Gente moderna sempre al passo con i tempi, costantemente di fretta sia per lavoro che per svago. Vicoli brulicanti, ingorghi, marciapiedi invasi, pedoni affannati dal passo svelto , auto che sfrecciano immobili, zone a traffico limitato, telecamere e semafori. “Scusi permesso”, “Passo io", “Ma non ha visto il passaggio obbligato?”, “Ma lei chi si crede di essere?!”, “Ma lei non sa chi sono io!”.
La città sembra un formicaio. Sembra, perché in realtà non lo è. I formicai sono strutture organizzate, dove ogni suo componente ha un ruolo sociale identificabile e preciso, dove esiste una compatibilità tra l’abitato e l’abitante. Compatibilità spesso mancante nelle nostre città. E cosa dire delle cosiddette ore “di punta” dove la frenesia pare rallentare il ritmo di una coda troppo lunga e sempre immobile, dove quello incolonnato al tuo di fianco sembra essere sempre il più veloce, sebbene sia fermo come te.
La frenesia odierna appartiene oramai a tutte le società industrializzate, ci appartiene, ne facciamo parte, ne siamo i creatori. Dall'America, patria delle tecniche fast, sino alla Cina, passando per l'Europa, non si può fare a meno di notare la tensione con cui si rapportano gli esseri umani con i loro simili. Tutto e subito, senza chiederci come mai. Le poche nazioni non ancora contagiate hanno problemi ben più gravi che consumare il pasto in una sola mezz'ora, o scegliere un latte pastorizzato UHT anziché uno fresco.
Ma noi, gente che corre, dedichiamo sempre meno tempo a tematiche sociali di così grande importanza. Ci manca tempo e quando lo abbiamo spesso ci dimentichiamo dov’è, così lo perdiamo. Siamo talmente sbadati da esserci dimenticati che la temporalità è frutto di una metamorfosi involutiva dettata da regole sociali, tanto in degrado da farci credere di possederlo o smarrirlo come un oggetto. Il tempo esiste, ma non come lo concepiamo noi, forse perché non lo viviamo veramente. Siamo sempre in lotta con il tempo, gli corriamo contro nel tentativo di acciuffarlo, di prenderlo. Ne siamo affamati. “Dove corri? Non lo so, ma devo andare!”
Ma prenditi una pausa spezza con Kit Kat che poi arrivi a fine giornata che non ci vedi più dalla fame. E se ingurgitando schifezze ti ritrovi a fare i conti con un'estate troppo in anticipo non c'è problema, due o tre pilloline al giorno, ognuna di colore differente per colazione, pranzo e cena (è consigliabile non confonderle nella fretta per non inciampare in effetti collaterali) risolveranno il problema di balenottere arenate sul bagnasciuga (spesso lamentose con sbuffi sonori subito seguiti da frasi come “mannaggia che calura”) o uomini pera che solcano la sabbia rovente in cerca della posizione più adatta alla cottura (neanche si trattasse della fiera di Brisighella).
Ma questo nostro tempo ci induce anche ad essere in armonia con il nostro corpo, così ci rivolgiamo ai prodotti light. Semplicemente meravigliosi. Burro a ridotto contenuto di grasso, mozzarelle alla plastilina, olio che ti fa sentire un canguro (secondo cui ti senti talmente leggero che ogni staccionata ti vien da saltarla), stracchini volanti che partono dalle campagne per migrare alle città (altro che ritorno alla terra), yogurt che , udite udite, favoriscono la naturale regolarità (pensate l'innovazione brevettata).
Tristemente sono queste le immagini che abbiamo del cibo ogni qualvolta andiamo a fare la spesa, cerchiamo l'immagine offerta da un prodotto e non ciò che contiene veramente. Con il carrello pieno, in coda alla cassa con in mente tutto ciò che ci rimane ancora da fare. Con il terzo mondo che ci sta a guardare, in coda al pozzo per poter bere con la pancia vuota e in mente il solo pensiero di come poter sopravvivere. Con la speranza che non torni più il tempo della fame. Quindi, essere moderno: corri! Corri che ti passa!