Le piante hanno sedici livelli di senso e un sistema di comunicazione molto complesso che sfugge non solo alla vista ma anche alla nostra immaginazione. Non a caso proprio questa apparente “inanimata vita vegetale” è passata inosservata per molti secoli al mondo animale dove primo tra tutti è stato l’uomo a non riconoscerne l’intelligenza.
Le ultime ricerche in neurobiologia vegetale ci parlano infatti di sistemi di comunicazione tra le piante a più livelli e dimostrano che le piante operano delle scelte e strategie precise frutto di una reale intelligenza vegetale. Anche nell’uomo il sistema sensoriale, la vita e l’intelligenza si estendono nel corpo come una rete oltre l’organo di controllo principale noto come cervello. In una visione sistemica più allargata tutto il pianeta e gli esseri che ne fanno parte interagiscono tra loro con delle relazioni intelligenti. La questione posta in questi termini sposta il focus dal “cosa sia l’intelligenza o la consapevolezza” al “dove questa risieda” visto che le piante pur essendo intelligenti e consapevoli non sono dotate di un organo di controllo centrale come gran parte degli animali.
In un modo molto simile possiamo evolvere il nostro concetto di “vista” nel caso in cui ci trovassimo in compagnia di un non vedente o ancor meglio di una persona diventata in un periodo della propria vita improvvisamente cieca. L’evoluzione del cosa sia “vedere e non vedere”, “percepire e non percepire” sta alla base di questa duplice esperienza realizzata in periodi e luoghi diversi con due donne che hanno perso la vista e imparato a vedere la vita. Il nostro sistema evolutivo in migliaia di anni ha privilegiato soprattutto il senso della vista attraverso il quale apprendiamo, conosciamo, esercitiamo le nostre scelte, giudichiamo e soprattutto sappiamo difenderci. Nel momento in cui si perde la vista emergono con tutta la loro forza le altre dimensioni sensoriali.
Perdere la vista in un momento della propria vita oltre ad essere un fatto psicologicamente drammatico genera inevitabilmente, in chi vive questa esperienza, un diverso punto di vista delle cose che occupa una terra di nessuno posta tra la memoria di ciò che abbiamo visto un tempo e la percezione di ciò che possiamo “vedere” solo attraverso gli altri sensi. Ecco allora che si manifesta il valore della conoscenza attraverso quegli stessi sensi rimasti fino allora secondari e complementari. Roberta mi ha detto: da quando ho perso la vista ho imparato a capire le persone che ho davanti.
Paradossalmente in molte situazioni la vista ci rende ciechi. Abituati ad accumulare e scartare miliardi di input visivi al giorno, il nostro sguardo non dialoga più con gli altri sensi e si lascia ingannare dalle apparenze (ciò che vorremmo vedere), dalla velocità e dalla frequenza delle immagini-stimolo e da una memoria visiva spesso affaticata e sovraccarica di “files di scarto”. È questo che Plants and women through the senses vuole indagare e analizzare: l’immagine attraverso gli altri sensi. Anche in questo la fotografia ha offerto la propria capacità taumaturgica di riflettere il vero senza diventarne parte. Non è un caso che le esperienze fatte da Marie e Roberta, siano state scelte da loro stesse e realizzate in mezzo al mondo vegetale privo proprio del nostro senso dominante (la vista).
Marie e Roberta hanno scelto di ripercorrere con una personale consapevolezza le relazioni intessute coll’ambiente naturale della loro memoria. Da questo progetto ne sono derivate due sequenze di immagini apparentemente invisibili ai nostri occhi perché determinate da un diverso processo cognitivo e sistemico. Il non vedere ha permesso loro di restare in una dimensione sospesa tra ciò che è in continuo divenire come immagine possibile e ciò che diventa immutabile come visione interiore dettata dai sensi. A tal proposito il dispositivo fotografico in questo progetto non è stato puntato sull’esterno in cerca della realtà come uno specchio, ma piuttosto è stato considerato come una finestra che si è aperta solo in brevi istanti quando i sensi delle protagoniste (Marie e Roberta) hanno richiamato il contatto col reale e generato la necessità di un’immagine esterna.
Sarebbe impossibile realizzare immagini fotografiche così come i nostri occhi guardano, ibridano e scartano milioni di volte al giorno. Ma il sapere dei sensi, differente per ciascuno di noi come l’approccio all’esperienza, diventa attraverso un approccio sistemico un’immagine ipnagogica, come nel sogno, negata solo dal confronto visivo con la realtà di chi vede solo con gli occhi. Così, nel momento in cui decidiamo di privare un’immagine del proprio senso visivo possiamo attribuirle un effetto sensoriale che la rende però invisibile all’occhio comune.
La prima sequenza, quella di Marie, documenta le soste (o meglio i punti di vista) scelte dell’anziana non vedente di Parigi che percorre ogni giorno abitualmente un sentiero circolare attorno al laghetto del parco storico di Buttes-Chaumont della capitale francese. Marie che frequenta il parco ogni giorno, percepisce come familiare l’ambiente naturale, lo percorre con consapevolezza e partecipazione, ne coglie tutte le sfumature sensoriali e si ferma ad ammirare questa sua visione così come faremmo noi magari distratti dalla bellezza degli alberi riflessi sull’acqua.
La seconda sequenza documenta il percorso di Roberta che dopo vent’anni decide di ripercorrere con me un sentiero nei boschi che faceva abitualmente da ragazza prima di perdere la vista. In questa sequenza Roberta ha fotografato direttamente ciò che sentiva o rivedeva nella propria memoria sensoriale. Gli altri scatti affiancati a quelli di Roberta (i miei) la documentano semplicemente nell’atto di realizzare le proprie immagini legate alla propria memoria sensoriale. Roberta mi ha guidato in quei luoghi percorrendo l’ambiente naturale con grande sicurezza e capacità di orientamento.
E’ da questo processo di visualizzazione e dall’idea di un ipotetico ed invisibile scarto nella visione sistemica, che percepiamo il nostro nostro deficit sensoriale di comuni “ipo-vedenti”. Difronte alle immagini di Roberta e Marie potremmo sentirci anche disorientati o presi dal sospetto del “nonsense”. Al contrario attraverso l’esperienza di Roberta e Marie la complessità del mondo vegetale, origine del nostro pianeta, ritrova un dialogo ancestrale e profondo con l’intelligenza e la sensibilità delle due donne o semplicemente risveglia in loro una nuova consapevolezza.
Per saperne di più leggi:
Naked Plants