Charlot compie cent’anni. È infatti del 1914 la prima uscita di Charlie Chaplin nei panni del vagabondo dall’inconfondibile bombetta, simbolo della dignità delle persone, qualsiasi sia la loro condizione. Anche se con i panni sdruciti, Charlot, The Tramp in inglese, non mancava mai di essere elegante, cortese, gentiluomo, un insegnamento che non è passato di moda, anche dopo un secolo, e sta a guardare al mondo d’oggi che di questa lezione ha ancora bisogno. Lo guarda con i suoi grandi occhi pieni di domande e di sogni, sia che sia muto, come nei primi corto e medio metraggi, sia che parli o che dondoli camminando nel suo modo strano, per mano alla sua innamorata. Charlot è stato impersonato da sir Charles Spencer “Charlie” Chaplin, londinese del 1889, uno dei principali interpreti di film del Novecento. Oscar onorario già nel 1929, l’anno della clamorosa crisi economica statunitense, poi nuovamente nel 1972, Leone d’Oro alla carriera nel 1972, al decimo posto tra i maggiori attori del mondo, Chaplin ebbe una carriera piena di successi e di tristezze, quasi predetti dalla sua stessa commedia.
Figlio di attori girovaghi, forse zingari, ebbe un’infanzia difficile, contrassegnata però da un precoce talento che il padre indirizzò in una compagnia di “attori precoci”, dove il bambino recitò con il clown Marceline. Chaplin lavorò poi in un circo e cominciò ad essere famoso, imparando le pantomime, quindi a recitare senza parlare. Con la compagnia di Karno si recò due volte negli Stati Uniti dove un produttore lo mise sotto contratto di una casa cinematografica già nel 1913. La casa cinematografica si chiamava Keystone, con la quale Chaplin recitò in trentacinque cortometraggi, dando vita al vagabondo Charlot.
Lo vediamo in L’emigrante nel 1917 e in Charlot Soldato nel 1918, film che ebbe anche la musica scritta da Chaplin. Questo film fu uno dei più grandi successi del britannico, un lavoro che lo portò sugli altari della cinematografia del tempo. In contrasto con lo spirito nazionalista dominante in quel momento, che vedeva e voleva il mondo in guerra, Chaplin sottolineava la solidarietà tra gli esseri umani, un sentimento vero e forte più dell’odio bellico stesso, capace di sovvertire le intenzioni delle gerarchie militari e dei governi. In quell’occasione Chaplin venne accusato dalla stampa di essere un vigliacco che non voleva partecipare alla guerra e si nascondeva dietro il suo Charlot muto, ma le critiche e le accuse non lo toccarono più di tanto. Era fermamente convinto di potere di più con la sua performance dietro o davanti la macchina da presa che non al fronte con un fucile in mano, ben misero contribuito all’umanità, secondo lui, rispetto al bene che poteva fare il suo messaggio in quei momenti.
Cambiando poi Major, come attore divenne miliardario, cameriere, muratore, Hitler addirittura. Non ancora trentenne, cominciò anche a dirigere i cortometraggi con la particolarità di non scrivere niente: aveva tutto in mente, spiegava tutto ai suoi attori e recitava con una spontaneità unica. Con alcuni colleghi, nel 1919 fondò la United Artists Corporation. Iniziò così a occuparsi di film dall’inizio alla fine, producendo dei capolavori assoluti come La febbre dell’oro del 1925. Pellicola sul mito americano della frontiera, vede uno straordinario equilibrio tra comicità, avventura e poesia. Un Chaplin ingenuo, che si accompagna a truffatori, fuggiaschi e ogni sorta di feccia umana, parte per l’avventura della sua vita, per migliorare la sua misera condizione; sfida ogni sorta di disavventure e, alla fine, malgrado non sia così navigato e rimanga ancora tanto ingenuo, riesce a diventare miliardario e a coronare non soltanto il suo sogno di emancipazione sociale, ma anche il suo sogno d’amore. Anche in questo film la musica, scritta da Chaplin, è fondamentale: basti pensare al balletto che il protagonista improvvisa a tavola, con due panini infilzati nelle forchette.
L’avvento del sonoro però, già dal 1927, lo pose in secondo piano, dal momento che il suo personaggio più amato, Charlot appunto, non era pensato per il parlato. Nel 1931 produsse Luci della città che aveva la musica, ma era sempre muto. Altro grande successo, del 1936, fu Tempi moderni, ultimo film in cui Charlot apparve. Chaplin realizzò il primo film completamente sonoro nel 1940 e anche quello fu un successo senza precedenti, un capolavoro della filmografia mondiale: Il grande dittatore, distribuito nelle sale prima dell’ingresso in guerra degli USA. Nella pellicola Chaplin interpreta sia un ebreo eroe tedesco della prima guerra mondiale, che il dittatore di Tomania, tale Adenoid Hynkel razzista e antiebraico: i due sono sosia per una bizzarra ironia del destino e ne esce un film ironico e divertente. Alcune scene del film sono epiche, come la parodia di Hitler che gioca sulle musiche di Wagner con un pallone che simboleggia il mondo; tuttavia Chaplin non aveva idea di cosa stava accadendo nei campi di concentramento e, alla luce dei successivi campi di sterminio, dichiarò a guerra finita che, se lo avesse anche solo immaginato, mai avrebbe messo in circuito un film come quello. Il film fu una vera e propria sfida all’uomo più potente della terra, colui che, dopo l’annessione di vari territori, aveva invaso dapprima la Polonia e poi la maggior parte dei Paesi democratici d’Europa, piegando la Francia e mettendo a durissima prova la Gran Bretagna, rimasta l’unica nazione baluardo contro la dittatura. E si poneva come riflessione in un’America che non era scevra di fascismo e di tendenze ideologiche di quello stampo.
Negli anni Cinquanta, tuttavia, Chaplin visse uno dei momenti più difficili: risultato già sospetto con l’uscita di Tempi moderni, in cui sembrava avere indugiato troppo nell’analisi dei problemi della catena di montaggio, fiore all’occhiello del Taylorismo e applicata per la prima volta da Henry Ford - divenuta foriera di successi economici grazie all’applicazione della parcellizzazione del lavoro all’industria - quindi critico nei confronti del nazifascismo con Il grande dittatore, Chaplin fu accusato di maccartismo, pertanto tacciato di essere per lo meno socialista in un’America che, in quegli anni, guardava a quella corrente politica come alla peggior piaga della propria economia e della sussistenza stessa. Pertanto gli fu negato il visto di rientro negli USA dai quali si era allontanato per recarsi a Londra. Visse pertanto in Svizzera fino al suo completo reintegro nella comunità statunitense, sancito con un’ovazione lunghissima tributatagli dall’Academy, la più lunga mai vista nella storia dell’Accademia che assegna le preziose statuette degli Oscar. Infatti, sarà proprio l’Oscar alla carriera che lo rivide sul suolo americano, “per aver fatto delle immagini in movimento una forma d’arte del Ventesimo secolo”. Chaplin, nel frattempo, aveva scritto la versione sonora dei suoi film come Il circo e, soprattutto, Il monello, altro suo capolavoro indiscusso e molto amato.
Nel 1973 ricevette l’Oscar per la migliore colonna sonora per Luci della ribalta. Nel 1975 si riconciliò anche con il suo Paese, che gli aveva posto il veto a un’onorificenza negli anni Cinquanta, sempre per presunte e intollerabili simpatie comuniste. Morì la notte di Natale del 1977. Quindi per Natale ricordiamolo, magari grazie alle musiche di Timoty Brock, musicologo e direttore d’orchestra, uno dei massimi esperti al mondo della musica da film e unico interprete riconosciuto dagli eredi Chaplin delle musiche del grande cineasta. Oppure guardando uno dei suoi film che, malgrado gli anni, ci permettono ancora di sognare: persi nei suoi grandi occhi languidi, tra i petali delle margherite che offriva alle sue amate, impegnato a non appoggiarsi troppo a un bastoncino curvo e sottile che si accosta bene ai larghi pantaloni grigi a righe, al frusto frac sotto la bombetta, mentre un sorriso mesto sotto ai baffetti buffi ci allarga il cuore.