Folgorato dalla visione della Tosca di Victorien Sardou interpretata da Sarah Bernhardt ai Filodrammatici di Milano nel 1889, Puccini subito divisò di farla rientrare nei suoi progetti operistici e interessò caldamente Giulio Ricordi perché ne ottenesse i diritti, scrivendogli: “In questa Tosca vedo l’opera che ci vuole per me, non di proporzioni eccessive, né come spettacolo decorativo, né tale da dar luogo alla solita sovrabbondanza musicale”.
Il drammaturgo francese fu inizialmente piuttosto freddo nel concedere l’autorizzazione alla traduzione musicale del suo dramma, forse anche perché allora la stella di Puccini non brillava ancora del prestigio e della celebrità che ebbe poi; si dovette arrivare al 1895, dopo il gran successo di La bohème, perché si cominciasse a lavorarci, con la collaborazione librettistica di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. Ma anche questo inizio fu accidentato per la perplessità dei librettisti e per l’indecisione dello stesso maestro toscano, tanto che Ricordi ne affidò l’incarico ad Alberto Franchetti, che, a sua volta, non si sentì all’altezza dell’impegno e desisté. Solo nel 1899 la composizione fu completata e fu presentata al Teatro Costanzi di Roma nel gennaio 1900, diventando una delle opere pucciniane più amate ed eseguite.
Un’opera snella, dunque, dinamica, che sembrerebbe lasciar poco spazio ai sentimenti, e questo fu l’equivoco in cui caddero i librettisti, che non pensarono, come invece avvenne, che il genio pucciniano sarebbe stato capace, sfrondando le componenti troppo politiche e storiche dell’originale, di coniugare l’azione con il lirismo, riuscendo ad amalgamare le parti drammatiche, eredi dei “recitativi”, con quelle liriche delle “arie”. Non solo, ma Puccini stesso scrisse che nella Tosca erano presenti dei “motivi”, che caratterizzavano situazioni e personaggi: c’era il “motivo” di Tosca, quello dell’amore, quello del cospiratore, ecc. Come ha scritto Giordano Montecchi, pur rifacendosi al leitmotiv wagneriano, Puccini: “svincola i suoi temi conduttori dall’abbraccio soffocante del riferimento puntuale (o pedante) e ricorre a essi sia per farne elemento di coesione strutturale, sia per il loro intrinseco contenuto emozionale che trascende il legame con specifici personaggi o situazioni”.
Tosca, in cartellone alla Scala per la stagione 2014/15, è stata presentata da Gabriella Biagi Ravenni - musicologa, presidente del Centro studi Giacomo Puccini e curatrice dell’epistolario del musicista, di cui è uscito recentemente il I volume - nel Ridotto dei palchi del teatro. L’evento è stato realizzato dagli “Amici della Scala”, l’associazione di melomani fondata e fortemente voluta da Anna Crespi, per il ciclo "Prima delle Prime". Questo incontro, intitolato Le tentazioni della città eterna, oltre che approfondire la travagliata origine dell’opera, ha voluto sottolineare la grande capacità del maestro di creare “paesaggi sonori” e l’ambientazione romana dell’opera ne è un esempio. Anzitutto, Puccini volle compiere un minuzioso sopralluogo sui luoghi romani descritti da Sardou: S. Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel S. Angelo e la campagna circostante, per assorbirne le atmosfere, i rumori e i suoni; poi, nella stessa orchestrazione, volle riprodurne alcuni effetti, come il canto del pastorello (per cui volle ispirarsi a versi dialettali romaneschi) e il suono delle varie campane, delle quali volle far notare le diversità. Dopo averne ordinato la fedele ricostruzione a un famoso artigiano toscano, pretese che fossero collocate dietro la scena per avere un impatto più forte nella cornice musicale. D’altronde, il “colore locale” era stata e sarà sempre una caratteristica di Puccini, a partire dalla stessa Manon.
Il dinamismo dell’opera, poi, offrì il destro a molte rappresentazioni cinematografiche e la relatrice ha presentato alcuni spezzoni di Avanti a lui tremava tutta Roma, di Carmine Gallone, del 1946, con protagonisti Anna Magnani e Tito Gobbi, film ambientato in una Roma occupata dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. E qui, ecco presentarsi l’altro spinoso problema della liceità o meno della trasposizione spazio-temporale di un’opera: per la studiosa il criterio da applicare è molto semplice, ed è quello che siano rispettati il dramma e l’essenza della musica. D’altra parte lo stesso Puccini disse: “Io non scrivo opere, scrivo drammi!”.