ospita. Pulze è inoltre interessato all'interazione possibile tra un evento fisico e la sua immagine, il suo lavoro si ispira alla patafisica di Alfred Jarry, e in The very very big green balloon's room un grosso pallone verde va a inserirsi tra gli spazi della galleria. Le possibili descrizioni che accompagnano l'opera dimostrano l'anima patafisica dell'artista; il pallone verde può far convivere tante realtà, così si passa dall'ossigeno prodotto dalla cannabis a Salvini, dagli scarti Apple agli ecosistemi autosufficienti, alle sonde utilizzate da Google per mappare; l'archeologia di possibili soluzioni vive nel macro spazio dilatato dell'assurdo.
Le pitture e le xilografie di Jessica Ferro si ispirano invece al mondo dell'entomologia, le metamorfosi e le mutazioni di forme che compaiono alla visione spiazzano e conducono lo spettatore in un fitto e ossessivo reiterarsi di dettagli macroscopici. Ciò che appare in un modo quasi mai lo è, e in questo caso l'occhio scientifico e ispettorio dell'artista ci accompagna in un viaggio a un livello profondo e regresso negli interstizi della natura. La coscienza è un essere espanso, tellurico, sensibile e in un certo senso selvatico che richiede una sollecitazione attenta, attiva e intensa. La coscienza vuole accendersi e ha bisogno di farlo soprattutto oggi, nel pieno trionfo capitalistico dell'anestesia, perché, diciamolo, al potere fa comodo una conoscenza spenta e omologata, connessa a una scevra consapevolezza.
A volte gli interruttori di accensione non sempre sono facilmente raggiungibili, il sapere e la conoscenza sono a portata di mano solo per quelli che quella mano vogliono tenderla, e allora porto con me l'immagine di quando ero bambina e in punta di piedi mi tendevo verso l'alto, con la volontà di un gesto, il salto per accendere la luce diveniva così il simbolo di uno sforzo, di una tensione verso qualcosa.
È così che Coscienze Accese vuole innescare, come in un domino, un gioco perpetuo di oscillazioni di senso volte come proiettili a risvegliare dal torpore e dal sonnambulismo critico, pensieri di meravigliosa e incosciente significanza.