A dicembre è tempo di bilanci. Anche per lo sport, naturalmente, ancorché quasi tutte le discipline cadenzino l’annata su tempi e date singolarmente diverse, quasi mai coincidenti con il calendario tradizionale. Il bilancio dello sport italiano, dello sport globalmente inteso e figuraccia al mondiale brasiliano a parte, è contrassegnato dall’abituale alternarsi di luci e di ombre, più queste di quelle, in verità, a cominciare dalle mai sopite e negli ultimi tempi rinfocolate polemiche tra il calcio e gli altri sport, con il primo a fare la voce grossa (oggetto del contendere, la ripartizione Coni dei contributi annuali) in una querelle non nuova, a molti ricordando un déja vu d’antan, i “presidenti ricchi scemi” (copyright Onesti anni settanta), antesignano dell’odierno rivendicazionismo pallonaro a proposito delle disponibilità economiche, grazie al Totocalcio, di tutto lo sport italiano.
Con i bilanci, si stilano anche le classifiche, ciascuno sport assegnando meriti (molti) e prebende (un po’ meno, talvolta) a questo o a quell’atleta, che finisce poi nel caleidoscopio dell’atleta dell’anno. La prima in ordine di tempo a stilare la sua classifica è stata la federazione degli sport invernali, che ha indicato il suo campione annuale in Armin Zoeggeler, slittinista azzurro che alle Olimpiadi invernali di Sochi, a febbraio, è salito per la sesta volta consecutiva sul podio olimpico delle gare individuali di una stessa specialità in sei diverse edizioni dei Giochi olimpici invernali. Mai nessun atleta in nessun altro sport - né ai Giochi invernali, né a quelli estivi - era riuscito in una simile impresa. Zoeggeler, è bene ricordarlo in aggiunta, oltre alle medaglie a cinque cerchi, ha conquistato nella sua carriera sei titoli iridati, dieci Coppe del Mondo, quattro titoli europei e quindici campionati italiani: un palmares di livello assoluto che lo pone, di diritto, tra le leggende dello sport. Zoeggeler in ottobre ha lasciato le piste ma non il suo amato slittino: coordinerà ora il lavoro di sviluppo dei materiali fra Fisi, Coni e Ferrari (da intendere come Maranello, non il medico… ).
Quanto al suo primato, esiste solo un’atleta al mondo che può eguagliarlo, e – lo si sarà capito dall’apostrofo “un’atleta” - anche questa è italiana: Valentina Vezzali, nel fioretto individuale femminile, è salita sul podio in cinque edizioni di fila della grande rassegna olimpica. Per eguagliare Armin, la fiorettista azzurra dovrà qualificarsi per Rio 2016 e, soprattutto, salire sul podio in Brasile, fra meno di un paio d’anni. Auguri.
E il bilancio del calcio? Di calcio nazionale (nel senso di Nazionale di calcio, naturalmente) se ne sarebbe dovuto parlare, ormai, a marzo. Questo, infatti, sembrava essere l’orientamento, il programma, il desiderio di quanti guardano agli impegni degli Azzurri con aria di sufficienza, mal sopportando, e poco supportando, i programmi di chi la Nazionale gestisce, la federazione nel suo complesso intesa. Non è un mistero che gli impegni della Nazionale vanno spesso a collidere con gli interessi e la programmazione delle società proprietarie dei cartellini che assicurano le prestazioni sportive dei calciatori loro dipendenti. Non è neppure un mistero che questa “collisione” sia vista con visuali opposte dai due versanti, quello appunto societario e quello federal-nazionale.
È stata invece a lungo avvolta nel mistero la spiegazione della inusuale filippica esibita dall’attuale Ct della nazionale, Antonio Conte, dopo i due impegni ravvicinati degli azzurri, l’incontro con la Croazia valido per le qualificazioni al campionato europeo di Francia 2016 e la successiva amichevole con l’Albania. Contro chi quei toni piuttosto accesi? Certo, non con i giocatori, perché, ha detto, “hanno lavorato duro con me e lo devono fare in poco più di una settimana”, portando, a corredo ed esempio, il caso di Okaka, che “ha iniziato subito a fare le cose che chiedo”. Contro chi quegli strali, dunque? Contro, è parso di capire, l’intero movimento calcistico italiano, rischiando tuttavia – non specificando l’indirizzo – di lanciarsi in una vox clamantis in deserto, in un sasso nello stagno.
Anche se, precisa enigmatico Conte, “chi deve capire… capirà. Mi si chiede di dare un’impronta nuova, ma poi devo essere messo nelle condizioni di farlo. Se non posso lavorare con questo gruppo per i prossimi quattro mesi è un problema. Sono qui per incidere, l’ho già fatto con 5 vittorie e 1 pareggio in 6 partite, ma se non posso incidere è un problema grosso”. “C’è poca collaborazione nei confronti di questa squadra. E’ cambiato solo l’allenatore, i problemi sono rimasti tutti lì. Si parla tanto di rilanciare il movimento e poi non si fa nulla, come se fossimo ancora i migliori al mondo. È ora che tutti vedano a che punto siamo. E che si cominci a lavorare per davvero, perché io so fare solo questo e non sono venuto qui a perdere tempo”.