Nessuno sgomento al cospetto della grandiosità. Del resto tutto è partito nel 1997 con l’acquisto del fu Teatro degli Intrepidi e l’impresa non poteva essere da trepidi. I monsignori e soci non hanno tremato e hanno pensato in grande, anzi in grandissimo e, per passare, dicono, “dall’estetismo balneare al turismo intelligente”, hanno investito quarantacinque milioni per l’allestimento di quasi seimila metri quadri di superficie espositiva laddove Michelangelo scolpì il suo David e scalpellini innumerevoli lavorarono per la magnificenza di Firenze.
Dopo pochi anni di ristrutturazioni, ricchi di dialogo fra il consiglio di amministrazione e gli architetti Adolfo Natalini, Piero Guicciardini e Marco Magni, autori del progetto, ai quali sono state chieste, semmai, “fraterne correzioni” come ha spiegato il direttore del museo, lo storico dell’arte e pastore statunitense Timothy Verdon, da un cinquantennio in Italia, è stato inaugurato il nuovo Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. Le “fraterne correzioni”, un’espressione che poteva essere creata solo da un uomo di Chiesa con millenni di esperienza oratoria in testa, hanno portato risultati eclatanti. Sarebbe stato divertente essere presenti per assistere alle “fraterne correzioni”…
In venticinque sale, delle quali alcune gigantesche affinché le opere ideate per essere guardate da lontano ritrovino la forza delle origini, il visitatore imbambolato si troverà davanti al Rinascimento fatto statua. La maggiore collezione al mondo di scultura fiorentina del Quattrocento e del Cinquecento include l’ultima Pietà di Michelangelo, quella che l’artista concepì per la propria tomba e che prese a martellate per un’imperfezione del marmo, la Maddalena di Donatello, talmente scarnificata e violenta nel suo pentimento che sarebbe audace anche se fosse contemporanea, le monumentali porte in bronzo e oro realizzate per il Battistero di Firenze da Andrea Pisano e Lorenzo Ghiberti, le maestose cantorie del Duomo di Firenze di Luca della Robbia e Donatello.
Qualche numero per stordirsi di bellezza: 516 gli artisti, 750 le opere, 200 le opere restaurate, 54 rilievi provenienti dal Campanile di Giotto, 16 le statue a grandezza naturale realizzate dal Campanile di Giotto da Andrea Pisano, Donatello e collaboratori, 40 le statue realizzate per l’antica facciata del Duomo iniziata da Arnolfo di Cambio nel 1296, mai finita e smantellata nel 1587. Talmente bella, quest’ultima (molto più di quella attuale, ottocentesca, della quale si poteva fare serenamente a meno), da essere stata ricostruita in una sala lunga 36 metri, larga 20 e alta 20. Molto commoventi gli attrezzi e i cordami provenienti dal cantiere brunelleschiano della costruzione della cupola.
Il Museo dell’Opera del Duomo prende il nome dall’istituzione omonima che ha più di sette secoli di vita. Nel 1432, quattro anni prima del completamento della Cupola, l’opera del Duomo commissionò a ser Filippo Brunellesco la nuova sede dei magistrati che doveva contenere anche le opere rimosse da Santa Maria del Fiore. Testimonianze del Seicento documentano che nel corso dei secoli all’interno dell’Opera si era formata un’eccezionale raccolta di statue destinate alla cattedrale mai sistemate in loco o rimosse per il gusto estetico cambiato. Nel 1822, grazie al clima di rivalutazione e apprezzamento storico-critico della cultura del primo Rinascimento, il senatore Giovanni degli Alessandri, presidente dell’Opera e direttore delle Regie Gallerie denunciò le condizioni pessime dei bassorilievi di Donatello e di Luca della Robbia, ammassati alla rinfusa e malamente visibili, ottenendo il permesso granducale di trasferirle alla Regia Galleria delle statue.
Nel 1871 il primo atto in cui l’Opera afferma la volontà di istituire un museo e nel 1891 l’inaugurazione del nucleo iniziale, formato da due sole sale espositive. “La missione particolare di questo museo - spiega il direttore Verdon - è quella di presentare in modo adeguato le opere fatte per gli interni e gli esterni delle strutture ecclesiastiche che sorgono davanti all’Opera: il Battistero di San Giovanni, la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, il Campanile di Giotto, edifici che nell’insieme costituiscono quello che oggi è chiamato il Grande Museo del Duomo. Dei severi limiti di spazio resero impossibile questo compito nei primi 120 anni d’esistenza del Museo dell’Opera. Fu quindi con notevole sollievo che nel 1997 l’Opera poté acquistare una vasta struttura attigua, con 3000 metri quadri da aggiungere”.
Adesso la missione è compiuta e i visitatori sono molto impressionati e felici. Solo una piccola rimostranza: non che si vorrebbe entrare a ufo che, per restare in argomento, deriva da: Ad usum Florentinae Operae, scritta che indicava il regime fiscale privilegiato di chi trasportava materiali per la fabbrica del Duomo, ma in qualche caso secca pagare il biglietto cumulativo per Opera, Cattedrale, Campanile e Battistero. Una signora luminosa e gentile che aveva voglia di rivedere San Giovanni ha detto: “Sono stata battezzata qui, ci potrò venire quando mi pare?”.