L’esperienza di diventare genitori rappresenta per la coppia un momento evolutivo rivoluzionario, in quanto opera una modifica radicale nell’esperienza individuale, nel vissuto di sé, nei rapporti di coppia. Il tema che emerge in maniera più significativa è quello dell’incertezza, legata sia alla conduzione del travaglio e del parto, sia al post partum, in particolare gli sbalzi d’umore, la gestione iniziale del neonato e l’inizio della relazione con esso. Il presente lavoro ha lo scopo di descrivere le caratteristiche e la pervasività di tale incertezza, la sua funzione, e infine l’effetto del ricorso – oggi molto diffuso – alla tecnica, sotto forma di strumentazioni e di interventi farmacologici.
L’incertezza nell’attesa e nell’arrivo di un figlio
L’incertezza riguarda numerosi fattori, che sfuggono al controllo e a una pianificazione razionale:
1. La data del parto, che non a caso viene definita “data presunta”: il fatto di non sapere con esattezza quando si partorirà mette sia la donna sia l’uomo in una posizione di allerta che cresce all’avvicinarsi della data presunta, e che raggiunge il suo apice nel caso (molto frequente) in cui si vada oltre tale data;
a. la donna, nello specifico, viene controllata da parenti e amici, attraverso il telefono cellulare, in tutti i suoi spostamenti, e questo determina in lei un acuirsi dello stato di ansia;
b. l’uomo, invece, viene trascurato dai famigliari (non è “in stato interessante”) e, se non ben informato su quando portare la donna in ospedale, manifesta un picco di ansia proprio nel momento in cui alla compagna iniziano le primissime contrazioni o quando si rompe il sacco amniotico.
La modalità del travaglio: il travaglio rappresenta una sorta di punto interrogativo per la donna, in tutti i suoi aspetti;
a. il grado di difficoltà di gestione delle contrazioni;
b. la durata;
c. l’eventuale necessità di medicalizzarne l’inizio e l’andamento (induzione delle contrazioni, rottura manuale del sacco amniotico, somministrazione di ossitocina, anestesia epidurale);
d. la possibilità che a un travaglio anche pressoché completo si presenti la necessità di intervenire con un taglio cesareo, per la comparsa di complicazioni o semplicemente per la rilevazione di fattori considerati di rischio per il buon andamento di un parto per le vie naturali.La modalità stessa del parto, che presenta vari livelli di difficoltà e durata.
Il post partum, che rappresenta anch’esso un’incognita, a causa dell’impossibilità di prevedere – o perlomeno di definire con certezza – come saranno:
a. l’effetto delle variazioni ormonali;
b. il senso di nostalgia verso il periodo di gravidanza e la perduta situazione di “controllo” del feto dentro di sé;
c. l’inizio e l’andamento dell’allattamento;
d. le caratteristiche di durata e intensità della crisi depressiva post partum;
e. il grado di salute del bambino, in generale (sistemi, apparati, reattività generale, assenza di patologie di varia entità) e soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo del suo sistema immunitario, che garantisce uno stato di buona salute e di conseguenza una tranquillità nei neogenitori;
f. il carattere del bambino, il suo grado di “facilità”, la sua capacità di tollerare la frustrazione, la frequenza delle poppate;
g. le reazioni dell’ambiente familiare, in particolare la capacità dei parenti di interessarsi senza però essere intrusivi, di aiutare nelle faccende pratiche ma non (o non troppo) nella cura del neonato, di dare consigli soltanto se la neomamma li richiede o se è in grado di accoglierli senza sentirsi criticata o incapace;
h. per chi ha altri figli, le reazioni di questi ultimi all’arrivo del neonato.
L’angoscia legata al travaglio-parto e la sua funzione
Sulla base delle più condivise e diffuse tecniche di parto attivo, si cerca di rinforzare le capacità adulte della donna durante la seconda parte del periodo dilatante, quando il dolore e l’ansia crescono e mettono la donna in condizioni regressive, passive. Il grande livello confusivo che si può presentare in tale delicato periodo può comportare anche la perdita delle coordinate spazio-temporali e l’emergere di un’angoscia di frammentazione (Winnicott).
Si riscontra come il superamento dell’angoscia possa portare nella donna alcuni cambiamenti decisamente positivi:
• un’accresciuta sicurezza di sé, nelle proprie capacità di superamento delle difficoltà;
• un’aumentata fiducia nel prossimo che, superata la paranoia primaria, diviene veicolo di sostegno e di supporto anche psicologico;
• un aumentato senso di gratitudine verso il compagno che, trascorso il momento del parto, lungi dall’essere ancora considerato la “causa” del proprio dolore, rappresenta un fondamentale supporto emotivo nei momenti di paura nel futuro; questo cambiamento nel vissuto e nell’atteggiamento verso il compagno si verifica in particolar modo quando l’uomo viene opportunamente preparato all’assistenza al travaglio-parto;
• un’accresciuta capacità di dimenticare gli eventi negativi: la perdita di memoria degli eventi specifici negativi relativi all’esperienza del travaglio e del parto si rivela fondamentale sia nell’inizio del processo di attaccamento e di cura del neonato, sia nella gestione generale degli eventi futuri che la vita riserva.
Anche se si è soliti enfatizzare i cambiamenti negativi, che tuttavia sono in genere limitati ai primi mesi del post partum, si riscontra spesso come anche nell’uomo e nel rapporto di coppia intervengano forti cambiamenti. In molti casi vi è, a medio e lungo termine, un consolidamento del rapporto di fiducia. I cambiamenti emotivi e cognitivi della donna, infatti, sono spesso tanto vistosi che il compagno si meraviglia della forza dimostrata dalla donna nella gestione del parto, e questo può rendere il rapporto di fiducia reciproca tra i due partner più solido. Si potrebbe ipotizzare che il dolore del travaglio e del parto, e l’angoscia legata ad esso, possieda un suo specifico significato e una precisa funzione: quella cioè di accrescere la forza dell’Io e la fiducia in se stessi, nelle proprie capacità, nel rapporto di coppia, negli altri, e soprattutto quella di rinforzare la capacità di adattamento e di gestione attiva delle difficoltà che il futuro può riservare.
Il ruolo della tecnica
Il progresso scientifico e tecnologico relativo all’ostetricia e alla ginecologia ha introdotto una serie di possibilità che in passato erano impensabili: dalla programmazione di un parto, all’induzione del travaglio, all’accelerazione dello stesso, all’anestesia epidurale in travaglio di parto, all’ecografia in 3D, fino ad arrivare all’amniocentesi, alla villocentesi, alla fecondazione assistita. Tutti questi strumenti, in misura maggiore o minore, hanno l’effetto di ridurre la necessità di gestire l’incertezza: in questo modo la donna si trova nella posizione di non dover più come prima abituare la sua mente a tollerare l’ignoto, la novità e il fatto che il bambino porti con sé la sua individualità e la sua autonomia in statu nascendi. La necessità di gestione degli aspetti di incertezza risulta di fatto decisamente ridotta. E tutti questi strumenti - in primis l’anestesia epidurale, oggi sostenuta come la “panacea di tutti i mali”, tanto da venire quasi proposta come tecnica di routine - sono tesi a ridurre notevolmente o ad arrivare a eliminare la necessità di gestire l’angoscia legata al periodo dilatante e a quello espulsivo.
Pertanto, in un’epoca che vede la progressiva diffusione e utilizzo della tecnica nella gestione del concepimento, della gravidanza e del parto, è lecito interrogarsi sul significato che l’utilizzo della tecnica ha sulla psiche. Galimberti, parlando della tecnica, e facendo riferimento al Protagora di Platone, in cui si parla di Prometeo (colui che pensa prima, che prevede) ed Epimeteo, e al motto scientia et potentia di Bacone, sostiene che essa ha un potere estremamente forte sulla nostra mente, e che la psiche umana non è in grado di stare al passo con la tecnica qualora questa, come succede nel periodo storico presente, diventi onnicomprensiva e strumento necessario al raggiungimento di qualsivoglia obiettivo. “Anche i nostri sentimenti vengono modificati. Il troppo grande mi lascia indifferente. E per non toccare con mano la mia impotenza a modificare il corso delle cose, rimuovo l’informazione. Neppure emotivamente, quindi, siamo all’altezza dell’evento tecnica”. “La tecnica non è più oggetto di una nostra scelta, ma è il nostro ambiente e ci trasforma. Abitiamo la tecnica irrimediabilmente e senza scelta”. “Quando la tecnica aumenta quantitativamente al punto da rendersi disponibile per la realizzazione di qualsiasi fine, allora muta qualitativamente lo scenario, perché non è più il fine a condizionare la rappresentazione, la ricerca, l’acquisizione dei mezzi tecnici, ma sarà la cresciuta disponibilità dei mezzi tecnici a dispiegare il ventaglio di qualsivoglia fine che per loro tramite può essere raggiunto. Così la tecnica da mezzo diventa fine, non perché la tecnica si proponga qualcosa, ma perché tutti gli scopi e i fini che gli uomini si propongono non si lasciano raggiungere se non attraverso la mediazione tecnica”. “Nata sotto il segno dell’anticipazione, la tecnica finisce col sottrarre all’uomo ogni possibilità anticipatrice, e con essa quella responsabilità e padronanza che deriva dalla capacità di prevedere”.
Dal punto di vista psichico, l’utilizzo massiccio e “di routine” della tecnica applicata all’evento parto-nascita, sembra impoverire la naturale capacità della mente di allenarsi alla gestione dell’incertezza, con conseguenze specifiche rilevanti.
Gli effetti specifici sui genitori e sul bambino dell’introduzione massiccia della tecnica nell’esperienza della genitorialità
Le conseguenze più spesso riscontrate oggi nelle coppie sono le seguenti:
1. Una diminuita sicurezza di sé, in particolare nelle proprie capacità genitoriali;
2. un abbassamento della capacità di aspettare e di rispettare i tempi di sviluppo del bambino: si riscontra un’insofferenza nell’attesa che compaia la montata lattea, e in generale un bisogno continuo di anticipazione delle fasi di sviluppo cognitivo e motorio del bambino (il bambino che deve essere un eroe, che non si deve riposare);
3. un bisogno di efficienza immediata: dalla ripresa nel post partum che deve essere rapida, alle dimissioni precoci dall’ospedale, alla ripresa fisica, al rifiuto di ricevere aiuti esterni, al rifiuto della crisi depressiva che, anziché essere accolta e gestita come un evento normale, viene vissuta con profondo timore e con un forte senso di estraneità;
4. una diminuita autorevolezza nel mettere limiti e divieti al bambino che, crescendo, non incontra - se non molto raramente - la frustrazione del trovare davanti al suo desiderio un “no”;
5. una diminuita capacità di tollerare l’autonomia, la libertà, la differenza da sé che il bambino porta: si riscontra - soprattutto dall’inizio della scolarizzazione primaria - un forte bisogno del genitore di controllo e di programmazione dei singoli momenti di vita del bambino (tanto che persino le feste sono programmate nei loro contenuti, ed è scomparso il gioco libero, quello gestito interamente dal bambino).
Esistono, oltre la tecnicizzazione dell’evento parto-nascita, numerose altre cause di tali fenomeni. Tali cause, anche del tutto estranee a questo argomento, spesso si riconducono a loro volta alle conseguenze che l’onnipresenza della tecnica oggi ha all’interno della vita nei Paesi occidentalizzati. Un esempio per tutti, l’iperstimolazione (da TV, Internet, videogiochi, giochi interattivi) che ha portato a fenomeni prima decisamente minori e marginali, oggi pervasivi, come ansia da prestazione e iperattività nel bambino.
Conclusioni
L’uso della tecnica massiccio, indiscriminato e non ponderato sul singolo caso, riducendo la necessità psichica di gestire l’incertezza che la nascita di un figlio comporta in tutti i suoi aspetti, riduce sì l’ansia del momento, ma a medio e lungo termine porta conseguenze negative, con ripercussioni sulla psiche anche del bambino che, ormai nato da tempo, vede continuamente la sua vita programmata nei minimi dettagli, e non impara a gestire i limiti, i rischi, e a sua volta non acquisisce la capacità di tollerare l’incertezza che la vita comporta.
Un livello tollerabile di incertezza permette infatti alla mente umana una sorta di “allenamento” alla gestione dell’ansia, che si rivela preziosa nella gestione della vita propria e del bambino, che è “altro da sé” per eccellenza, e che sollecita la capacità della mente di accettare e rispettare l’autonomia altrui. La percezione materna dei movimenti fetali rappresenta, in questo senso, il primo strumento per accettare l’alterità e il non controllo: così come il feto si muove dentro l’utero in modo indipendente dalla volontà della madre, così l’inconscio è - da Freud - considerato come “quella parte della nostra mente che sfugge all’attenzione vigile della mente stessa”, e così il bambino, dal momento del concepimento, porta con sé in nuce l’autonomia che sarà e l’incertezza che da essa deriva.
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