L'epidemia è iniziata: sono ovunque. L'orda si è sollevata e ha travolto il mondo intero a suon di magliette, action figure, gadget e perfino nani da giardino. Non c'è modo di evitare questa catastrofe, siamo destinati a soccombere sotto l'attacco mediatico degli zombie.
Negli ultimi anni, più o meno da quando The Walking Dead ha fatto la sua comparsa in televisione, i non morti sono diventati un vero fenomeno di massa, passando dallo status di “mostri di serie B”, sempre schiacciati dalla fama dei più rinomati colleghi vampiri, a quello di “mostri superstar”. Sì, perché la “colpa” di The Walking Dead è stata sostanzialmente quella di sdoganare la figura dello zombie (fino ad allora poco amata e semi sconosciuta) e farle compiere una rapida scalata nella classifica dei mostri più apprezzati.
Ma chi sono gli zombie? Da dove arrivano? Cosa vogliono da noi? La questione è intricata, e quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. Perché è facile dire “amo gli zombie” senza in realtà conoscerne i fondamentali. Al giorno d'oggi, poi, è altrettanto facile perdersi fra prodotti cinematografici/televisivi/narrativi scadenti, prodotti che non fanno che gettare il pubblico nella confusione, fornendogli dettagli incompleti, se non addirittura fasulli. Ecco perché questo articolo vi aiuterà a orientarvi: sarà il vostro vademecum sui non morti, la guida luminosa nell'oscuro tunnel degli interrogativi.
Le origini: da Haiti con folklore
Quando si incontra la parola “zombie”, tutti credono si tratti di un inglesismo. Certo, non si può negare che il vocabolo sia entrato nel nostro dizionario grazie al cinema d'oltreoceano, ma attribuirgli la paternità inglese (anzi, americana) non è corretto. “Zombie” (o “zombi”) deriva dalla lingua haitiana, perché Haiti è la patria originale dei morti viventi. Fermo subito l'immaginazione dei lettori più impressionabili: no, ad Haiti non si sono mai verificati episodi di ritorno dall'aldilà, i morti sono sempre rimasti tali, quindi dormite pure sonni tranquilli. Più semplicemente, la mitologica figura del morto vivente affonda qui le sue radici, fra leggende e credenze legate alla schiavitù.
Gli zombie haitiani sono strettamente connessi alla necromanzia. Secondo la tradizione locale lo status di zombie consisterebbe in una sorta di trance (simile alla letargia) indotta da capaci stregoni, i bokor, in cui l'anima verrebbe separata dal corpo. I bokor, a quel punto, sarebbero in grado di comandare il corpo del soggetto, rendendolo loro schiavo. Ed è qua che magia e storia si intrecciano, contribuendo alla nascita dello zombie per come ci è noto oggi. Le leggende raccontano di come, grazie ai riti Voodoo africani, si potessero “creare” lavoratori modello, individui senza volontà o intelligenza devoti allo svolgimento dei loro doveri nelle piantagioni. Si ricorreva dunque alla necromanzia per avere uno stuolo di innocui servitori: nessun lamento, nessun malcontento, nessuna ribellione. Comodo, vero?
Come tutte le magie, però, anche l'incantesimo che rende gli uomini zombie può essere spezzato, e non indovinereste mai come: con del semplice sale da somministrare al povero malcapitato (altro che il classico “colpo in testa”). Naturalmente, per quanto il Voodoo sia una pratica affascinante, non si tratta che di credenze prive di fondamento scientifico. O no?
E poi arrivò George Romero...
Con un tale background culturale da saccheggiare, era ovvio che non sarebbe passato molto tempo prima che arrivasse qualcuno dotato di una fervida immaginazione, di un buon talento narrativo e di un budget sufficiente da poter produrre qualcosa di intrigante, mai visto prima sul grande schermo. George Romero, cineasta newyorchese di origini cubane, è universalmente considerato il padre degli zombie. Chiunque ami seriamente queste ripugnanti creature, non può non conoscere ed essere devoto a questo regista/sceneggiatore, che sulla carne putrefatta e sugli smembramenti ci ha costruito fama e patrimonio. Non che abbia girato solo film sugli zombie, sia chiaro, ma il suo nome resterà sempre legato ai non morti e ai loro primi passi nel mondo del cinema.
Siamo nel 1968 quando La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead) viene proiettata nelle sale. La pellicola, che in soldoni propone la storia di un gruppetto di poveri disgraziati bloccati in una casa in mezzo al nulla sotto l'assedio di cadaveri redivivi, diventa sorprendentemente un cult, e ancora oggi – nonostante gli effetti non proprio “speciali” – è un pilastro del genere horror. Questo film non solo segna l'esordio degli zombie al cinema, ma stabilisce anche le regole base ad essi relative: al contrario dei vampiri non temono la luce; se ti mordono, prima muori, poi diventi uno di loro; non hanno sentimenti o ragione, quindi ogni dialogo è inutile; bramano carne umana, non attaccano gli animali; si muovono con lentezza e senza agilità; si esprimono solo attraverso rantoli e lamenti cavernosi; infine, per ucciderli devi colpirli alla testa (un colpo di pistola sarebbe l'ideale, ma non tutti hanno una buona mira, ben vengano quindi mazze da baseball, mazze chiodate, travi, padelle e via dicendo). Questo “codice” è rimasto pressoché invariato per lungo tempo, più o meno fino alle produzioni degli anni 2000, in particolare fino a 28 giorni dopo di Danny Boyle e al remake L'alba dei morti viventi (Dawn of the Dead) di Zack Snyder.
Romero ha quindi partorito uno dei sottogeneri horror più amati e prolifici di sempre, ed egli stesso è stato autore di un'intera saga iniziata nel 1968 con La notte dei morti viventi, e conclusasi (per fortuna) nel 2009. I titoli che la compongono, oltre al primo, sono: Zombi (Dawn of the Dead, 1978), Il giorno degli zombi (Day of the Dead, 1985), La terra dei morti viventi (Land of the Dead, 2005), Diary of the Dead (2007) e Survival of the Dead (2009).
Ho detto “per fortuna” perché allungare troppo il brodo spesso è pericoloso e controproducente. Nonostante i chiari messaggi sociali che il buon Romero ha voluto inserire nelle sue ultime produzioni, l'impressione generale da parte di critica e fans è stata che non avesse più molto da dire, ricevendo per la maggior parte giudizi negativi. In ogni caso, tutti noi saremo sempre debitori a questo ometto dalla barba bianca e dagli occhialoni dalla montatura nera. Lunga vita a George Romero!
L'evoluzione della specie: 28 giorni dopo e la nascita degli zombie veloci
Come detto poc'anzi, l'opera prima di Romero ha dato origine a un filone specifico nel cinema fanta-horror, un filone che nel corso degli anni ha visto centinaia di film aventi per protagonisti zombie in tutte le salse. Molte di queste produzioni hanno ricalcato fedelmente lo stereotipo romeriano, altre si sono prese qualche libertà e hanno preferito esplorare nuove strade.
Colui che ha probabilmente provocato la rottura più significativa con tutto quanto fatto in precedenza è stato Danny Boyle, un regista che con l'universo horror non ha molto a che spartire.
Nel 2002 il cineasta britannico rilascia 28 giorni dopo (28 Days Later), che ha per protagonista l'irlandese Cillian Murphy, e per ambientazione iniziale una Londra completamente deserta (una delle cose migliori del film).
Nonostante la trama non proponga niente di realmente innovativo (gli animalisti che liberano le cavie infette, la pandemia, i superstiti che lottano per sopravvivere, etc), c'è qualcosa per cui il mondo dell'horror si inginocchia e va in visibilio: gli “zombie” veloci. Virgoletto il termine perché ai miei occhi – e non solo ai miei – quelli di 28 giorni dopo non sono mai stati zombie (come dichiarerà lo stesso Boyle), al più esseri umani rabbiosi i cui istinti animaleschi hanno preso il sopravvento. Però agli zombie un po' ci somigliano, e quindi per il senso comune lo sono.
Dicevo, gli “zombie” veloci. Sì, se avete sempre pensato che potreste facilmente sfuggire ai non morti allenandovi sul tapis roulant un paio di volte a settimana, allora non avete mai fatto i conti con quelli inventati da Boyle: centometristi provetti, instancabili, fortissimi, che vi inseguirebbero fino alla fine del mondo se ne avessero l'opportunità (o meglio, se gliela concedeste). Questa nuova caratteristica aggiunge una dose extra di terrore alla già tremenda figura dello zombie, il cui unico pensiero è quello di aprirvi il torace in due e mangiare i vostri organi interni mentre siete ancora vivi. E questo lo capisce molto bene Zack Snyder, che due anni dopo la pellicola di Boyle, nel 2004, esordisce al cinema con il remake del romeriano Zombi, L'alba dei morti viventi.
La pellicola non riscuote grandi consensi da parte del pubblico, però io l'ho apprezzata (leggete: mi ha fatta saltare più volte sulla poltrona), e secondo me ha portato a compimento quello che Boyle aveva fatto solo in parte. Se i suoi non erano zombie, quelli di Snyder sì, eccome, e spalancano definitivamente le porte alla nuova tipologia di morto vivente, che otterrà ottimi risultati in produzioni quali Automaton Transfusion, Zombieland, World War Z (qua gli zombie non sono solo veloci, sono supersonici) e nella serie tv britannica Dead Set.
Il potere mediatico di The Walking Dead
Ho aperto l'articolo additando The Walking Dead come responsabile dell'ascesa al potere mediatico degli zombie, i quali prima di questa serie erano confinati al cinema (di serie A o di serie B) e si indirizzavano quasi solo ai cultori del genere.
Da quando The Walking Dead è andata in onda, nulla è più stato lo stesso, e in molti hanno scoperto che gli zombie non sono poi così male. In realtà, la ragione per cui questa serie è così amata dal pubblico è che non è incentrata sugli zombie, ma sui viventi (da cui lo slogan “Fear the living”), il che è bizzarro: una serie zombie che non si focalizza troppo sugli zombie.
I morti viventi qui si fanno da parte, diventano quasi un contorno per esaltare quello che è invece il tema portante dello show: il cambiamento della natura umana (con tutti i risvolti psicologici del caso) attraverso l'apocalisse che ha colpito il mondo.
Diviso fra critiche e apprezzamenti, potremmo dire che The Walking Dead non è un prodotto per tutti, soprattutto perché offre una prospettiva molto diversa rispetto a quella proposta fino ad ora al cinema.
Qualora questa chiave narrativa non vi soddisfi particolarmente, ecco un paio di alternative televisive che potranno appagare la vostra voglia di horror e di sangue.
Innanzitutto, un serial veramente valido, che coniuga magnificamente l'amore per gli zombie (soprattutto se veloci) e l'odio per il Grande Fratello (e, in generale, per i reality), è Dead Set, prodotto inglese costituito da soli cinque episodi, sì, ma con gli attributi.
Immaginate che a Londra scoppi la classica pandemia zombie: morti, cannibalismo, caos e via dicendo. In uno scenario simile, la casa del Grande Fratello, isolata, protetta e con viveri sufficienti per tirare avanti, incarna il perfetto, ultimo baluardo nella battaglia contro i morti viventi.
Le puntate sono intense e dal ritmo serrato, senza contare che la presentatrice è quella autentica del Grande Fratello inglese, mentre diversi sono gli ex concorrenti che partecipano alla serie in qualità di cameo; dettagli, questi, che assicurano la godibilità ai massimi livelli!
Tornando negli Stati Uniti, la serie cugina di The Walking Dead si intitola Z Nation, è targata 2014 ed è prodotta dalla Asylum (la stessa di Sharknado). Le dinamiche sono più o meno sempre le stesse: al solito variegato gruppo di superstiti aggregatosi per la sopravvivenza viene dato l'inaspettato compito di proteggere e scortare presso un laboratorio militare l'unico essere umano immune al virus, Murphy, un individuo cinico, misantropo e, soprattutto, “zombofobo”. La serie considera in parte l'aspetto umano/psicologico già offerto da The Walking Dead, ma rispetto a quest'ultima vede molti più combattimenti e, soprattutto, sparge abbondanti dosi di ironia e sarcasmo qua e là, il che la rende – fino ad ora – unica nel suo genere. Ecco perché ve la caldeggio decisamente.
Per concludere, la gente spesso mi chiede perché ami gli zombie. La risposta è forse che sono gli unici mostri capaci di spaventarmi, perché mancano totalmente di razionalità e di sensibilità. I vampiri conservano la loro umanità, lo zombie no; un vampiro si potrebbe innamorare di voi, mentre uno zombie vi infilerebbe le mani nella pancia e vi mangerebbe le budella senza pensarci su.
E ok “fear the living” ma, se permettete, continuo ad avere paura dei non morti.