“Una notte di maggio del 1888, quasi vent’anni fa, visitai Vescovana, per la prima volta. Assieme a me vi erano mio padre, il signor H.F. Brown e sua madre, e i nostri due gondolieri veneziani: lasciammo la città lagunare nel pomeriggio, e al tramonto, circa cinque ore più tardi, arrivammo alle porte della grande villa nella terraferma, su invito della padrona di casa”.
Questo l’incipit de La contessa Pisani [1] di Margaret Symonds (1869-1925), figlia del noto poeta e critico letterario John Addington Symonds [2], unico diario-testimonianza della straordinaria personalità di Evelyn van Milligen, nata nel 1830 a Costantinopoli, inglese di origine ed educata a Roma. Evelyn è figlia del dottor Julius van Millingen, stabilitosi a Costantinopoli nel 1927 dopo esser stato chirurgo dell’esercito greco, medico di Lord Byron, che curò sul letto di morte a Missolungi, fatto prigioniero da Ibrahim Pascià e infine rilasciato grazie all’ambasciatore britannico Sir Stratford Canning.
Evelyn nasce dalla prima moglie, cattolica che poi si converte all’Islam, cresce a Roma sotto la tutela della nonna inglese fino all’età di 18 anni e studia presso il Convento del Sacro Cuore; ha attitudine agli studi e alle letture classiche ma avrà sempre ben poca stima di se stessa e della sua cultura, tanto da ritenersi incapace di apprendere e applicarsi. Frequenta le famiglie dell’aristocrazia nobiliare romana, come i Borghese, di cui apprezza la bellezza della dimora e della nota galleria. Il suo destino la porta, dopo un breve ritorno dal padre a Costantinopoli, a Venezia per un occasionale invito e dove diventa moglie dell’ultimo erede di una delle più antiche famiglie del patriziato veneziano: Almorò III Pisani. E’ il 1852 e ha appena 22 anni quando viene celebrata la cerimonia nella Basilica di San Marco.
Il giardino, la vita agreste – ama leggere le Georgiche ironizzando sulla sua ignoranza della lingua latina – e il paesaggio, connoteranno ogni minuto della sua vita, ritirandosi dalla vita mondana che avrebbe attirato una qualsiasi altra promettente ragazza inglese, soprattutto già ben introdotta nel circolo degli espatriati anglosassoni a Venezia: i Brown, i Curtis, i Layard, gli Eden e i Browning. Il suo fascino era noto come le sue spiccate doti intellettuali, l’amore per l’arte e la musica, quando alla Fenice riscuoteva successo per l’eccentricità e la classe dei suoi abiti orientali.
Evelina diviene a tutti gli effetti un agiata contessa che si diletta nel ricamo, nelle visite di cortesia con il consorte presso altre dimore veneziane, tra Palazzo Barbaro e la Villa di campagna di Vescovana, a quaranta chilometri nell’entroterra della pianura, a pochi passi dai Colli Euganei in una proprietà di migliaia di ettari, protesa da Este fino all’Adige, in parte produttiva, in parte incolta e agreste, lontana dal frastuono delle mondanità e dalle chiacchiere fatue. Catturata da questa campagna desolata e al tempo stesso ricca di stimoli, per la sua indole incline alla contemplazione della natura e delle sue peculiari rappresentazioni vegetali e animali, si allontana sempre più dal bel mondo per trovare un rifugio sicuro e stimolante che le consente di dedicarsi alla letteratura e alla cura assidua ed eccitante del parco. Nonostante l’inclinazione a vivere in un ambiente romito e consono all’otium, Evelyn non passa inosservata agli occhi di Henry James, scrittore americano perennemente attratto dal bel paese, che ne riporta un immagine di “donna davvero straordinaria: una signora che ricorda vagamente Caterina Cornaro – la regina di Cipro veneziana che poi si rifugiò ad Asolo e morì nel 1510 – e rende credibili le eroine romantiche di D’Israeli e Bulwer”. Sembra che la ricordasse come una sorta di amazzone che sfrecciava nelle strade impolverate della bassa padovana quando si faceva condurre da Venezia in carrozze guidate da intrepidi cavalli.
Quello che stupisce della sua indole è che alla morte del marito Almorò III Pisani, nel 1880, ultimo erede della casata, ormai in pieno decadimento suggellato dal faraonico progetto di Almorò Luigi figlio del Doge Alvise, della monumentale Villa di Strà sulla Riviera del Brenta e del suo parco che portò in rovina i Pisani, Evelyn rimase nella desolata terra paludosa e malarica, cocente in estate e per molti mesi dell’anno soggiogata da fitte nebbie e ghiaccio. Il fuoco sacro che muoveva l’indole di una giovane donna – che da un giorno all’altro si trova a dirigere una azienda agricola di tutto rispetto, con mezzadri, allevamenti bovini, coltivazioni estese di grano, viti e allevamenti di bachi da seta – era l’amore per la botanica che coltivava già dalle giovanili escursioni nelle Alpi, colpita dalla vegetazione alpina di St. Moritz. Ribattezzata la poderosa azienda Gromboolia, in ricordo del regno immaginario dello scrittore inglese Edward Lear (1812-1888), e la cinquecentesca dimora veneziana Villa del Doge (commissionata dal Cardinale Francesco Pisani), sorta su un antico feudo dei Pisani acquisito dopo la confisca dei veneziani dell’antica corte feudale, Elisina, risalente al 1000, Evelyn realizzò il suo progetto, il giardino Crispin de Pass. “Le fonti dicono che per questo giardino si ispirò al volume Hortus floridus di Crispijn van de Passe (1614), un testo fondamentale poiché con le sue iconografie divenne una sorte di monografia-catalogo per la conoscenza dei tulipani dell’epoca”(Busnardo G, 2014).
Ispiratasi a uno dei più noti architetti del giardino inglese, Sir Reginal Blomfield (1856-1942), la contessa Pisani è frequentemente in preda a momenti di pura esaltazione creativa e compone un giardino formale “all’italiana” con una contaminazione di stile tutto anglosassone. Fa arrivare migliaia di bulbi da ovunque soprattutto dal “profeta di quel giardino” afferma Margaret Symonds nella biografia. Dice Evelyn “Barr mi ha mandato un’infinità di bulbi, e per due giorni non ho fatto altro: non sono andata né alle stalle né ai campi di granoturco, ho tralasciato le tue lettere e tutto il resto. Come possiamo renderti più bello Crispin de Pass!”. Lasciato nel cassetto il sogno di un prato all’inglese dopo i fallimenti “in quella pianura bruciata dal sole, esposta di continuo alla siccità, alluvioni e gelate”, si specializzò nell’uso di specie resistenti al clima così estremo e trovò nei tulipani degli ottimi alleati.
Il giardino la rinfrancava dalle preoccupazioni economiche, organizzative, le dava energia nuova per sostenere impegni gravosi per l’azienda e la Villa. Un giorno era a costruire il giardino roccioso “Mockery”, un altro il “Tempio di Baal”, erborizzava senza sosta nelle campagne alla ricerca di radici, piante spontanee che l’avevano entusiasmata, fece arrivare varietà di campanule speciali dalle Alpi insieme alle sassifraghe, piantava il rabarbaro in grandi cespugli e bulbi di iris, scille come quella marittima: “E’ la cosa più bella che tu possa immaginare – scrive – alta sottile e slanciata, con in cima quei fiori bianchi e soffici”. La tenacia di Evelyn stupiva tutti, dai fattori all’ultimo lavoratore del villaggio, si occupava di tutto e di tutti, verificava i frutti della terra, colloquiava con le sue amate mucche di razze diverse e di qualità eccelsa che chiamava rigorosamente per nome, una a una. Ma lo sforzo di vivere in una terra straniera per tanti anni non era mai visibile poiché prevaleva l’intelligenza, la sensibilità e l’amorevolezza verso chi collaborava con lei e con i suoi ospiti stranieri, spesso da lei per lunghi periodi. I visitatori erano di fama internazionale, aveva creato un circolo culturale proveniente soprattutto da Venezia, tra cui Henry James, Constance Fenimore Woolson, Clare Benedict, che ricordarono quest’oasi naturalistica creata da una leggendaria Lady inglese. James scrivendo ai Curtis a Venezia benedice quella casa e “tutto ciò che contiene, non ultimo il fantasma o ciò che rimane della nobile Pisani”.
Ci si perde nel giardino, un'estensione di sei ettari tra gigantesche magnolie dai fiori inebrianti bianco crema, il fossato che circonda il parco dove in primavera spuntano cuscini di aglio ursino con fiori bianchi dall’odore pungente, gigli e rose di maggio nelle pergole. Spazi e radure si alternano a viottoli ombrosi a serpentina sotto alberi secolari di specie esotiche e nostrane, dai carpini ai faggi, ai pini austriaci, boschetti di bambù tipicamente ottocenteschi creano anfratti nascosti dove si scorgono zone d’acqua con iris selvatici gialli sotto ornielli, acacie e tamerici. Qui fino all’Ottocento si pescavano anguille, tinche da catturare senza rovinare le ninfee pena qualche ripresa severa della contessa. Il prodotto dei frutteti e della collezione degli agrumi facevano parte del bilancio aziendale e costituivano un importante contributo al sostentamento del cospicuo numero di contadini e mezzadri, che con le loro famiglie concorrevano a far funzionare il “feudo” di campagna.
Oggi il genius loci a Vescovana è ancora percepibile aggirandosi tra le frasche e i cinguettii di una sorta di riserva naturalistica, le rose collezionate da Evelina le ritrovo ancor più rigogliose in un giardino vivo rinnovato dall’attuale proprietà, la famiglia Scalabrin. Evelyn vivrà fino al 1900 senza eredi ma a lei si deve, come a molte donne inglesi vissute in Italia, la creazione di un giardino e la sopravvivenza di un luogo denso di storia che oggi non avrebbe avuto possibilità di resistere all’incuria del tempo. La cappella sepolcrale dei Pisani, un unicum architettonico in stile neogotico, accoglie le sue spoglie in un angolo del Parco; sulla villa quando Evelyn era in casa doveva sempre svettare la bandiera dei Pisani, che ho scoperto fortuitamente, con somma meraviglia, conservata in un antico Palazzo veneziano.
Un amico studioso della vicenda di Evelina – così la chiamavano - mi dice che si attende ancora il ritrovamento delle sue lettere o di qualche documento d’archivio per ricostruire il giardino di Evelyn, dei suoi tulipani preziosi provenienti da tutto il mondo che forse le rendevano meno gravosa la distanza dalla sua terra nativa: la Turchia. Sembra che un noto giornalista australiano, Desmond O’Grady, abbia avuto un interesse spiccato per questa donna così leggendaria e confido che non sia lontano dal pubblicare finalmente il libro che ci aveva promesso sulla storia e il mito di Evelina.
[1] Symonds M., 2013 – La contessa Pisani. Ed. Santi Quaranta, Treviso
[2] John Addington Symonds (1840-1893), visse in Italia per diversi anni e soprattutto a Venezia. La sua opera più celebre è Il Rinascimento in Italia.