Tre capoluoghi provinciali soverchiati da un ingombrante capoluogo regionale; porti e porticcioli, commerciali e turistici, esistenti o da fare o da non fare; borghi marinari, aspre scogliere, terrazzamenti di uliveti a perdita d'occhio.
Questa, con buona approssimazione, l'immagine comune, ancor oggi, della Liguria. Un quadro da cui resta quasi sempre escluso l'entroterra, sintomatico di una più generale trascuratezza per i territori interni che con sempre maggiore frequenza si traduce in rovinose alluvioni; una sintesi incurante, di conseguenza, di una presenza tanto vistosa quanto rifiutata, in merito alla quale la Liguria vanta un primato sicuramente nazionale e probabilmente europeo: le infrastrutture di valico.
Cinque linee ferroviarie, quattro autostrade, una funivia merci e una ferrovia a scartamento ridotto, concentrate lungo i 200 km dell'arco ligure, costituiscono un vero e proprio museo a cielo aperto dell'ingegneria e della tecnologia, un monumentale archivio storico a disposizione di ricerche accademiche e un potenziale, ulteriore richiamo turistico. In una regione che, per la sua posizione rispetto al Mediterraneo e all'Europa continentale, era già ricca di assi di penetrazione spontanei mantenuti per consuetudine attraverso i secoli, a partire dall'età dei Lumi si sono affiancate grandi opere secondo un approccio astratto come non si vedeva dall'Antica Roma, grazie all'affinamento della topografia secondo un metodo di rappresentazione del suolo convenzionalmente verificabile. Studiare le opere di valico realizzate in Liguria significa comprendere la storia locale, nazionale, europea. Approfondire la storia contemporanea ligure permette di scoprire, accanto a quelle esistenti, una miriade di opere di valico sognate, tentate, perdute.
Era il 1784 quando Vittorio Amedeo III di Savoia, volendo risolvere una volta per tutte il problema dell'interruzione invernale dei collegamenti fra Nizza e il Piemonte, sulla strada del col di Tenda ordinava lo scavo, presso quota 1750, di un traforo lungo due chilometri, operazione interrotta dopo i primi 75 metri: il governo sardo si limitò allora al miglioramento delle strade esistenti, così come avrebbero fatto, successivamente, le autorità napoleoniche. Con l'impero francese si sarebbe parlato, per la prima volta nel contesto ligure, di un sistema di trasporto tipico di ben altri scenari: la via d'acqua. Nel 1808, onde far ricadere un'infrastruttura strategica entro il territorio metropolitano e rilanciare un'area depressa, il conte Gilbert Chabrol de Volvic, prefetto di Savona, allora capoluogo del dipartimento di Montenotte, otteneva l'approvazione del progetto per un'idrovia transappenninica di collegamento fra le valli Letimbro e Bormida.
Novant'anni dopo Waterloo, il sogno di un canale di valico riappariva, stavolta nell'area naturalmente più indicata, ovvero fra le valli Polcevera e Scrivia, a coronamento di un piano ben più vasto: un canale transalpino sulla direttrice Basilea – Costanza – Spluga – Locarno, proposto da Pietro Caminada per garantire trasporti rapidi fra Reno e Po, con l'aggiunta di due diramazioni verso Torino e Genova. Ipotesi di un'idrovia transappenninica sarebbero periodicamente riapparse fino al secondo Dopoguerra: fra le varie proposte merita attenzione, se non altro per l'efficacia della rappresentazione grafica, quella dell'ingegner Renzo Picasso, fantasioso progettista genovese.
La Restaurazione ebbe effetti dirompenti nell'infrastrutturazione di valico della Liguria: venuta meno la frontiera fra il Genovesato e il Piemonte, il Regno Sardo impegnò risorse ingenti per stabilire collegamenti rapidi con i porti liguri tramite l'ultimo arrivato fra i mezzi di trasporto: il treno. Fu così che le vallate liguri cominciarono a esser segnate da artificiose direttrici a pendenza lieve e costante, rese possibili da possenti viadotti ad arcate e lunghe gallerie, sulla scorta della lezione degli acquedotti romani.
Il 18 dicembre 1853 veniva ultimata la linea Torino-Genova: sei anni dopo, il contingente francese sbarcato a Genova per sostenere Cavour nella Seconda Guerra d'Indipendenza, impiegava questa ferrovia per raggiungere il fronte, divenendo così, in senso lato, il primo corpo motorizzato della Storia. Nel 1874 veniva aperta al pubblico la Torino-Ceva-Savona, mentre nel 1894 veniva completata la “Pontremolese”, fra La Spezia e Parma. Più travagliata fu la scelta di una direttrice verso l'estremo Ponente: il primitivo progetto di una ferrovia attraverso il col di Tenda fu prima vanificato dalla cessione di Nizza alla Francia, poi scoraggiato, dopo la crisi tunisina, da crescenti tensioni diplomatiche, al punto di favorire l'inizio dei lavori di una linea alternativa: la diramazione Ceva-Oneglia (Imperia). Solo il riappacificarsi dei rapporti italo-francesi, negli anni Novanta, avrebbe sbloccato il cantiere, poi durato trent'anni, della Cuneo-Ventimiglia-Nizza, facendo interrompere la ferrovia “concorrente” presso Ormea.
Parallelamente alla facilitazione delle modalità di valico, esigenze strategiche imponevano una serie di contromisure atte a bloccare tempestivamente avanzate nemiche: ecco allora sorgere, negli Anni Ottanta, poderose opere difensive presso i colli di Tenda, Nava, Melogno, Cadibona, Giovo, Turchino. Nel frattempo il porto di Genova, ammodernato e potenziato, guadagnava importanza a livello sia nazionale sia europeo, potendosi avvalere delle nuove direttrici ferroviarie del Gottardo e del Sempione, cosicché a partire dal 1889 poteva usufruire della linea “Succursale dei Giovi” o Secondo Valico, dalle pendenze notevolmente ridotte, mentre cinque anni dopo entrava in attività la Asti-Acqui-Ovada-Genova. Al 1908 si può far risalire invece l'inizio degli studi per un asse ferroviario di maggior respiro che seguisse il sempre più probabile ampliamento del porto verso ovest: era di fatto il primo tentativo di “Terzo Valico”, parzialmente costruito negli Anni Venti per interrompersi, definitivamente, all'inizio del decennio successivo, lasciando nel panorama di Cornigliano, per settant'anni, un colossale viadotto in ferro inutilmente proteso verso le Calate di Sampierdarena. Decisamente meno pretenzioso ma comunque suggestivo fu invece il risultato dell'ultimazione, nel 1929, della ferrovia a scartamento ridotto fra Genova e Casella, opera molto gradita da pendolari e villeggianti.
Il potenziamento dei collegamenti fra i porti e l'entroterra fu il pretesto, in Liguria, per un'ulteriore sperimentazione tecnologica: il 30 giugno 1912 veniva inaugurata la funivia Savona – San Giuseppe di Cairo, diciotto chilometri di linea aerea per il trasporto del carbone fra lo scalo di Miramare e l'area di stoccaggio di Bragno: all'epoca, la più lunga opera al mondo nel suo genere, leggera e silenziosa, ma con una capacità di carico pari a 300 camion al giorno. La stessa “Società Funivie Savona - San Giuseppe” avrebbe proposto un impianto analogo da Genova ad Arquata Scrivia per il trasporto di carbone e merci varie: un progetto realistico ed accurato, visionabile ancora oggi presso l'Autorità Portuale di Genova.
Né l'idrovia, né la funivia, né il Terzo Valico riuscirono a convincere gli organi competenti sulle sorti del porto di Genova: una nuova opzione, per diretto interessamento di Mussolini, stava per aggiungersi al campionario delle infrastrutture liguri di valico. Il 29 ottobre 1935, dopo appena tre anni di lavori febbrili, veniva inaugurata l'Autocamionale della Valle del Po: cinquanta chilometri di carreggiata unica a tre corsie fra Genova e Serravalle, distribuiti fra 30 viadotti e 11 gallerie; di fatto, la prima autostrada di montagna al mondo, inscrivibile anch'essa, come l'irrealizzata idrovia, entro un quadro piu generale di infrastrutturazione continentale. Se italiano era Piero Puricelli, inventore della tipologia dell'autostrada, e italiane erano le prime realizzazioni in tal senso, ovvero la Milano-Laghi e la Milano-Bergamo, in realtà la Genova-Serravalle appare già nella seconda metà degli Anni Venti come appendice meridionale all'ambizioso progetto dell'asse autostradale HaFraBa (Amburgo-Francoforte-Basilea) portato avanti negli anni della gracile Repubblica di Weimar da un consorzio di imprenditori privati.
All'Autocamionale, nel frattempo raddoppiata e prolungata fino a Milano, fecero seguito nel Dopoguerra la Torino-Savona, dal 1960, e la Parma-La Spezia, dal 1975, determinando la proliferazione dei viadotti in calcestruzzo armato, impiegato secondo diverse modalità costruttive: se sulla Genova-Serravalle possiamo ammirare monumentali successioni di campate ad arco parabolico, le travate della carreggiata più vecchia della Torino Savona poggiano su scarni pilastri reticolari o “a castello”, mentre in un tratto del primo raddoppio della stessa direttrice, il viadotto Teccio, nel 1973 Silvano Zorzi adagia l'esilissima carreggiata su una serie di eleganti pilastri “a diapason”. Fino ai primi anni Duemila si poteva infine apprezzare, sulla Parma-La Spezia, il viadotto a due livelli “Roccaprebalza”, derivante dagli studi per ponti a carreggiate sovrapposte svolti da Riccardo Morandi proprio sul tracciato di questa autostrada.
Una storia a parte, sintomatica dell'ormai sopraggiunta saturazione infrastrutturale della Liguria fra gli anni Sessanta e Settanta, è l'insistente presenza su pubblicazioni tecnico-divulgative, prima della Provincia di Savona e poi della Regione Liguria, del tracciato del raccordo autostradale Ceva-Garessio-Albenga, definito spesso in progetto, talvolta addirittura in costruzione, ma che di fatto non sarebbe mai arrivato in cantiere. L'11 agosto 1977, mentre nell'estremo ponente volgeva al termine la ricostruzione della ferrovia Cuneo-Nizza, veniva aperta al pubblico l'ampia e sinuosa “Autostrada dei Trafori”: attraverso un triplice raccordo a gallerie in progressione di quote, da Voltri era ora possibile salire comodamente verso il Turchino per poi raggiungere Alessandria; successivi prolungamenti avrebbero portato questa direttrice fino a Gravellona Toce.
Sei mesi dopo, ancora il massiccio del Turchino, fino ad allora familiare perlopiù alle popolazioni locali, ai geologi e ai geografi, guadagnava improvvisamente una fama nazionale, poiché oggetto di una dirompente proposta “dal basso”. Se in tempo di dittatura un opuscolo celebrativo attribuisce la paternità dell'Autocamionale Genova-Serravalle al Duce in persona, la democrazia chiama tutti indistintamente a partecipare, proporre, osare. E qualcuno lo fa, in barba a tutti e tutto, anche al ridicolo: è il caso, ancor oggi ben radicato nella memoria collettiva, del signor Piero Diacono, un fantasioso tranviere milanese che nel gennaio 1978, ospite della trasmissione Portobello, davanti a un esterrefatto Enzo Tortora propose di risolvere il problema della nebbia in Val Padana spianando proprio il Turchino, idea al contempo così ingenua ed estrema da generare un pubblico dibattito di alcune settimane: un vero e proprio fenomeno mediatico per l'epoca, nonché un intervallo di gioiosa creatività in quell'Italia dissanguata dal terrorismo ma ancora capace di sognare.
Riferimenti bibliografici
Giorgio Boaga, Benito Boni, Riccardo Morandi, Milano, 1962
Augusto Roascio, Il canale navigabile della Val Bormida, Millesimo, 1990
Riccardo Genova, Claudio Serra, 80 anni di Autocamionale da Genova alla Valle del Po, Genova, 2015
Ringraziamenti:
Dott. Mario Caselli, incaricato dell'Archivio Storico dell'Autorità Portuale di Genova