L’epoca nella quale viviamo, la nostra epoca, è certamente fluida e costituisce una sorta di magmatico transfert tra il secolo breve – segnato dalla distruzione della dignità dell’uomo e dalla sua più alta espressione, in un incredibile mix storico – e il futuro ancora da costruire, del quale immaginiamo più che vedere gli elementi costitutivi. Quel che vediamo è un incredibile miscuglio, un guazzabuglio tra vecchio e nuovo, industriale e postindustriale, agricolo intensivo e biologico, tecnologico oltre ogni misura comprensibile e al tempo stesso capace di dominare un insieme di elementi di novità che migliorano, razionalizzano, risolvono spesso, bisogni una volta insuperabili. Al tempo stesso il crollo di certezze secolari, di costruzioni di diritti (ma non per tutti) ed esigenze crescenti realizzano una miscela esplosiva della quale si intuiscono ormai i contorni anche nelle società più stabili o meglio stabilizzate.
Parola certamente impegnative e seriose che tuttavia sono alla base di molte sensazioni, sentimenti, reazioni, convinzioni nelle quali ci muoviamo, a volte ci crogiuoliamo, pensando che qualcuno o qualcosa ci possa dare le risposte. La risposta, però, è in noi stessi: non nel rifugiarsi all’indietro, non nel correre in avanti, ma provando a far emergere da noi stessi la forza per affrontare la realtà. Uno sforzo che abbiamo dimenticato, aiutati, sostenuti, servoassistiti come siamo da ogni angolo.
Siamo depressi, basta cercare siti che aiutano, siamo euforici, basta consultare un altro sito per trovare soluzioni, siamo appassionati, stiamo vivendo un’avventura, la raccontiamo a tutti con i social network. Anche a chi, sia detto con un pizzico di ironica bonomia, non ha nessun interesse a conoscerla. Ma tant'è. Se non siamo presenti su qualche luogo del web rischiamo l’anonimato, l’annullamento, l’insignificanza. Ancora, dobbiamo per forza fare qualcosa per sentirci vivi, rincorrere qualche idea anche folle per farci sentire immersi nel vivere: così ci gettiamo con il jumping per far breccia nel cuore di qualcuno, affrontiamo ogni pericolo per dirci forti e capaci. Ci dirigiamo contro il rischio per dire che siamo capaci di dominarlo! In buona sostanza, non abbiamo il coraggio di capire dove dobbiamo andare e cerchiamo sostituti interpretativi come quando per farci forza beviamo un bicchiere di più o assumiamo qualche sostanza estranea al nostro corpo che poi ci dà illusione o estraniamento!
La soluzione, invece, spesso è accanto a noi, anche in senso figurato. E’ il misurarsi con se stessi, il porsi davanti a cose semplici, dimenticate, lasciate per strada. Così, il silenzio invece del rumore, la riflessione o meditazione invece della confusione, il riavvicinarsi a quella natura che stiamo deturpando, devastando e perdendo, riscoprendo odori, sentori, sapori che nonostante tutto sono lì, a nostra disposizione se solo li andiamo a cercare. Basta questo a darci qualche sostegno, a farci superare l’angoscia del vivere? Non è facile rispondere, ma a volte ricaricarsi è il primo passo, spaventarsi per l’assenza di rumore o perché non c’è campo o non c’è rete, ci riporta a quanto tutto questo non c’era (pochi decenni fa, anche se sembrano trascorsi secoli).
Con un'accortezza. Si sviluppano, si moltiplicano, anzi siamo già al passato prossimo, miriadi di soluzioni di questo genere. Proposte di relax, di immersione nella natura, di riscoperta di cose semplici o, per converso, realtà opposte dove la ricerca della serenità diviene business, unendosi a esperienze di Spa, di irreggimentazione in operazioni di meditazione con guru tanto improbabili quanto coinvolgenti. E non siamo soltanto alle trasferte per manager o per dipendenti di aziende, ma a possibilità per ognuno e anche per diverse tasche. Il rischio è sempre di arrivare alla fine pensando di aver ritrovato lo spirito giusto, l’approccio più adatto al mondo e, appena giunti in autostrada o in colonna per rientrare nella metropoli, rendersi conto che tutto è stato vano e che il salasso economico non aiuta certo la serenità.
Bisogna allora andare un po’ alla ventura, cercare e trovare dimensioni più semplici, meno paludate, dove l’offerta non è invasiva, le scelte nascono da quel che si vuole o non si vuole fare. Proprio serendipity indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso o trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra. Non molte le occasioni in questo senso, ma alcune esistono. Una di queste, nella quale ci siamo imbattuti, è il Relais San Biagio. Una residenza d’epoca nata e sviluppatasi, nel cuore dell’Umbria, nel Parco del Monte Subasio vicino a Nocera Umbra, la capitale italiana delle acque e a pochissimi chilometri da Assisi, e carica di storia. Il relais, infatti, altro non è che la struttura – certamente sistemata e rimaneggiata – ma originaria, del monastero di San Biagio, luogo di isolamento, meditazione, ma anche di accoglienza per i pellegrini sulle rotte della fede nel Medioevo. L’antica storia di questa canonica è quella di un luogo che invita al riposo, alla scoperta di gusti e sapori per il benessere del corpo e l’armonia dello spirito.
Il ritrovamento di simboli esoterici, come una pietra con incisioni pagane dei primi secoli dopo Cristo, e poi ancora, incisioni di un ordine Templare che intorno al 1215 si insediò nel Monastero, avvalorarono l’importanza e l’antichità del luogo. Già allora i pellegrini, nell’intento di raggiungere la Terra Santa, transitavano per la via Flaminia a poca distanza dal Monastero che divenne dunque anche ostello e riferimento obbligato. I monaci, attraverso le loro segrete sapienze, utilizzando erbe, esercizi, lavoro e preghiera, creavano per i loro ospiti le condizioni perché questo breve ma intenso soggiorno diventasse un momento di purificazione, rigenerazione e orientamento nel loro cammino verso la meta: quindi, anche luogo di guarigione e cura. Nel 1333, il Monastero, raggiunto il suo massimo splendore e riconoscimento, venne battezzato Canonica San Blasis, in onore del Santo Biagio, vescovo e medico facente parte dei quattordici santi ausiliatori, ossia, quei santi invocati per la guarigione di mali particolari. Un salto nel tempo fino al 1563, anno di riedificazione del Monastero andato in abbandono, l’innalzamento di un piano e l’ampliamento della chiesa, per eleggerlo a diocesi del territorio tra Foligno e Gualdo Tadino. Poi un salto di qualche secolo: nei primi anni del 1900 venne affidato a un curato che trasformò parte dello stabile in scuola elementare, mantenendo l’altra parte a chiesa per le celebrazioni; nel 1947 l’ultima cerimonia e poi l’abbandono, sino ai nostri giorni.
Un abbandono interrotto – si racconta - da un signore conosciuto in zona come Angelino, tornato già in età avanzata, dal Lussemburgo, dove aveva contratto nel lavoro in miniera una forte silicosi che l’aveva debilitato. Da solo e vivendo in quel che restava del monastero, nutrendosi di quel che trovava nei boschi, imparando a convivere con erbe e frutti della terra grazie all’ausilio di alcuni antichi testi ritrovati tra le rovine e a farne uso per alleviare dolori e mali. Così divenne una sorta di medico condotto dell’epoca, aiutando e portando conforto a quanti lo raggiungevano in mezzo a quei sassi abbandonati.
Questa la storia, certo romanzata e a tratti anche priva di riferimenti storici se non quelli del ricordo di anziani e di vecchi racconti. Ma anche l’imprimatur del luogo. Un luogo antico, fuori delle rotte turistiche battute, ma raggiungibile, lontano dalla realtà cittadina, immerso nella natura ma non isolato. Un posto dove se si vuole si può provare a cercare serenità, a misurarsi con le proprie angosce, senza fretta, senza costrizione, a misura umana. Come anche farne un momento di socialità e di comprensione per meeting, ma fuori dell’assillo della carriera o della promozione. Immerso in un territorio ricchissimo di suggestioni storiche, artistiche e naturali è anche il punto di partenza ideale per percorsi turistici. L’offerta, oltre a sistemazioni sobrie, "monastiche" osservano i gestori Fabrizio e Federica, è quella di una cucina sana e genuina, realizzata con materie prime biologiche, provenienti dalle coltivazioni in loco.
Nelle viscere del monastero, poi, è nato un laboratorio fitocosmetico con un centro applicativo legato oltre che alla natura, ai suoni, alle vibrazioni, alla ricerca di interiorità, con un suggestivo hammam che offre un’esperienza che riporta alla memoria pure sensazioni di benessere, accompagnati in un viaggio di ascolto profondo del proprio corpo, di abbandono e meditazione. Tutto questo, senza orpelli, senza presunzioni, senza ricette miracolose, ma soltanto con l’invito a provare a misurarsi con una realtà lontana ma a portata di mano, avulsa dalla concitazione e dalla fretta, rispettosa delle individualità ma accogliente e pronta alla convivialità.