Sei salita su questo treno di corsa. Hai l'affanno, le guance rosse. Non eri qui ad aspettare, hai sentito quel ciuff ciuff che solo qualche anno fa ti ha insegnato il Sapientino, e ti sei staccata dall'asfalto come una foglia al margine del binario. Sei saltata su, veloce, senza peso. Hai al massimo sedici anni, hai sottili capelli biondi, dei jeans larghi, una maglietta nera che ti scopre la pancia. Non ti siedi. Resti in piedi. Tra una coppia di sedili e l'altra. Il treno è vuoto. Ci sono solo io. E la tua amica che invece ti siede di fronte. Quasi non respiri eppure ti muovi piano e canti. Una canzone che io non conosco. Hai l'apparecchio ai denti. Sorridi e dici frasi di un altro che può esserti padre ma che tu senti.
"Prima ero pazza per questa canzone di Jovanotti", dici. E io penso a un prima che non contestualizzo. Un prima che non esiste per te che vivi il prima, tutto. Che sei il prima. Ogni frase che ti esce dalla bocca rimbalza contro la mia vita, come il sole che ti attraversa, sei una bolla di purezza, un cristallo, una cartilagine intatta e viva nel nostro corpo sfatto. Avvieni così, come la svolazzata di uno stormo di rondini, con la stessa urgenza negli occhi di prendere tutto, ogni battito d'ala, ogni becco serrato dalla sopravvivenza. "Non vedo l'ora di vederlo", dici. E presumo tu stia parlando di un ragazzo. Di un ragazzo bello almeno quanto te, certamente più alto del tuo metro e cinquanta, che si veste come te, con questi abiti puliti che le vostre madri vi hanno comprato coi doppi turni. Io lo vedo e ha la faccia del mio primo ragazzo, che purtroppo posso solo ricordare e mai più rivedere, nemmeno per sbaglio, nemmeno cercando, a meno che cercare non significhi morire.
Sei irrequieta e bella come una specie rara. Sei perfettamente dentro il giorno prima di ogni sofferenza. Sei ciò che tutte perdono venti anni dopo. "Dici che sarà felice di vedermi?", chiedi. Vorrei risponderti io, dirti che lo è, certo. Ma che lo sono anche io. E che vorrei chiamare il tuo ragazzo e dirgli: "Ti prego, memorizza questo giorno. Visto che ora si può, fai un video da mostrare ai tuoi figli. Anche se saranno i figli della tua ventesima ragazza e non di questa, la prima, nel mio immaginario. Ma ferma questo istante in cui lei arriva e la sua pancia nuda come una perla tra i vestiti. Chissà quanti la toccheranno, dopo di te. Chissà cosa conterrà, quali dolori, quali figli suoi, quali sapori. Incidi questi istanti nella memoria". Tu non sai che ti guardo e scrivo, di te. Ti hanno dedicato molte cose, ora è così facile farlo, tante frasi, tanti brani cercati su youtube, condivisi su facebook perché tu li ascoltassi. E nella maggior parte dei casi non li hai ascoltati mai.
Hai scritto "grazie" e poi dei cuori. E sei volata via ai margini di qualcos'altro. Il rimbalzo della mia vita mi riporta fogli scritti e dediche sui muri, cassette della posta e depistaggi e appostamenti sui motorini, e tante occasioni perse per dire "ascolta" e le compilation nelle cassette con gli adesivi incollati bene e le copertine umide di pennarelli. Sei nuova e incontaminata e non puoi avere i miei ricordi e non mi dispiace per te. Non penso "ai miei tempi" come se fossero migliori. Penso a questo tempo tuo che voli tra i sedili e solo questo, questo che vivi, è il tempo migliore. E questo fatto che non lo sai e che il grado di disperazione è misurato da una risposta su whatsapp, curato dal tuo piatto preferito quando torni da scuola.
Vorrei dirti dal nulla che non ti invidio, ma che ti amo come non amavo me, che ti amo come una figlia che non ho. Che vorrei rivivere io ogni cosa mia anche per te. Perché questo giorno, che è il tuo giorno prima, duri in eterno e tu non debba scordare il finestrino che ti tocca le spalle, questa canzone di Jovanotti e gli occhi del tuo ragazzo. Dicono che è giusto crescere e fare le proprie esperienze, sbatterci la testa, dicono. E supererai tutto, imparerai la forza. Ma anche la paura. Ed è proprio questa che ti farà mettere seduta su uno di quei sedili che ora sono vuoti, incapaci, incapaci di contenerti. La paura.
Vorrei bastasse la mia. Vorrei bastasse anche per te.
Immagini di Martina Matencio Fotógrafa
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Colonna sonora