Vedere un film è un’avventura
il resto è andare al cinema
(Pietro Piemontese, Remake. Il cinema e la via dell’eterno ritorno)
Dove va il linguaggio? Si potrebbe (non) rispondere: dove va il mondo, salvo che il tutto può essere invertito, perché può esserci un’idea/impressione di mondo senza una lingua condivisa?
Viviamo in un retro di palcoscenico e recitiamo davanti a un sipario che raramente si solleva o si scosta. Anche perché spesso recitiamo dando le spalle al pubblico: cioè al “Mondo senza di noi”. Talvolta il sipario si sbreccia e possiamo infilare la testa oltre la sfera dell’orbe terracqueo, per notarvi altre sfere, come in quel celebre disegno alchemico.
Assistiamo a due movimenti che appartengono alla ruota del medesimo schiacciasassi: una fase di ulteriore infantilizzazione del linguaggio (ma senza il gioco creativo meraviglioso innato nei bambini) e una fase di remakeizzazione del rappresentabile, come non ci fosse più un volto ma solo un sostegno per un indispensabile ciclo senza fine di mascheramenti. L’Identità ridotta al presupposto, inconoscibile, per la produzione incessante di cover a inseguire l’utopia dell’Uomo aumentato, dell’Uomo totale in quanto processo di interazione olistico, incessante, continuo.
Baricco ha incensato questo mondo dove il frame è la sostanza, ma lo aveva fatto più di un secolo prima Nietzsche quando elevava la superficie a unica possibile attuale profondità. Baricco un Nietzsche senza “oltrepassamento”? Cosa resta? Può l’amore per l’estetica non ridursi a estetismo e l’estetismo non ridursi a ideologia del potere commerciale? È imbarazzante dover assistere al rimbambinimento della lingua di regime imposta: il “grande calcio”, il “grande cinema”, il “grande teatro”, dove l’enfasi barocchistica nasconde l’omicidio del significato da parte del veicolo di espressione, il rumore vela, male, il sordo ronzìo del nulla di endiana memoria. E la comunicazione politica rincorre i nuovi must di banalizzazione: la Buona Scuola (linguisticamente terribile, pornografico).
Eco scriveva, riprendendo la saggezza medioevale: siamo nani sulle spalle di giganti. Ma se si dimenticano i giganti restiamo nani e basta, anzi nani che si credono giganti sono perché hanno memoria ancor più corta. Un mondo di arrangiatori. Un mondo che si arrangia. Rubacchiando qua e là per “raggiungere l’effetto”, senza tanta fatica. Ho scoperto pochi giorni fa con inquietudine che anche i poeti rubano: la melodia della Canzone dell’amore perduto di Fabrizio de Andrè è copiata del tutto dall’incipit del primo concerto per tromba di Telemann, e non a caso inizia anch’essa con un assolo di tromba!
Più frana l’identità più la massa corre al cinema, nuovo teatro dell’Atene mondiale, unica arte sopravvissuta all’implosione dell’arte, in quanto è funzione onnivora, vorace quale imbuto accoglitutto. Il Mondo quale serie di veli che servono a distrarre da un lento e lungo crollo, dalla vista insopportabile del vuoto, del nulla. Perché si fanno remake a pochi anni di distanza dal primo film oppure numerosi adattamenti del medesimo romanzo?
Coltura intensiva di menti banali con scarsa memoria, ideali per il potere commerciale di massa. Latifondi psicosociali. Il Sistema è Funzione e tu un ingrediente. Lo vedi quando scegli su you tube: le tue scelte moltiplicano la possibilità di scelta ma i criteri di connessione non li scegliamo noi quindi più il Sistema ci lascia liberi di scegliere più ci conduce in tondo in un labirinto studiato senza uscite. La ripetizione di moduli rappresentativi standard sostituisce l’esperienza del reale, il ricordo di una ricerca sul computer sostituisce la memoria, l’attesa di input esterni sostituisce previsione e speranza, l’eccesso di immagini impoverisce la capacità di immaginare.
Non Divide è il motto dell’attuale regime sub-culturale ma: Multiplica et impera! La Saturazione quale unico autoreferenziale simulacro a prendere il posto di ideali, percorsi e orizzonti di vita. Vanilla Sky (remake di Apri gli occhi) è già qui, a due passi. La storia umana è un remake anche se ormai ci sfugge l’archetipo (forse il Paradiso terrestre?) nel senso che ogni ciclo storico di avanzamento è stato un tipo di “rinascimento”, cioè una ripresa di un antico idealizzato: da Carlo Magno alla Renovatio ottoniana e alla poesia del Duecento, dal Manierismo al Secolo d’oro olandese o spagnolo, dall’Arcadia al neoclassicismo napoleonico, e lo stesso futurismo cos’è se non un mix fra il mito di Dedalo e l’iconoclastismo medioevale?
Il rap è un remake del recitato lirico seicentesco, è bastato aumentare la frequenza del metronomo, e sua volta il recitato lirico antico è un remake del Dolce Stil Novo e della sua esaltazione della ritmica e della rima. Le poesie sumeriche sembrano romantiche, Battiato riprende Umberto Eco nel connettere cicli di rivolta, traumi sociali come la rivolta dei Ciompi, all’impoverimento retorico della lingua (carine le piramidi, lucidi e geniali i giornalisti…) come già Tucidide aveva notato che alla guerra del Peloponneso corrispondeva una altrettanto decisiva “guerra delle parole”, mutamento intimo e sociale del loro senso e del loro peso. Nel Mondo alla roversa di Baldassarre Galuppi (1706-1785) si ascolta: Chi vive sperando muore cantando. Piero Pelù: Chi visse sperando morì non si può dire (Gioconda), mentre per il sergente Lorusso in Mediterraneo: Chi vive sperando muore cag….
La rima si fa proverbio, il proverbio tormentone, il tormentone apre alla dimenticanza. Il problema è che si gioca oltre un certo limite con il linguaggio allora, perdendo la freschezza antica dell’archetipo, si rischia di smarrire il senso delle cose e la possibilità stessa della comunicazione. Senza la conoscenza di certi presupposti l’ironia e la comicità si smarriscono, non vengono apprezzate o riconosciute. Resta il potere commerciale, con la sua logora giostra di deja-vù. Forse è per questo appiattirsi del senso del tempo nella reiterazione priva di direzioni tipica dello svago, del di-vertimento (da de-vertere, simile a de-lirare dove lira è il solco del campo) che ne deriva quel senso di smarrimento della direzione del tempo e di accelerazione dei tempi che molti oggi avvertono e subiscono (altri la fanno derivare da tempeste solari sempre più intense).
La società non sa e non vuole sapere dove va e dove sta andando e assomiglia sempre di più a un imbuto dove si stipano sempre di più frame e rifiuti linguistici, umani, rappresentativi. Dall’implosione prossima nascerà una nuova stella o si collasserà fino al black hole?