Tra le prime fioriture dei boschi, quella della Primula è forse la più rappresentativa: il delicato colore dei suoi fiori è il messaggio più rassicurante di una primavera ormai alle porte. Anche il suo nome trae ispirazione da questa prerogativa, infatti il termine primula deriva dal latino primus, in relazione alla precocità della sua fioritura.
Tra le varie specie la più rappresentativa è la Primula comune (Primula vulgaris Huds.): una pianta perenne, alta 8-15 cm, con un breve rizoma obliquo e foglie tutte basali, caratterizzate da una lamina oblanceolato-spatolata (4-8 x 8-16 cm), con apice arrotondato e nervature prominenti nella pagina inferiore. I fiori, portati da pedicelli pubescenti di 4-7 cm, sono di colore giallo pallido, con macchie aranciate alla fauce. Questa specie predilige gli ambienti boschivi (soprattutto querceti, faggete e carpineti). Simile per morfologia è la Primula odorosa (Primula veris L.) che comprende due sottospecie: Primula veris L. subsp. veris e P. veris L. subsp. suaveolens (Bertol.) Guterm. & Ehrend.) contraddistinta da un fusto eretto afillo e da fiori riuniti in ombrelle dense; predilige i prati aridi, gli ambienti boschivi (in particolare i boschi aridi di Roverella e conifere) e i cespuglieti.
Nel linguaggio dei fiori la Primula rappresenta un simbolo di Giovinezza e Rinnovamento. La sua origine, secondo una leggenda nordica, è collegata a un episodio che vede protagonista S. Pietro. Il santo, resosi conto che Dio dispone di un duplicato delle chiavi del Paradiso, decide di sbarazzarsi della copia in suo possesso gettandola sulla Terra. A contatto con il terreno, l’oggetto sacro si rende artefice della magica materializzazione di questa pianta. Nel Medioevo era usanza appoggiare durante la notte un mazzo di Primule sul petto, all’altezza del cuore: serviva per allontanare la malinconia e ridare fiducia alle persone offese e rassegnate. La tradizione popolare attribuisce a questa pianta svariati poteri, tra i quali quello di svelare, una volta deposta su una roccia, l’ingresso per accedere al loro regno sotterraneo delle fate.
L’intera pianta contiene numerosi costituenti, tra cui glicosidi fenolici (primaverina e primilaverina), pigmenti flavonici, olio essenziale, principi enzimatici, saponine, sali minerali. In cucina le foglie tenere sono consumate crude in insalata oppure, previa cottura in acqua, aggiunte ad altre erbe selvatiche (a volte per bilanciare il sapore amaro delle classiche “erbe di campo”). In base ai gusti e all’inventiva personale possono essere condite con olio extravergine di olive, ripassate in padella con olio, aglio e peperoncino o utilizzate nella preparazione di zuppe, minestre, risotti, frittelle e torte salate. I fiori oltre ad essere utili per colorare e guarnire macedonie, insalate, pinzimoni e dolci di vario genere, vengono canditi o impiegati nella preparazione di aceti, vini, birre e liquori aromatici. In passato (fino al XIX secolo) erano raccolti e consumati in grandi quantità per aromatizzare dolci, pasticcini, creme pasticcere, torte e sciroppi.
In ambito erboristico la Primula trova impiego per le sue proprietà bechiche, espettoranti, diaforetiche, calmanti, antinfiammatorie e antiechimotiche. Pertanto è utile nei casi di tosse, emicranie, insonnia, irritabilità e, per uso esterno (fiori macerati in olio), nelle contusioni accompagnate da echimosi e nell’artrite. Nella medicina popolare, lo sciroppo ottenuto da questa pianta era ritenuto un tonico del sistema nervoso, mentre il famoso “vino di Primula”, ricavato dalla macerazione dei fiori nel vino bianco, era utilizzato per favorire la circolazione e curare alcune forme di paralisi. L’infuso dei fiori e delle foglie viene impiegato per preparare una gradevole bevanda ad azione lievemente calmante.
Nell’ambito della Floriterapia il rimedio ricavato da questo fiore è particolarmente indicato per chi soffre di pene d’amore (soprattutto quando si ha una visione troppo romantica e idealista di questo sentimento), poiché aiuta a sviluppare delle relazioni più salde e realistiche.
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