«All’inizio è stupore, ed è stupore alla fine, eppure questa è una via non inutile. Se io contemplo con stupore del muschio, un cristallo un fiore, uno scarabeo dorato, o un cielo nuvoloso, un mare nei calmi, giganteschi respiri delle sue risacche, un'ala di farfalla nelle sue nervature cristalline, il taglio e le guarniture colorate dei suoi orli, la complessa scrittura e ornamentazione del suo disegno, e le innumerevoli, dolci, magicamente soffuse gamme e sfumature dei colori, ogni qualvolta, con gli occhi o con un altro senso, ho esperienza di una parte della natura, ne sono attratto e affascinato, e per un istante mi apro alla sua esistenza e alla sua rivelazione, e allora, in quel medesimo istante, io ho dimenticato l'intero avido cieco mondo della necessità umana, e invece di pensare a dare ordini, invece di acquistare o sfruttare, di combattere o di organizzare, per un istante io non faccio altro che "stupire" e sono entrato nel mondo dell'unità, dove una cosa dice all'altra, una creatura dice all'altra: tat twan asi (questo sei tu)».
Mi sono servita di queste dense parole di Herman Hesse estratte da La natura ci parla per introdurre il lavoro di grande bellezza che mette in atto l'artista Virginia Zanetti. A volte capita di farsi proprie parole che fluttuano nello spazio tempo dell'eternità, assunti che diventano fibre di un proprio organico pensare, nel mio personale caso, adatto sovente un lampo di Dostoevskij: «la bellezza salverà il mondo».
Breve, conciso, un proiettile intriso di immensità.
Non si tratta più di edonismo ma di politica.
Si tratta di entrare attivamente nel bios.
Hillman non a caso scrisse un libro dal titolo Politica della bellezza, nel quale egli si interroga sul perché la bellezza come valore sia stata eliminata, non soltanto nella sfera quotidiana ma persino nell'arte. Molta arte contemporanea più che introdurre ha fondato uno dei propri credo sul concetto di bruttezza, sottolineando la funzione della sublimazione artistica, ovvero il passaggio dal mostruoso al mostrabile. Ritornando a Hillman, anche Dallari lo cita nel libro Dimensione estetica della paideia sottolineando l'importanza del riconoscere il bello di Venere, il bello afroditico, il bello come sentimento e come vissuto. Bellezza non come tassonomia e filologia ma come fenomenologia ed estetica. Come respiro e sudore, voce e ambiente.
Virginia Zanetti attraverso i lavori che hanno conquistato in me più di una porzione di cuore, Vissi d'Arte e l’ultima ricerca, inedita, se non per ciò che trapela dagli Studi diffusi per la città di Prato, agisce come una perfetta poeta fenomenologa. Fa letteralmente accadere la poesia, le dona tempo vissuto. La fenomenologia pone il suo statuto su un concetto fondamentale: non c'è conoscenza senza relazione. Citando un altro illustre pensatore, Antonio di Benedetto nel suo Prima della parola, l'ascolto psicoanalitico del non detto attraverso le forme dell’arte afferma: «L’opera d'arte è stimolo di conoscenza tramite la bellezza. Facendo leva su un indubbio premio di seduzione evoca emozioni e fantasie inconsce, attiva funzioni cognitive radicate nelle aree più oscure della nostra esperienza sensoriale».
La poetica della Zanetti è un continuo riflettere sullo spazio, l'opera, il fruitore, senza confini.
Dove finisce uno, comincia l'altro. Sempre che si finisca mai qualcosa.
L'artista invitata dal direttore del Pecci Fabio Cavallucci, si prepara alla Biennale di Monza provando con alcuni musicisti in mezzo al fiume Bisenzio. L’artista usa il fiume come uno studio a cielo aperto per una performance che può metaforicamente funzionare alla stregua di un organo disseminato.
Un'azione che indaga l'anatomia del quotidiano.
Evoluzione del precedente progetto Vissi d’arte realizzato in occasione della mostra 8+1 presso gli spazi Lato e BBS a cura di Matteo Innocenti, poi sviluppato per la manifestazione Prato/Sarajevo, curata dal CAC Luigi Pecci- Dryphoto-Kinkaleri, il processo si attiva seguendo, a detta dell’artista, la trasformazione tramite la bellezza, con la volontà di sottolineare che Prato, nonostante la crisi e l’apparente immobilità, si pone in Italia come una città ricca di potenzialità. Vissi d'arte, che oltre ad essere una riflessione sul concetto di bellezza è sicuramente un interrogativo sul senso del vivere d'arte al giorno d'oggi. Pensiero più utopico che compreso. Tratta dalla celebre Tosca di Puccini, l'artista sdogana finalmente l'opera dal suo elitarismo e la rende gitana, instabile e vagante. Una soprano ha cantato finalmente nel teatro più democratico del mondo, la strada, la voce ha invaso zone industriali, stazioni, aree dimesse, zone dove lo sguardo di struggente bellezza non sembrava non riuscire a volgersi.
Estraneamento. Di indubbia bellezza le reazioni dei passanti. Spiazzati, confusi, sorpresi. Stupiti. Vissi d'arte allora diventa la traduzione di tat twan asi. Diventa impossibile esimersi da cotanta vertigine. Perché di questo si tratta. Non si è preparati a udire una soprano in stazione, tra ritardi e cancellazioni, scioperi e gente sempre di fretta. Non ce lo si aspetta, e questo forse ci obbliga a fermarci ad ascoltare. Finalmente ascoltare. Per conoscere. Per comprendere. Per prendere dentro di sé. Non dobbiamo che accogliere o cercare di raccogliere quanto meno questo dono che l'artista sceglie di farci. Un fiore raro, di cristallo, un corpo-voce che risuona nello spazio pubblico roso da una sopita abitudine, una routine agghiacciata e agghiacciante. Un canto che diviene preghiera, ricordando la protagonista Tosca e il suo rivolgersi a Dio, in nome del riscatto del proprio amore, imprigionato per motivi di politica e di gelosia che arrivò a costarle la prostituzione.
Oiseau Rebelle, performance a cui la Zanetti sta lavorando, per presentarne il primo studio alla Biennale Giovani di Monza che ha come tema l’energia, vede nuovamente la collaborazione tra l'opera e l'uscita di sé con l'ambiente del Bisenzio, zona di microcriminalità spesso frequentato da tossici, prostitute e senza fissa dimora. Il brutto dialoga con il bello, ne viene sedotto e viceversa. Musicisti e cantanti sono quindi immersi nello scorrere dell'acqua in nome della Carmen di Bizet. Niente palchi, strutture, niente artifizi, solo natura, sassi, terra, buste di plastica incastrate tra i rami e il sottofondo dell'infrangersi del fiume con la voce e i suoni. E' quella volontà tanto voluta dalle Avanguardie di mescolare la vita e l'arte alla vita.
Non è un evento originale ma originario. Attenzione. L'arte non vuole essere originale quanto un atto originario. Da questo Studio Diffuso visto in anteprima, quasi per caso, senza annunci o appuntamenti, nascono sensazioni, immaginari, lontani, che scorrono, non annegano, seppur nella loro precarietà. Poesia armata in azione.
Quella precarietà che oggi ha sostituito l'eterno qui sembra non contrapporsi, ma anzi la crisi tenta una via di struggente bellezza. Precario ed eterno dialogano a cuore aperto, perché di anatomia urbana si sta appunto parlando. L'esecuzione della Carmen è caduca come un contratto a tempo indeterminato, non ha dimora, e il suo risuonare è stata la meraviglia di alcuni fortunati passanti. Il tempo scorre come le acque del fiume in un continuo mutare, un fluire inarrestabile, ma la bellezza rimane eternamente precaria, nell'esperienza comune della vita.
L'artista si avvale di un'estetica dicotomica, i musicisti liberi di suonare con la parte superiore del corpo si ritrovano con le gambe immobili nel flusso "creativo" del fiume. Ne possono essere continuamente travolti ma allo stesso tempo non possono esimersi dall'esservici immersi. Odi et amo. Il confine tra dolore e piacere, stasi e fissità è labile. La performance diviene metafora contrastante di un sentire sopraffine e di una condizione reale.
Piuma e tabasco. Per me, questa è l'immagine e il sapore di questa intrepida unione, di Vissi d'Arte e di Oiseau Rebelle, due prove di romanticismo, perché sopratutto oggi dove il cinismo e l'ostilità dilagano, per me romanticismo e coraggio sono la medesima voce.