Lo scultore Patrizio Zona presenta l’ultimo ciclo di opere che, riflettendo emblematicamente un arco di lavoro almeno trentennale, si sviluppa attraverso una rigorosa ricerca di concisione plastica e concettuale, pervenendo a una sintassi stilistica di determinante efficacia esistenziale.
L’incisiva specificità delle opere, realizzate tutte nel 2014, sono omogeneamente identificabili in due ambiti. Il primo è rappresentato da lavori di piccolo formato, si tratta di una decina di raffinati bronzi eseguiti a cera persa, che le dimensioni in scala domestica nulla tolgono all’elegante imporsi strutturale, di grande coesione formale e tensione materica. In queste opere viene rilanciato il tema iterativo dello “schema” - motivo fondante la poetica di Zona - che erompe strisciando a contaminare le bronzee e lucenti superfici dei solidi, come grappoli raggrumati di colonie cellulari a corrodere la naturale e perfetta linearità anatomica dei corpi.
Ogni scultura esibisce una sagoma diversa, dal ceppo, al cilindro, alla torre, alla piramide, alla sfera, su cui lo “schema”, che segna anche il titolo di molte opere, è un’escrescenza contaminante che dall’interno avanza verso l’esterno ad alterare la struttura originaria, nutrendosene fino a ridurla a una massa irregolare. Le opere sono organismi dotati di una propria vita silente e meditativa, sublimazioni minerali che l’artista forgia in un incessante dialogo tra forma e contenuto, tra pieni e vuoti, ponendo l'accento sulla continuità senza limiti tra natura e società, ragione e sentimento, ruoli complementari, quasi interscambiabili, nel flusso continuo dell'esistere. Sono forme basiche, elementari, scaturite da un universo di solidità euclidea, che si inquadrano nel solco della migliore tradizione plastica italiana, ne riecheggiano l’essenza, ne riaffermano le qualità lessicali, non a caso evidenziate in due sculture, omaggio rispettivamente a Umberto Boccioni e ad Arnaldo Pomodoro. A questa compatta compagine di bronzetti si affiancano – per una divisione che vuole circoscrivere anche gli ambiti operativi, vale a dire sculture di destinazione privata, per interni, o di committenza pubblica, eseguite in proporzioni monumentali e ambientali – altre sei opere di grandi dimensioni che rappresentano verosimilmente un drammatico accentuarsi del percorso artistico.
Tralasciato il ricorso a materiali classici come il marmo, la pietra, il bronzo o il legno, da sempre caratterizzanti i suoi lavori, l’artista ricompone le forme che gli sono congeniali in strutture leggere e resistenti, con aree spatolate, trattate a stucco e gesso, che esibiscono superfici bianche, calcinate e vissute dal tempo, che si offrono allo sguardo dello spettatore con l’evidenza di un pallido sudario sul quale l’onnipresente “schema” imprime il suo sequenziale alfabeto di inesorabile e feroce annichilimento. Qui, inoltre, esso acquista un’impronta volumetrica concisa, più che erosione o secrezione corrosiva, si manifesta come matrice, codice seriale moltiplicativo che emerge dal ventre stesso dei piani spaziali, imponendo il suo canone deviante come un arcaico geroglifico tridimensionale. Ne sono espressioni Il chiodo che si conficca e dilania la superficie sottostante a richiamare l’ossessività martellante di un pensiero fisso, ma anche a rievocare il dolore della ferita originaria.
Un assoluto riscatto è invece prospettato nei due potenti pannelli dalla solenne e antica eloquenza espressiva, con ritmiche di tagli geometrici come sintetiche piaghe modulari, dove l’artista manifesta la sua decisa ribellione, ribaltando l’inappellabilità di una condanna, in una sorta di rito apotropaico: ad essere inchiodato e crocifisso è lo “schema”, esso è deposto per non risorgere più. In questi rilievi la ricerca di Zona si fa alta, attraverso l’accenno ad una rastremata Via Crucis. Convergendo verso il sacro non solo ritrova l’ampiezza di un’iconografia codificata nella memoria storica - e che anche nel contemporaneo ha conosciuto eccellenze espressive come in Giacomo Manzù - ma soprattutto fa propria, visceralmente senza mediazioni intellettuali, l’angosciosa e muta invocazione sul senso della sofferenza come condizione inalienabile dell’esistenza.
In tutta la propria opera Patrizio Zona ha sempre testimoniato del disagio esistenziale - tema cardine della poetica dell’informale che per molti versi gli è propria - che esprime nell’articolata sintesi dell’elaborazione plastica e che trova naturale riscontro anche nella riduzione concettuale dell’idea del dominio dello “schema”, nel quale si accentrano tutti i termini oppositivi, nella complessa dialettica relazionale dei contrari. Lo “schema” rappresenta tutto ciò che c’è di marcio nell’uomo, dal progetto globale del potere, all’oppressiva omologazione, al falso progresso, che invade e contagia quello che di buono e di perfetto la natura ha creato.
La denuncia di Zona sembrerebbe definitiva, inappellabile, che non vi sia via d’uscita a questo stato di cose - basta guardarsi attorno per constatarlo - ma alla catastrofe della civiltà che corre verso l’autodistruzione, egli non oppone il muro del nichilismo, ma fa ciò che si chiede ad un artista, vale a dire il suo lavoro e di farlo bene, indicando che l’armonia e la grazia sono possibili, mostrandoli e concretizzandoli nell’arte che realizza. Tutta la sua opera non cede al tormento, dirompente e straziante, ma mantiene una sobria distanza emotiva. Attraverso la manualità richiesta dalla scultura, spontaneamente e senza sforzo, si riconnette e si riappacifica con il mondo, attuando una dimensione esteticamente coinvolgente, nella quale riesce a calibrare soluzioni di misurato equilibrio, di impeccabili contrappunti, rinnovando l’ideale della bellezza come paradigma non superficiale ma animato da una vita del profondo.
Non sedotta dalla stagione degli sperimentalismi concettuali, né irretita da tradizionalismi o da effimere tendenze alla moda, nella caotica scena artistica contemporanea la scultura di Patrizio Zona emerge come approdo sicuro, perché generato dall’inesausta capacità del mestiere, prioritaria e inequivocabile fonte di acquisizione della dimensione della classicità, intesa come uno spazio al di fuori della storia, incorruttibile nel tempo, dove sono possibili forza, armonia e saggezza. Alla condizione umana che mette in scacco l'individuo oppone, come artista del proprio tempo, l’assolutezza dell’astrazione plastica, e come altri grandi maestri prima di lui, testimonia di come l’arte si elevi a simbolo di valori etici irrinunciabili.