“Per questo io penso che la disperazione è oggi l’unica reazione possibile all’ingiustizia e alla volgarità del mondo, ma solo se individuale e non codificata. La codificazione della disperazione in forme di contestazione puramente negativa è una delle grandi minacce dell’immediato futuro (come l’atomica o la cultura di massa).”

Pier Paolo Pasolini

Che le parole di Pier Paolo Pasolini abbiano sempre avuto dei valori a sé, atipici e distinti in maniera gigantesca nei loro perché e che, soprattutto, siano sempre state così taglienti ed appropriate nella loro innata capacità di scalfire e penetrare la pelle di alcuni fantasmi, era cosa già ben chiara e fin troppo nota. Che, poi, a noi che proviamo quotidianamente a distaccarci, per pura cautela, da quell’opinione pubblica – definita “covo del terrorismo”, “sede deputata della regressione” – suonino come le note di una musichetta rivelatrice che scuote la coscienza e ogni volta la ridisegna, è un’altra cosa ancora. Non a caso, nelle ultime parole della lettera dedicatagli post-mortem, Oriana Fallaci – l’apoteosi del Giornalismo Femminile e, per molti versi, l’inizio e la fine –, quell’Oriana con cui condivideva quell’essere “voce fuori dal mondo” in un “mondo quasi sordomuto”, racchiude tutto il suo dolore in quella che può essere considerata la trama simbolica di ciò che ha significato il Corsaro e Veggente Bolognese, rivolgendosi a lui stesso in nome di una nostalgia e di un buio che rimarranno eterni: “Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce s’è spenta?”.

A parte i dovuti elogi e ritornando ai fantasmi, a quei fantasmi che aleggiano storicamente sulla scena italiana – che si parli di politica o di popolo è praticamente la stessa cosa dato che sono a stretto contatto e determinati da una sorta di legame di causa-effetto sia per quanto riguarda l’economia, il benessere, il finto benessere, il lavoro e le funzionalità, sia per quanto concerne ed interessa la trasmissione del pensiero, la contaminazione di esso e l’educazione –, c’è da dire che il vizio della contestazione puramente negativa, autolesionistica e tipicamente all’italiana ha un che di triste ed attualissimo. Tipicamente all’italiana perché figlia di un sistema ancora all’italiana, quel sistema di cui molti parlano (o contestano) ma che finisce per assimilare tutto, ogni dissenso razionale, ogni diversità che cerca di imporsi ma che si autoelimina inconsapevolmente; come munito di una resilienza tutta sua, il sistema è capace d’auto-organizzarsi di fronte ad ogni trauma estraneo o cambiamento violento quanto radicale; sistema da cui Pasolini si distanziava senza però rigettare – considerando Morte il non voler conoscere la realtà attraverso esso e data l’impossibilità di conoscerla al di là di esso– quel viverlo come doveva esser vissuto, per forza di cose cinicamente, quel doverlo e volerlo cambiare con intelligenza e lungimiranza.

La contestazione e il dissenso, ad oggi ed inevitabilmente, assumono sempre di più – nel rumore e nel silenzio – i caratteri di particolari conformismi terroristici, nuovi fascismi ciechi ed infantili di fronte alla propria evanescenza e ad una realtà molto più estesa di loro. Pregni che siano ora d’ideologie stonate, morte ed inquinate da sporche melodie che assomigliano a delle lagne, ora dell’ignoranza furba che, alla ricerca spasmodica della sua metà, la trova nel suo stesso qualunquismo che vede diffondersi così facilmente da trasformarsi ed evolversi in potere altro e concreto. Ideologie morte, appunto, ed inserite in quell’apparato democratico tutto/sempre italiano che, ansimando e respirando disordine, disorganizzazione e diseguaglianza a livello biblico e multiforme, finisce per essere solamente il piede vescicoso dentro uno stivale scolorito, senza stile, scomodissimo, oltreché deformemente acciaccato in quella parabola decadente occidentale dove sembra correre e sparire come un’allucinazione. E mentre la gente continua a pensare se stare a destra, a sinistra o diventare "Onesta per Eccellenza" e mentre, soprattutto, perde tempo nell’urlare polvere e chiacchiere a dismisura, nel modellarsi la consapevolezza tramite un’informazione superficiale/ad hoc in negativo e ad acconsentire al nulla in quel male satanico che Pasolini chiamava “oblio dell’etere televisivo” e che oggi, in aggiunta, è rappresentato dallo “spazio virtuale dei social network volto per lo più e sempre di più all’abuso di pensiero”, la politica insiste nel suo fare/disfare generazionale inconsistente, malata di un immobilismo contagioso nonché armata di un’incapacità che sembra quasi genetica. Dall’alto del suo tricolore mezzo sbiadito/mezzo lucente e delle sue amnesie/crisi d’identità, l’Italia appare come un paese senza speranza e, in quel paradosso che le fa da madrina, obbedisce sopravvivendo con i rami della sua bellezza e della sua vergogna. La bella addormentata in un sogno senza fine, dove tutto si muove per rimanere sempre allo stesso punto.

“Prevedo la spoliticizzazione completa dell’Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi. Lo so: i comitati di quartiere, la partecipazione dei genitori nelle scuole, la politica dal basso… Ma sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche, in definitiva non politiche. La strada maestra, fatta di qualunquismo e di alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e come”.

Pier Paolo Pasolini