La streghetta Susanna viaggiava nel cielo stellato. In radio passavano Mr. Q di Jolin Tsai, e Susanna s’agitava sulla scopa volante sparando parole inventate. La sua voce avrebbe stregato chiunque, perché era very very sexy (almeno così pensava Susanna). Ma nel suo cuore di streghetta rimbombavano frasi moleste: Che farò? Dove andrò? Sono tutta sola. E Susanna cantava, cantava, cantava, e le stelle si raccoglievano piangenti attorno alla luna chiedendo tappi per le orecchie.

Un acaro della polvere, portato dalla brezza estiva, si posò sulla spalla di Susanna: “Sono salvo…” ansimò.
“Va’ via brutto acaro,” borbottò Susanna.
“Signorina strega, lei canta davvero bene,” s’affrettò a dire il piccolo acaro.
Susanna alzò un sopracciglio: “Lo pensi davvero?”.
“Certo,” sorrise l’acaro (mentalmente, perché gli acari non hanno i muscoli facciali).
“Comunque io sono allergica agli acari, quindi non toccarmi la pelle.”
“Va bene, m’aggrapperò forte forte alla tua camicetta.”
“Dove sei diretto?”
“Non saprei. Stamattina vivevo sotto un bellissimo letto polveroso, ma la mia casa è stata letteralmente spazzata via.”
“Io sono stata mandata via da casa perché non c’era lavoro! M’hanno detto di trovare un altro paese in cui fare la strega! Vuoi giocare a chi è il più sfigato?”
“No grazie, sei tu la più sfigata, io non sono uno sfigato, mai stato uno sfigato.”
“Brutto acaro!” strillò Susanna, e scoppiò a piangere.
La spalla di Susanna era scossa da fremiti, e il piccolo acaro per poco non cadde: “Smettila!” gridò spaventato. Ma Susanna piangeva sempre più forte, allora l’acaro scivolò sul suo braccio e la morse. Susanna si fermò un attimo, con le lacrime negli occhi: “Ahi,” disse. E poi: “Maledetto! Mi hai morso!”.
“Non è vero, ti ho dato un bacino,” affermò l’acaro mentre una microscopica bollicina rossa prendeva forma sulla pelle di Susanna.
“Sono allergica! Maledetto!”
“Ti ho dato solo un bacino!” pianse il piccolo acaro aggrappandosi di nuovo alla camicetta per non farsi sfrattare.
Susanna non sapeva che mordendola l’acaro l’aveva incantata: le sarebbe stato molto difficile liberarsi di lui.

Susanna e il piccolo acaro viaggiarono tutta la notte tra un battibecco e l’altro. Se il piccolo acaro voleva andare in Australia, Susanna d’improvviso detestava l’Australia, e se Susanna voleva andare in Russia, il piccolo acaro d’improvviso detestava la Russia. Così continuarono a volare anche il giorno dopo, e la notte dopo, e il giorno dopo, e la notte dopo, scartando tutti i paesi. Passarono settimane, mesi, forse anni. Scendevano ogni tanto per fare rifornimenti e andare in bagno.

“Mi piace vivere in nessun luogo,” ammise una sera il piccolo acaro mentre mangiava un po’ di sporcizia. A Susanna venne paura: non aveva mai pensato, fino a quel momento, di vivere “in nessun luogo”. Aveva sempre volato nell’aria, ma per la prima volta si sentiva mancare la terra sotto i piedi: si rabbuiò e non rispose. Il piccolo acaro continuò: “Sarebbe bello se tutti gli umani avessero il tuo udito, così sentirebbero le voci di noi acari e non ci sterminerebbero a cuor leggero, anzi magari diventerebbero nostri amici. Tutti gli acari sarebbero felici come me.”
“Oh, niente affatto, siete così brutti che vi sterminerebbero allo stesso modo!” borbottò Susanna.
“Ma siamo così piccini che non possono nemmeno vedere il nostro aspetto...”
“Non sono mica stupidi! Hanno inventato i microscopi per guardarvi.”
Il piccolo acaro trattenne la rabbia abbassando le antennine tristi, si strinse su se stesso tutto crucciato e finì per addormentarsi sulla spalla di Susanna.
“Brutto acaro, che fai?” chiese Susanna preoccupata per l’improvviso silenzio. “Brutto acaro! Brutto acaro tutto bene? Hai sonno? Se hai sonno vai a dormire in tasca, che sulla spalla rischi di cadere,” continuava sbirciando l’acaro, ma si era fatto buio, e la luce lunare non le permetteva di capire dove fosse di preciso il piccolino. Poi scorse una pallina marroncina: con delicatezza la prese tra le dita, e stava per mettersela in tasca quando qualcosa cozzò contro la sua scopa.

Per l’urto le dita si chiusero, e la pallina sparì. La streghetta Susanna era sconvolta. Chi l’aveva tamponata era una ragazza su una scopa: “Scusami! Stai bene?” esclamò quella.
“No! No!” piangeva Susanna, “Dov’è il piccolo acaro?”.
“Di che parli?” le chiese la ragazza.
“Il piccolo acaro! Era tra le mie dita, ma tu mi sei venuta addosso e quelle si sono chiuse! L’ho schiacciato!”
“Che ci facevi con un acaro?”
“L’ho schiacciato! L’ho schiacciato!”
“Come fai ad essere sicura di averlo schiacciato se gli acari sono così piccoli che persino vederli è impossibile?”
“Io ho la super-vista da strega.”
“Anch’io sono una strega e ho visto tanta polvere in vita mia, ma mai un acaro.”
“A me pare davvero d’averlo visto, ci ho pure parlato.”
“Ma è impossibile sentire la voce di un acaro! Ammesso che gli acari sappiano parlare...”
“Mah, che strano.”
“Forse hai sentito il soffio del vento.”
“Può essere.”
“Comunque, come ti chiami?” chiese la ragazza.
“Susanna.”
“E che fai?”
“Cerco un paese dove praticare la mia professione di strega.”
“Io sono Lisa, come te cerco un posto di lavoro. Sono diretta in Germania dove ho uno zio a cui serve qualche bacchetta.”
Susanna improvvisamente dimenticò la sua indecisione riguardo la meta: “Posso venire con te?” chiese senza perdere un attimo.
“Sì, però dovrai farti un bel bagno prima di presentarti al colloquio di lavoro… sei piena di polvere.”
Susanna si rese conto, con grande stupore, di essere un po’ polverosa: “Certo,” sorrise gentile, e partirono.

Susanna dimenticò il piccolo acaro, tuttavia spesso si sorprendeva a non pulire sotto al letto… non voleva rischiare di spazzare via la casa di qualcuno! Per questo motivo spesso litigava con Lisa, che era allergica alla polvere.