La crisi del sistema culturale italiano è da tempo immemore oggetto di dibattito, al punto che verrebbe da dire che il sistema culturale si dibatte... soffocato dalle chiacchiere. Ultimo spunto per questo dibattito, in un paese che ormai si appassiona alle cifre più che alle idee, la pubblicazione della top-ten dei musei più visitati. Classifica in cui, ancora una volta, l’Italia non è presente - anzi, nemmeno nella top-20.
Secondo i dati del Tea-Aecom Global Attraction Attendance Report, a guidare la classifica è - more solito - il Louvre di Parigi, seguito dal Museo nazionale di storia naturale di Washington e dal Museo nazionale della Cina di Pechino. Come d’uso, ci si interroga sul perché i grandi musei italiani non facciano queste cifre, partendo dal presupposto che questo sarebbe l’obiettivo da raggiungere, senza mai interrogarsi invece sulle questioni di fondo (diversità dei sistemi culturali, funzione dell’istituzione museale, ...). Cifre piuttosto che idee. Anche perché è molto più semplice arzigogolare con le prime, lasciando poi tutto come prima.
Ci sono invece due considerazioni preliminari, su cui soffermarsi. La densità del patrimonio artistico e culturale italiano, anche in relazione alla dimensione territoriale del paese, è incommensurabilmente superiore a quella dei competitor. Ciò significa che - ad esempio - la Francia, che ha tra l’altro una storia unitaria più antica della nostra, e una impostazione centralista molto più marcata, abbia puntato a concentrare il patrimonio artistico per aumentarne l’appeal, e per meglio rappresentarne la grandeur. O che, per altri versi, i grandi numeri del museo nazionale cinese siano in gran parte legati all’enorme quantità di abitanti di quel paese. A tal proposito, vale la pena sottolineare come questo dato rappresenti un altro aspetto importante della questione, e cioè la funzione (primaria) di un museo, il cui compito è - o quantomeno dovrebbe essere - anche quello di contribuire a mantenere vitale l’identità culturale.
Un museo, infatti, non è un mero contenitore di opere, né tantomeno un attrattore turistico. O meglio, può assumere anche queste funzioni, ma non può (non deve) essere pensato in funzione di ciò. Tra l’altro, e una delle tante vexate quaestio, spesso si lamenta il fatto che le opere esposte nei musei siano solo una parte (spesso minima) di ciò che i musei stessi posseggono, e che abitualmente sono conservate in deposito. Intanto, c’è da dire che questo è un punto comune praticamente ai musei di tutto il mondo, e attiene al modo in cui le collezioni si arricchiscono (non solo attraverso acquisizioni, ma anche donazioni, campagne di scavi, ecc.), nonché alla funzione conservativa e di studio che i musei svolgono, per quanto meno visibile di quella espositiva.
Ma la cosa fondamentale, al riguardo, è un’altra. E attiene alle dimensioni spazio e tempo. Per quanto i grandi musei tendano costantemente ad ampliare i propri spazi, raggiungendo dimensioni anche considerevoli (60.600 m² il Louvre, 180.000 m² il Metropolitan di NewYork), questa espansione ha un senso se giustificata dalla necessità di esporre opere (e/o reperti) di grande valore o pregio, che in genere sono peraltro già esposte. Un museo che disponesse degli spazi per esporre tutto ciò che è abitualmente conservato in deposito, risulterebbe un museo dispersivo. La gran parte delle opere, infatti, non è in grado di aggiungere nulla a quanto trasmesso da quelle normalmente visibili nelle sale. Inoltre, già oggi la visita a un grande museo richiede una quantità di tempo considerevole, che - a meno di immaginare dei tour museali in stile sightseeing - si dilaterebbero in misura esorbitante, rischiando di lasciar fuori proprio quanto di più interessante il museo offre.
Anche solo guardando da una prospettiva quantitativa (il museo come attrattore turistico, e quindi i numeri dei visitatori), il modello museale corrente andrebbe almeno rivisitato. Come prima cosa, il museo non è una cattedrale nel deserto. Se il Louvre è al primo posto per numero di visitatori, è per una serie di fattori, il primo dei quali è che si trova a Parigi. La gran parte di questi visitatori, infatti, va al museo perché è venuta a Parigi, non viceversa. Inoltre, l’attrattiva forte del museo (al di là dell’ottimo lavoro di branding che è stato fatto su di esso, basti pensare alla Pyramide di Ieoh Ming Pei) non risiede nelle 35.000 opere in esposizione permanente (a fronte di una collezione di 380.000!), ma nel fatto che vi si possano ammirare la Gioconda e la Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci, i due Prigioni di Michelangelo Buonarroti, Amore e Psiche di Antonio Canova, il Giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David, la Libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix, la Venere di Milo e la Nike di Samotracia... Se il museo parigino è al primo posto della top-ten, quindi, non è per ragioni quantitative - superficie utile, opere esposte - ma qualitative.
Il grande museo, inoltre, necessita di un territorio commisurato. Il primo dei musei italiani in classifica è gli Uffizi di Firenze, una città di dimensioni medio-piccole, in gran parte costituita da beni storico-architettonici che rendono estremamente difficile un intervento urbanistico significativo. In Italia, quando smuovi una pietra erompe la Storia. E questa è una ricchezza ma anche un onere considerevole, in termini economici, di spazio, di tempo. Il modello centripeto, quindi, incontra qui grandi limitazioni e difficoltà. Va inoltre tenuto conto che questo modello museale risente anche dell’epoca in cui fu concepito. Il British Museum nasce nel 1753, il Louvre quarant’anni dopo, il Prado nel 1819, l’Ermitage nel 1852, il Metropolitan nel 1872. E' un modello figlio di una più generale concezione della società, caratterizzata dalla verticalità, dalla gerarchia territoriale, dal centralismo statale.
Nell’epoca presente, e in un paese con le specifiche caratteristiche dell’Italia, inseguire questo modello non ha più senso. Se davvero si vuole scommettere sul potenziale rappresentato dal nostro patrimonio storico, artistico e paesaggistico, occorre andare in un’altra direzione. Limitandoci qui all’idea di istituzioni museali, il primo passo sarebbe innervarle sul territorio, costruendo reti nell’ambito di distretti culturali all’interno dei quali il museo svolga funzione propulsiva, centripeta, diffusiva. Occorre ripensare la strutturazione stessa del museo, andando anche oltre quanto già si fa all’estero. Se - per tornare a Parigi - già costituisce un modello avanzato il Carrousel du Louvre, vera e propria città sotterranea con negozi, bar, servizi, auditorium, una grande libreria e una sala per le esposizioni temporanee, e persino la fermata Palais Royal - Musée du Louvre della metropolitana, il museo del nuovo millennio deve spingersi più avanti.
Occorre che questi spazi non siano più paralleli alla struttura museale vera e propria, ma ne siano parte integrante, opportunamente distribuiti lungo il percorso di attraversamento del museo stesso. Occorre che si predispongano ugualmente spazi didattici e divulgativi, che servano ad esempio a contesualizzare storicamente le opere, oppure a illustrare le tecniche artistiche, attraverso l’uso di strumenti audiovisivi e multimediali. Utilizzare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie non semplicemente per aumentare il volume di informazioni, ma piuttosto per espandere l’esperienza visiva. Occorre che si creino connessioni di senso tra i diversi spazi espositivi presenti sul territorio, costruendo una narrazione che faccia da viatico all’esperienza conoscitiva, incoraggiando la fruizione diffusa.
Inutile dire che tutto questo significa necessariamente anche tante altre cose. Un trasporto locale efficiente, tanto per dirne una. E', insomma, una questione eminentemente politica. Attiene cioè alla dimensione della polis, della res publica. E se da un lato è vano attendersi che questo genere di innovazione arrivi motu proprio dall’attuale classe dirigente, è altrettanto vano credere che si possa semplicisticamente costruire dal basso, in totale autonomia da questa. Si tratta di un processo dinamico e dialettico, tra governati e governanti, in cui ciascuno deve fare la sua parte. Prima che questa grande ricchezza di cui meniamo vanto non sia definitivamente surclassata da altro/i. E che a finire in un museo, come reperto del passato, non sia l’Italia stessa.