Questa edizione si intitola L'origine del mondo, una decisa rivendicazione dell'importanza della donna, ma non solo. Maresa D'arcangelo, una delle due organizzatrici storiche del Festival, afferma: “Basta con le lamentele sulla condizione della donna. Noi quest'anno mostriamo donne realizzate, guerriere, nell'ottica di modificare il diffuso sentire che la donna è vittima. Abbiamo invitato registe affermate per la forza delle loro opere, pur non trascurando, come è nostro costume, le nuove leve”.
Questo Festival, racchiuso entro la cornice dei 50 giorni di Cinema a Firenze, è alla sua trentaseiesima edizione. Appassionatamente da anni riesce a dare un quadro del lavoro di tante donne, che in differenti paesi e culture, affrontano la fatica di un film e cercano un pubblico egualmente appassionato per condividerla. Fin dagli albori , le infaticabili Paola Paoli e Maresa D'arcangelo hanno portato a Firenze piccole grandi gemme realizzate da registe, e le hanno interrogate in dibattiti pubblici sulle strategie usate da ciascuna nei diversi paesi per portare a compimento l'opera cinematografica concepita, portando alla luce le mille difficoltà che, proprio perché donne, hanno dovuto superare per ottenere finanziamenti.
La sperimentazione eccentrica del Québec, da sempre luogo chiave del cinema delle donne, è rappresentata qui da Micheline Lanctôt, attrice, regista, produttrice, docente di cinema all’Università di Concordia, che riceve al Festival di quest'anno il premio alla carriera Sigillo della Pace. Tre film, Sonatine dell'84, Deux actrices del 93 e Pour l’amour de Dieu del 2011, permettono di seguire il percorso dell'artista, pluripremiata anche in patria e a Venezia. Nel film del 2011 si descrive assai efficacemente la drammaticità del rifiuto del corpo e delle passioni umane che lo animano, imposto a preti e suore. Motivo scatenante, a detta della psichiatria, di molte delle sindromi pedofiliche che devastano l'operato della chiesa.
Ancora con un trittico si celebra il lavoro di Margarethe von Trotta, autrice dei film sulle storie eccezionali di Hildegard von Bingen, Rosa Luxemburg e Hannah Arendt. Alla regista dobbiamo l'approfondimento dei personaggi, ma insieme un linguaggio che attraverso immagini e simbologia attualizza la storia di queste grandi donne europee. Il Premio Gilda le è stato attribuito per il film Hannah Arendt, la discussa filosofa, di cui la von Trotta ha colto la dicotomia fra le qualità umane nel privato e la freddezza granitica che assumeva quando filosofeggiava. Rimane tuttavia insuperato il film Rosa Luxemburg del 1985, che, distribuito allora poco e male in Italia, è stato possibile vedere, a trent'anni di distanza, grazie a Cinema e donne, e ha ottenuto un'entusiastica accoglienza per l'attualità del messaggio ( le frasi pronunciate da Rosa nel film sono tratte dai suoi scritti), e per la potenza e bellezza del modo di raccontare di questa grandissima regista.
A Lorenza Mazzetti va il Premio Gilda per il libro Diario londinese, dove ci descrive con grande umorismo come è divenuta l'unica donna del Free Cinema inglese. Leggendo la sua eccezionale vita piena di sfide, ci appare la forza imbattibile della Toscana colta, cosmopolita e artistica.
Tre è il numero magico di questo festival e vale anche per la regista italiana Costanza Quatriglio, che ha presentato Il mondo addosso, Col fiato sospeso e Il mio cuore umano, costruito quest'ultimo a partire dal libro di Nada Malanima. Alla cantante è andato il Premio Gilda come interprete de Il mio cuore umano. Rendendo in immagini il testo di Nada, la Quatriglio sa esprimere le ragioni del cuore e insieme i cambiamenti della società italiana, nei nodi più dolorosi.
La nuova onda delle registe europee appartiene ora alla Svezia, e quindi l'inaugurazione del Festival è toccata al nuovissimo Stockholm Stories di Karin Fahlén, una critica tenera e propositiva al crescente ruolo delle nuove tecnologie nelle relazioni umane. Nei giorni seguenti il grande documentario Palme di Maud Nycander e Kristina Lindström è stato premiato col Sigillo della Pace 2014 per il documentario. L'appassionante Love during wartime di Gabriella Bier è riuscito a raccontare le vicissitudini di una coppia che ha la “colpa” di essere palestinese lui e israeliana lei. Un Romeo e Giulietta dei nostri giorni, documentario e non fiction, perfettamente riuscito perché - ha spiegato Gabriella - frutto di un'interazione strettissima ( e illuminata ndr ) della regista con la coppia di sposi. Dialoghi di totale verità, fatta di scontri, incontri e creatività del rapporto lo rendono un'opera unica.
Da un altro luogo, vitalissimo dal punto di vista cinematografico, l’Olanda, sono arrivati Jackie di Antoinette Beumer, campione d’incassi nel suo paese e Happily Ever After di Tatjana Bozic e Sexy Money di Karin Junger, due film di sperimentatrici nel docudrama.
Tre registe italiane hanno raccontato aspetti forti e inattesi delle donne di oggi: Margherita Pescetti, Teresa Iaropoli e Paola Montecorboli. Uno sguardo sulle origini del cinema fatto dalle donne è stato quello della regista Silvia Lelli, che ha mostrato la sua intervista di giugno a Sofia Scandurra, autrice nel lontano 1977 del cult Io sono mia.
Si è assaporato il futuro con una selezione di saggi di diploma dell’Academy of Media Arts Cologne e dell’Atelier dei giovani artisti (AJC) del Belgio. Due luoghi fondamentali per la formazione delle nuove leve, che parlano tutte le lingue del mondo. La visione di India Song di Marguerite Duras, nel centenario della sua nascita, ha costituito un omaggio al cinema che nasce dalla scrittura.
Dal nuovo Portogallo post-coloniale arrivano le due autrici più importanti del momento: Inês Oliveira (Bobô) e Salomé Lamas (Terra de ninguém), con cui il festival ha chiuso.
Negli incontri tenutisi in due mattinate, una tavola rotonda di tutte le registe presenti al Festival e il focus intitolato Sante, Rivoluzionarie e Filosofe, si è ancor meglio visto che cosa sostiene un Festival autogestito come Cinema e donne: competenza e dedizione, unite a una grande generosità nella condivisione da parte delle numerose donne, realizzate o in via di realizzarsi, che lo hanno popolato. Donne comunque in ricerca, anche a successo ottenuto, e accoglienti verso gli uomini. Un “femminismo” che ha cambiato strada e che meriterebbe un nuovo nome.