Le avevi conosciute da “Clara’s pages”, uno di quei Caffè Letterari che erano cominciati a comparire assieme alla Biblioteca centrale. Insieme alla sua immagine poco raffinata, fatta di palazzi monocolore e bruttezze architettoniche poco giustificabili, il quartiere decise infatti di darsi un tono che non gli era mai appartenuto.
Erano nati dei veri e propri circoli a mo’ di vietta turistica, fra il verde delle piante e design ultramoderni, in un corridoio di strada stretto a tal punto da creare una certa atmosfera familiare e inverosimile per quei posti così grezzi, antichi per un certo modo di stare al mondo. Alla fine di quel corridoio subito il riconoscibile, la grande piazza coi vecchi e le sedie portate da casa, i tavoli smontabili e le tovaglie bucate a completare un visibile ma sottile decadentismo. Le partite a carte, quelle, finivano sempre a bestemmie. S’era infatti diffuso una sorta di vizio alla contestazione a prescindere, l’abitudine a mettere in dubbio anche l’ovvio insindacabile, come se recitare diventasse ogni volta lo scopo finale del gioco. Questo creava una tensione continua e un effetto che sfociava poi in una gara alla parolaccia più originale, in battaglie di insulti caricati con epiteti e nomignoli di sicuro scomodi a certe ambizioni personali.
E quella era anche un po’ la dimostrazione di quanto ognuno di quei vecchi tenesse al proprio ruolo nel gruppo, all’io sociale e alla cosiddetta leadership, che tra borie di felicità e meriti maniacali diventava spesso il fatto del giorno. L’alcol, servito in bicchieri di plastica scadenti, aiutava a dissimulare una certa serietà dietro facce paonazze e disinibite, accompagnando l’immancabile sigaretta che non risparmiava nessuno. C’erano schermaglie di visioni e linguaggi ben lontani dai discorsi delle vecchie sulle panchine, poco distanti a ricordare orgogliose di quando i loro mariti lavoravano e non avevano tempo per quel bicchierino in più. Apparivano vinte, disanimate, e la loro fragilità si coglieva subito da come trattavano alcune nostalgie, salvo quando erano i figli oramai adulti ad essere al centro delle loro discussioni, allora i loro occhi ricominciavano a parlare. La voglia di ridere, comunque, era di meno e si leggeva subito da quelle rughe ferme lì, indomite, a ripercorrere sentieri di perduta e ritrovata bellezza.
Erano tre mesi ma pareva un secolo. Lauren, ventisette anni mostrati con impertinenza, aveva il tipico carattere di chi fa bene le cose ma al contempo si preclude ogni strada possibile. Alla natura del suo talento, infatti, contrapponeva l’incapacità di prevalere su ogni situazione o persona che la facesse un attimino rimbalzare davanti a un ostacolo, compresa sé stessa. Quel fascino sapido e pulito apparteneva non solo a quei tratti somatici di origine polacca e a quelle manie di perfezione che nascevano da sole. Era qualcos’altro, oltre qualunque legge astrale o genetica particolare. Teresa invece nascondeva il suo fascino dietro un viso asciutto e mascolino e dei capelli lunghi amaranto, con occhiaie livide a decorare l’eleganza maledetta di un’espressione cupa e riflessiva, anche se quella sensualità la doveva soprattutto alla calma intellettuale e a quella voce da cartone animato con la quale si esprimeva.
Sulla carta era la tua donna ideale, ma le carte mentivano quasi sempre e tu non avresti mai fatto a meno di Lauren né Teresa avrebbe fatto a meno di tutti e due. Se era molto tempo che avevi deciso di non avere accanto nessuno, da quel giorno ti eri abbandonato a loro due, così affabili e complementari, determinanti. Stare da solo con Teresa avrebbe significato tradire quella trama fuori dalle regole ch’era diventata una promessa. L’amore poteva esistere solamente fra loro e attraverso il tuo cervello quell’amore si rafforzava giorno dopo giorno. Anche ora, mentre ti camminano davanti mano per mano e vi sedete al lato opposto dei vecchi che giocano a carte, fanno parte della tua ombra. Teresa ti bacia sul collo, Lauren sembra irritata dalle grida dei bambini che corrono sul prato. Tu, malato di gioia, non scosti lo sguardo da quei vecchi che si irridono, ognuno con un personaggio a caso assegnato dalla circostanza. Come loro, nel completo rapimento, preferivi recitare piuttosto che ammettere di aver perso.