Già nel 1914, subito dopo l’attentato di Sarajevo del 29 giugno, nonostante la neutralità dichiarata dall’Italia, Venezia fu coinvolta direttamente dagli avvenimenti che da esso scaturirono. Dopo appena un mese e poco prima dell’inizio delle ostilità tra Austria e Serbia, trasportati dai piroscafi Tripoli e Derna arrivarono in città i primi profughi da Trieste. Il 20 settembre la Federazione Gruppi Nazionalisti Veneti manifestarono assieme agli artisti veneziani contro i “vandalismi teutonici” dovuti ai bombardamenti contro i monumenti delle Fiandre.
Sempre in questo mese l’Italia presentò una denuncia formale al governo austriaco per le mine disseminate nell’alto Adriatico che creavano problemi alla libera navigazione e alla pesca. Molto attivi furono in città i gruppi interventisti contro l’Impero asburgico, tanto che già il 29 agosto durante un concerto della banda municipale in piazza San Marco un gruppo di giovani chiese che fosse suonato l’inno reale e poi quello di Mameli. Fu concesso il primo negato il secondo il che scatenò la reazione dei giovani che dovette essere sedata dai reali carabinieri. Del resto non poteva essere altrimenti visti i precedenti rapporti tra la Serenissima e l’impero asburgico non molto “amichevoli” già durante il risorgimento, tanto che nel Consiglio convocato da Daniele Manin il 2 aprile 1849 si decretava che “Venezia resisterà all’austriaco ad ogni costo!” con le conseguenze storico-militari ben note.
Come sappiamo l’Italia attaccò l’Austria – Ungheria il 24 maggio 1915 ma già il 21 aprile, quindi ancor prima del patto di Londra del 26 dello stesso mese con il quale l’Italia si impegnava entro trenta giorni ad entrare in guerra a fianco della Triplice Alleanza contro gli ex alleati austriaci, nel consiglio comunale a Venezia si discusse della messa in sicurezza dei beni artistici e architettonici della città, segno che già tutto si sapeva o almeno si supponeva con una certa sicurezza di quando, come e con chi l’esercito italiano sarebbe entrato nel primo conflitto mondiale. Un primo provvedimento fu subito quello di imbiancare l’angelo dorato del campanile di San Marco che con la sua lucentezza sarebbe stato un buon punto di riferimento per gli attacchi nemici.
Nel 1915 il concetto di “Bene dell’Umanità” da salvaguardare ad ogni costo non esisteva ancora come lo conosciamo adesso, tuttavia una certa sensibilità verso il patrimonio artistico e culturale di Venezia indusse i governi degli Imperi Centrali a proporre all'Italia una condizione di “inviolabilità” della città. Tutto ciò in cambio della rinuncia all'utilizzo delle strutture industriali e portuali a scopi militari. L’Italia, ovviamente, rifiutò tale offerta per diversi motivi, tra cui la erronea ritenuta breve durata del conflitto, la sottostimata realtà e pericolosità aeronautica nemica e l’importanza strategica dell'Arsenale, del porto e di tutte le strutture ad essi collegate.
L’Arsenale di Venezia a quel tempo era una industria più che fiorente a prevalente produzione militare, là venivano costruite e progettate unità da guerra, nuove armi e nuove tecnologie. Quindi Venezia diventò un obiettivo militare primario, in quanto per l’Austria colpire la città dei Dogi sarebbe stata una vittoria sia militare che politica per il forte impatto che avrebbe avuto sul morale delle nazioni dell’Alleanza. E così già alle prime ore del 24 maggio alle 4.10 due velivoli austriaci sorvolarono la città bombardandola con 15 bombe che per fortuna causarono solo 4 feriti ma provocarono i primi danni ad alcuni edifici privati.
In totale dall’inizio del conflitto e fino al 23 ottobre 1918, data dell’ultimo attacco aereo, Venezia fu bombardata dal cielo 42 volte, furono sganciate 1039 bombe che causarono 52 morti e 84 feriti. L’attacco che causò maggiori danni a livello artistico fu quello del 24 ottobre del 1915 che provocò il crollo della volta della Chiesa degli Scalzi con la completa distruzione dell’affresco del Tiepolo “Il trasporto della Santa Casa di Loreto” i cui pezzi poi furono venduti e il ricavato fu donato a favore della Croce Rossa. Quello con il più alto numero di vittime invece fu il 31° del 14 agosto 1916, in rappresaglia alla conquista italiana della città di Gorizia. Furono impiegati 21 velivoli che sganciarono 46 bombe provocando 17 morti e 28 feriti, anche perché tra gli obiettivi colpiti vi fu l’ospedale civile di SS. Giovanni e Paolo.
La Piazza Marittima di Venezia, al comando dell’ammiraglio Thaon de Ravel, predispose tutta una serie di difese per la città, alcune abbastanza folkloristiche se vogliamo, come la presenza di soldati e marinai appostati sulle altane delle case, armati di fucile che avrebbero dovuto abbattere gli aerei nemici, dopo che tentativi di cannoneggiamento contraereo avevano recato più danni - fu colpito l’Hotel De Bains al Lido - che gli aerei stessi. Sulle altane vennero anche montati proiettori luminosi per illuminare il cielo di notte e imbuti acustici per captare il rumore degli aerei in avvicinamento. Le sentinelle al grido coniato da D’Annunzio “Per l’aria… buona guardia!” vigilavano quotidianamente sopra i tetti delle case dei veneziani. Furono messi in aria palloni frenati lungo tutta la laguna ma soprattutto si pensò di salvaguardare e proteggere i monumenti della città riparandoli con sacchi di sabbia e materassi contenenti alghe, materiale che a Venezia certo non mancava.
Le volte del Palazzo Ducale, la facciata della Basilica di San Marco, la loggetta del Sansovino ai piedi del campanile, ma non solo queste opere, furono rinforzate e ricoperte con strutture a mattoni e legno. Molte sculture, come i Cavalli della Basilica o la Statua del Colleoni in campo SS. Giovanni e Paolo furono smontate caricate su barconi e trasferite in luoghi più sicuri in particolare dopo Caporetto quando la situazione si fece più grave e il fronte venne a trovarsi a pochi chilometri dalla città nella zona di Caposile e Cavazuccherina (ora Jesolo) dove si concentrarono le truppe e i pontoni galleggianti armati con cannoni e mitragliatrici in difesa della laguna.
E fu in quel periodo che anche Venezia conobbe il fenomeno del profugato che interessò però solo una parte degli abitanti tanto che i rimasti con il solito spirito serenissimo molto legato alla propria città misero in rima anche questo “tradimento” … Chi parte per Mojan no xe certo venessian! .Traduzione: Chi parte per Mogliano, (paese in terraferma in provincia di Venezia) non è certo un veneziano!… e come dargli torto!!! Versetto che sembra coniato, anche se con altre motivazioni, anche per il giorno d’oggi dove gli abitanti di Venezia si sono drammaticamente ridotti a poco più di 50.000 unità… ma questa è un’altra storia.