Per gli addetti ai lavori il nome di Joyce Elaine Yuille, è sinonimo di garanzia e qualità. Newyorkese, ma da tempo trapiantata in Italia, estrema versatilità con un passato di alto livello anche nella moda, senza mai tralasciare la musica, Joyce possiede un curriculum di tutto rispetto e una più che invidiabile capacità di spaziare dal jazz al gospel, nel segno della grande radice della black music.
Da qualche settimana è in distribuzione il suo album di debutto in solo, chiamato eloquentemente Welcome to my world, su etichetta Schema Records del lungimirante produttore Luciano Cantone. Tredici brani ben ponderati fra originali e un pugno di cover, individuate con acume e ben supportate dal robustissimo quintetto accreditato al sassofonista finlandese Timo Lassy. “Un titolo indicativo - ribadisce in perfetto italiano - ho cercato di coinvolgere chi mi ascolta nel mio mondo, che è fatto di tante cose. Ci ho lavorato tre anni senza avere fretta, perché l’importante è fare bene le cose anche per se stessi. Luciano è stato uno splendido riferimento: lui ha una conoscenza enciclopedica della musica ed è stato grazie ai suoi consigli che ho adattato il mio stile su un registro più suadente e adatto, senza dover necessariamente strafare”.
Il palco invece rappresenta il tuo habitat naturale…
Io mi trovo benissimo sul palco, ritengo che sia proprio la mia casa. Quando sei lì penso sia necessario utilizzare la propria fisicità anche per intrattenere chi ti viene ad ascoltare. In studio invece è diverso, non occorre aggiungere molto sul piatto della bilancia, sostanzialmente perché bisogna utilizzare la propria voce per esprimere ciò che si possiede dentro. La maggior parte dei brani li ho scritti io, parlano della vita di ogni giorno, degli amici, di quello che accade intorno a me. Ho scelto insieme a Luciano delle cover non troppo inflazionate. Penso ad esempio al brano di Marvin Gaye, This Madness che è una delle sue perle misconosciute, invece è un pezzo stupendo, che possiede una grande profondità, così come quello di Donny Hathaway Tryn’ Times.
Come è nata invece la collaborazione con Lassy?
E’ stata sempre un’idea di Luciano che ci aveva lavorato prima: ovviamente mi sono trovata benissimo. Abbiamo calibrato il nostro focus su quelle atmosfere dal sapore antico, rivisitate però secondo una chiave moderna, una caratteristica del suo mood interpretativo. Timo è veramente un super e sono stata onorata di suonare con lui. Quello che abbiamo fatto mi sta ponendo in vetrina proprio in Finlandia, da dove lui arriva. Mi piacerebbe andare a farci un live.
A proposito di nazioni sei in Italia da molto tempo… in cosa e se è cambiata la tua percezione da quando sei qui?
Rimane sempre un luogo meraviglioso, dove mi sono sentita accolta e valorizzata nonostante alcuni inevitabili momenti di sconforto, che mi sorprende ancora adesso a distanza di tanti anni dal mio arrivo, realizzatosi nel 1989. Da lì in poi ho fatto un sacco di cose. A dire il vero qualche anno fa ho avuto il pensiero di tornarmene negli States, ma proprio quando sembravo pronta a farlo, ho incontrato il mio nuovo compagno, per il quale è scoccato il classico colpo di fulmine. Con lui mi sono sentita rinascere, riconsiderando tutto il mio mondo. Gli italiani hanno un senso di cordialità innata oltre a una naturale curiosità nei confronti delle altre culture. Facile andarci d’accordo.
Ti piace proprio tutto?
La luce e il clima sono imbattibili, oltre a quelle altre cose che sono invidiate all’Italia dal resto del mondo. Politicamente le cose potrebbero andare meglio: c’è troppa confusione fra gli schieramenti e i programmi. Per non parlare dei tragici sbarchi degli immigrati di cui tanto parlano le cronache. Non voglio fare paragoni con gli Stati Uniti, ma su quel versante il governo ha operato delle scelte maggiormente condivisibili. Malgrado gli spazi enormi, da noi può restare solo chi possiede la green card, ovvero chi può dimostrare di avere un lavoro e di conseguenza un futuro.
Quando e come hai deciso che la musica sarebbe diventata la tua vita?
Mi sono sentita una cantante fin da piccolissima; in casa mia si ascoltava parecchia musica, per cui è stato facile cominciare ad avere i primi idoli. A 12 anni poi ho avuto il primo grande momento andando ad ascoltare con mia cugina gli Earth Wind & Fire, che da quel momento ho letteralmente venerato. Conosco a memoria quasi tutte le loro canzoni, e ho approfondito anche dei capitoli ingiustamente considerati minori di una carriera fantastica. Penso a Faces, un doppio album registrato in studio che stilla adrenalina dal primo all’ultimo momento.
E anche per questo che non sei una cantante ortodossa di jazz…
Non mi piace essere incastrata nei generi perché si può suonare tutto bene o male, la mia carriera stessa è una precisa testimonianza della duttilità che mi ha sempre motivato ad andare avanti. Non mi sono mai tirata indietro di fronte a quello che mi piaceva, neanche quando mi è capitato di affrontare una tarantella napoletana. Mi sono divertita moltissimo!
Cosa ti aspetta adesso?
Farò degli showcase per presentare il disco, e suonerò con una formazione di validissimi talenti italiani composta da Alessandro Fariselli al sax, Fabio Nobile alla batteria, Massimiliano Rocchetta al piano e Mauro Mussoni al contrabbasso. Ho diverse altre cose da portare avanti fra cui la mia storica collaborazione con Enrico Intra, uno dei grandi Maestri del Jazz in Italia. Devo riconoscere che è veramente un bel momento per me, mi sento più che mai a mio agio e ho tanta voglia di suonare questo disco in giro.