Le vergini giurate, donne nate e cresciute nei remoti villaggi dell'Albania settentrionale, conducono da sempre una vita in abiti maschili; non per una questione di genere o sessualità ma di rappresentanza politica. La tradizione delle sworn virgins nasce centinaia di anni fa sotto il segno di una società tipicamente patriarcale e lascia traccia fino ai giorni nostri, cristallizzata nel tempo tra le aride zone montuose dell'Albania. La fotografa statunitense Jill Peters ha raccolto diverse testimonianze all'interno di un progetto fotografico, ritraendo e raccontando le vite di tutte coloro che hanno scelto di cambiare la propria identità di genere per avere accesso ai diritti politici e sociali destinati all'uomo e negati alle donne. Spesso costrette dalle famiglie a giurare sulla propria verginità e ricoprire il ruolo di uomini, per molte sworn virgins si tratta invece di una scelta consapevole, che complica la divisione dei ruoli di genere all'interno dello stesso universo patriarcale.
Le vergini giurate fanno parte di una tradizione nata nel quindicesimo secolo, il secolo del Kanun: un rigido sistema di leggi di natura patriarcale, prettamente patrilineo. I codici del Kanun modellano e dividono severamente i ruoli di genere sulla base di diritti di natura civile e politica. Mentre la componente maschile della società gode di ogni tipo di rappresentanza politica e ha un ruolo attivo all'interno della società, le donne sono private di ogni diritto. Da mogli, sono riconosciute esclusivamente come proprietà del marito e costrette a sottostare agli obblighi coniugali e all'adempimento di mansioni domestiche, senza la possibilità di svolgere alcun tipo di attività lavorativa all'esterno della propria dimora.
Durante i secoli del Kanun si imponeva spesso, all'interno delle famiglie di sole figlie femmine, un giuramento di verginità, in seguito al quale una delle donne di casa cambiava identità indossando abiti dell'altro sesso. Il giuramento segnava la nascita di una nuova categoria sociale, quella delle vergini giurate, che svolgevano attività tipicamente maschili provvedendo al sostentamento economico della famiglia e garantendone la discendenza generazionale. Rinnegando la propria sessualità femminile, le vergini erano accettate e riconosciute come uomini dal resto della società. Inoltre, in risposta all'annullamento politico e sociale, molte donne rinunciavano volontariamente all'identità femminile per diventare uomini “sociali” e rincorrere un terreno più ampio di diritti e “libertà”.
Immerse nei loro abiti maschili, le vergini giurate vengono ritratte dalla fotografa statunitense in pose tipicamente virili, impugnando un fucile o fumando sigari, attività severamente vietate alle donne. Queste fotografie immortalano un tipo di mascolinità “performativa”, come direbbe la studiosa Judith Butler, che esiste e si ripete sulla base di pratiche esistenti, in questo caso scritte e divulgate tra le pagine dei codici del Kanun. Una mascolinità standardizzata, che è canale di riconoscimento sociale e prodotto stesso di una grave oppressione di genere. In questi scatti la fioca voce della donna subalterna si stringe muta tra due tipi di rappresentazione, una di tipo sociale, legata all'epoca del Kanun, e una visiva-mediatica contemporanea, basata anch'essa sul concetto di mascolinità.
La complessità del fenomeno delle sworn virgins e della loro odierna rappresentazione apre le porte a un dibattito intellettuale che ruota attorno a temi delicati quali identità, ruoli di genere e “performatività”. La domanda che sorge è quella posta dalla filosofa Judith Halberstam nel suo saggio The Queer Art of Failure: Can freedom be imagined separately from the terms upon which it is offered?