Ogni attimo della nostra vita è una scelta, o meglio un continuo decidere, nell’inconsapevolezza dell’agire istantaneo, le modalità del nostro vivere. Cosa è scegliere? Possiamo essere consapevoli del nostro processo decisionale, suffragarlo con le nostre argomentazioni razionali o, tentando un disperato cammino a ritroso verso le radici di ciascuno dei nostri ragionamenti, complessi e vanto della nostra specie, giungiamo a un punto in cui ci sentiamo dissolvere nell’inafferrabilità del principio del nostro pensare?

In un’interazione continua fra noi e l’altro da noi, che si crea durante la viva interazione delle reti che compongono noi stessi, costruiamo il nostro vivere e poniamo la concretezza del mondo rispetto a cui ci relazioniamo. Se pensare con consapevolezza è vivere la filosofia, la filosofia vissuta è etica. Humberto Maturana è consapevole della valenza etica dei suoi ragionamenti, che egli evidenzia smantellando, nel contempo, un altro grande baluardo della società occidentale, che è quello della razionalità, quando propone la sua distinzione fra due differenti vie di pensiero e di spiegazione, sempre legate alla questione dell’oggettività (Mascolo 2009). Egli parla di una forma di oggettività, che denomina dell’“oggettività senza parentesi”, la quale, dando per garantita l’esistenza osservatore-indipendente degli oggetti, crede nella possibilità di una convalida esterna delle affermazioni basata sull’esistenza della “Verità”, appellandosi alla quale chi si arroga il diritto di essere in grado di conoscerla pretende di avere anche quello di sottomettere tutti coloro che non sono pronti ad essere d’accordo con i fatti “oggettivi” (Maturana e Poerksen 2004, 55).

Secondo questa via di pensiero si deve utilizzare la “Ragione” per far valere il diritto inappellabile alla Verità, mentre l’emozione fondamentale che accompagna chi la segue è quella del potere dell’autorità di chi crede di possedere una conoscenza universalmente valida, che esime il singolo dall’assunzione di responsabilità; tale modo di ragionare è, secondo Maturana, comune al modo di pensare della società occidentale, dove le istituzioni politiche e religiose pretendono di avere un accesso privilegiato alla verità assoluta, la quale non tiene conto dello «spazio dei desideri» di ciascuno, necessario alla reciproca accettazione nella convivenza (Maturana 2006a, 89).

Da questo punto di vista egli si allontana radicalmente, quando, invece, propone di seguire quella che lui chiama la via dell’“oggettività tra parentesi”, in cui l’osservatore diventa l’origine di tutte le realtà e chiunque la segua diventa conscio che non possiamo in alcun modo affermare di essere in possesso della “Verità”, ma che ci sono numerose possibili realtà, anche se non tutte ugualmente desiderabili. Non potendoci appellare ad un’unica Verità, perdiamo la possibilità di pretendere la sottomissione degli altri esseri umani, con i quali, invece, potremo solo cooperare, muovendoci in un ambito emozionale caratterizzato dalla gioia del vivere in armonia con gli altri (Maturana e Poerksen 2004, 55-56).

Egli sostiene che una spiegazione, senza le pretese dell’oggettività che si appella alla verità assoluta, deriva da un’ontologia che pone l’oggettività tra parentesi, cosa, appunto, che implica un’assunzione di responsabilità, così argomentando: «nel percorso esplicativo dell’oggettività senza parentesi, nella negazione dell’altro sono sempre irresponsabile, perché è la “realtà” che lo nega, non io. […] Nel percorso esplicativo dell’oggettività tra parentesi ci rendiamo conto che la negazione dell’altro e del mondo che comporta con il suo vivere non si può giustificare in riferimento a una realtà o verità trascendente, ma che si può giustificare soltanto partendo dalle preferenze di chi nega. Per questo ogni negazione dell’altro nel percorso esplicativo dell’oggettività tra parentesi è una negazione responsabile» (Maturana 2006a, 59).

Nel modello autopoietico della percezione la conoscenza non è uno specchio della natura, ma ne scaturisce un’epistemologia differente, che non è interessata tanto al mondo come rappresentazione, quanto piuttosto alla costruzione di un mondo, dove l’unità e il suo mondo sorgono insieme mediante mutua specificazione (Varela 1982, 46-47). L’osservatore è testimone attivo di ciò che egli descrive. Nelle parole di Varela, «Per un osservatore è necessariamente il caso che qualsiasi cosa egli descriva (veda, percepisca, conosca) sia un riflesso delle sue azioni (percezioni, proprietà, organizzazione). C’è un mutuo riflesso fra il descritto e il descrittore. Essi sono reciprocamente rivelatori» (Varela 1976, 65).

Anche l’osservatore e il processo che lo produce devono essere considerati complementari e il tutto si pone come un nuovo concetto al di fuori del dualismo cartesiano. Appare evidente che con l’osservatore Maturana intende considerare non una visione appunto oggettiva del reale, ma il personale punto di vista su qualcosa. Per di più, se noi applichiamo questo concetto all’osservatore stesso, nel tipico modo di pensare di Humberto Maturana, non saremo in grado di giustificare la sua introduzione nel discorso di Maturana, ma soltanto di accettarla e di constatare quali conseguenze essa produca anche negli studi che utilizzano un’epistemologia che si impernia su di essa.

Così, possiamo semplicemente decidere di usare l’idea dell’osservatore di Maturana e l’epistemologia cognitiva ad esso legata saltando direttamente nel cerchio che tale concetto crea e stando a vedere come cambia la prospettiva scientifica usuale e in generale l’intero panorama della conoscenza che in tal modo costruiamo. Come precisa Varela, «faremo di questo sfondo di conoscenza il nostro assunto teoretico e quindi procederemo ad applicarlo a svariati domini e proveremo la sua validità per mezzo della sua utilità» (Varela 1981, 17). Proviamo ora a portare alle estreme conseguenze il ragionamento dell’inscindibilità fra soggetto e oggetto della conoscenza. Se proviamo a riflettere su ciò che accade quando ci troviamo nella situazione in cui ci chiediamo che tipo di novità sia messa in vista da questa visione epistemologica, come sempre il nostro sistema autopoietico, domandando, entra in interazione con il proprio domandare, cambiando la propria dinamica nell’atto stesso del chiedere, facendo sorgere un nuovo modo di pensare che non è separabile dall’atto del domandare.

È quello che accade sempre quando tentiamo di cogliere e definire il limite di una teoria che è dello stesso ordine di ciò che vogliamo spiegare; la teoria sarà inevitabilmente incompleta, in accordo con Gödel, come dice ancora Varela: «Abbiamo familiarità con siffatti interessanti entanglement della fisica quantistica. […] Non possiamo andare fuori dal dominio cognitivo specificato dal nostro essere biologici e sociali. Tutto quello che abbiamo è il nostro stato corrente e lì ci sarà, necessariamente, un irriducibile regno di interazioni; appaiono sempre perturbazioni sfuggenti, infondate e imprevedibili. […] la logica della situazione è tale che noi cadiamo all’interno dei vortici gödeliani delle gerarchie entangled. È nella natura di tali meccanismi di modello di chiusura che sorge la vera novità, del tipo che ha a che fare con l’esperienza umana della libertà e della creatività» (Varela 1982, 49).

Confrontando la teoria di Maturana e Varela della conoscenza e quella cosiddetta tradizionale, perché dovremmo decidere di adottare il nuovo punto di vista proposto dai nostri autori, se, per l’appunto, non possiamo sostenere la forza di una teoria rifacendoci alla Verità derivante dal supporto di una confortante Realtà stabile pre-data? Maturana ci chiede di scegliere di accettare ciò che lui ci dirà, precisando: «Vi chiedo di accettare come problema quello che io proporrò come problema, di accettare come spiegazione quello che io proporrò come spiegazione, e infine di accettare come risposta quello che io proporrò come risposta» (Maturana 1987, 65). Ce lo chiede con insistenza, poiché, per la sua stessa epistemologia, non può appellarsi ad una verità oggettiva, che svanisce lungo la sua via della conoscenza. Ma allora, perché accettare di seguirlo?

Una risposta potrebbe essere quella che si basa sul classico rasoio di Ockham, che dice che “Pluralitas non est ponenda sine necessitate” ed è Varela che ce la fornisce, mostrando come secondo questo principio sia preferibile la loro teoria a quella tradizionale. Questa, infatti, come sappiamo, presuppone il rispecchiamento di un mondo visibile a noi come osservatori, da cui possiamo ottenere delle rappresentazioni, ma per far questo essa richiede in qualche forma un agente della conoscenza che agisca secondo una prospettiva dalla quale la corrispondenza fra gli oggetti del mondo pre-dato e l’interno del sistema sia stabilita ex-professo.

La prospettiva cognitiva di Maturana e Varela sarebbe più parsimoniosa, perché dichiara che fra le tante possibili vie «quella particolare che noi osserviamo ci permette di vedere cosa è un mondo per il sistema, che è la via particolare nella quale è mantenuta una continua storia di accoppiamento con il suo mezzo senza disintegrazione. Non c’è rispecchiamento […]. La prima descrizione si basa su una logica della corrispondenza; l’altra su una logica della coerenza. [In questo modo] noi abbiamo trasformato il nostro punto di vista che non è più quello di un’unità istruita esternamente con un ambiente indipendente legato ad una prospettiva privilegiata. Nel fare così, ci troviamo anche sulla via di spiegare chiaramente un meccanismo per mezzo del quale i processi cognitivi possono essere compresi e costruiti, un meccanismo per mezzo del quale le unità possono dotare il mondo di un senso attraverso la loro struttura e la loro storia di interazioni (Varela 1987, 52-53)», senza dover ricorrere ad altro se non al sistema autopoietico stesso, che noi siamo.

Questo nuovo punto di vista ha importanti implicazioni etiche, che potrebbero anch’esse costituire la motivazione che spinge a preferirle rispetto all’epistemologia di tipo tradizionale. Infatti, se il punto più importante della cognizione è la sua capacità di produrre significato, allora l’informazione non è pre-stabilita come un ordine dato, ma essa è data dall’insieme di regolarità che emergono dalle attività cognitive stesse. È questo ri-incorniciamento che ha conseguenze etiche multiple, che dovrebbero essere ormai evidenti. «[Inoltre, poiché] noi ci trasferiamo da una visione della conoscenza astratta ad una pienamente radicata nel corpo, fatti e valori diventano inseparabili. Conoscere è valutare attraverso il nostro vivere, in una circolarità creativa» (Varela 1992a, 260).

Come sviluppato da Humberto Maturana nella sua via dell’oggettività fra parentesi, la circolarità creativa della conoscenza, senza possibilità di riferimenti esterni, come abbiamo visto, se non il riferimento alla circolarità del processo stesso, induce chi decide di adottare tale epistemologia ad una assunzione di responsabilità, di cui non hanno bisogno coloro che scelgono la via dell’oggettività senza parentesi, la via dell’epistemologia di tipo tradizionale, che ha il sostegno della Verità ottenibile con riferimento ad una Realtà pre-data da un agente esterno a noi, sul quale è anche facile scaricare parte delle nostre responsabilità.

Superando l’atteggiamento tradizionale che ritiene che l’esperienza debba essere o oggettiva, con riferimento ad un mondo che esiste ed è a noi accessibile nella sua realtà, o soggettiva, qualora si creda che tutto dipenda dalla nostra soggettività, ancora una volta Varela invita a seguire il filo conduttore della circolarità, nella differente prospettiva della partecipazione e dell’interpretazione, in cui il soggetto e l’oggetto sono inseparabilmente mescolati e il mondo si dà a noi in una trama plastica, né soggettiva né oggettiva, cosa che ha un profondo significato: «Mostra che la realtà non è costruita solo a nostro piacimento, poiché questo significherebbe dare per scontato che si possa scegliere un punto di partenza: prima l’interno. Mostra altresì che la realtà non può essere intesa come data, così che noi si debba percepirla e raccoglierla, come un recipiente, poiché anche questo imporrebbe di assumere un punto di partenza: prima l’esterno. Mostra, di fatto, la sostanziale infondatezza della nostra esperienza, in cui vengono fornite norme e interpretazioni scaturite dalla nostra storia comune come esseri biologici ed entità sociali. In queste sfere consensuali della storia comune noi viviamo in una metamorfosi apparentemente interminabile di interpretazioni che seguono a interpretazioni».

Rivela un mondo dove “l’assenza di un terreno”, “l’assenza di un fondamento” possono divenire la base per comprendere che il vetusto ideale di oggettività e comunicazione come eliminazione progressiva di errori per accordo graduale, proprio in base ai suoi criteri scientifici è una chimera. Nel nostro interesse dovremmo accettare pienamente la situazione notevolmente diversa e più difficile di esistere in un mondo dove nessuno in particolare può vantare una migliore comprensione in senso universale. Una cosa è davvero interessante: che l’empirico mondo del vivente e la logica dell’autoreferenza, che l’intera storia naturale della circolarità indichino nell’etica – tolleranza e pluralismo, distacco dalle proprie percezioni e valori per fare spazio anche a quelli degli altri – il vero fondamento della conoscenza e anche il suo punto di arrivo. A questo punto, le azioni sono più chiare delle parole (Varela 2006, 270-271).

D’altro canto, entrando nell’operatività dell’epistemologia di Maturana, e poi di Varela, semplicemente si accetta di procedere attraverso una conoscenza, la cui “essenza” è quella di essere senza fondamento, perdendosi nel vortice creativo della sua circolarità (Varela 2006), senza, come ribadito più volte, possibilità alcuna di confronto con una solida realtà esterna. Guardando attraverso gli occhiali della teoria della cognizione autopoietica, il nostro agire-vivere-conoscere costruisce un mondo nel quale molte delle usuali prospettive vengono rovesciate, sia dal punto di vista della teoria della percezione, che, più in generale, nel modo di considerare la scienza o la conoscenza. In fin dei conti, la scelta di una o dell’altra epistemologia, sembra non aver altra giustificazione se non quella della decisione di indossare un habitus etico oppure un altro, ossia quello del potere di prevaricazione dato dalla via dell’oggettività senza parentesi oppure, invece, quello dell’amore e dell’accettazione dell’altro proposto da Humberto con la sua via dell’oggettività tra parentesi. Intraprendendo questa via si rifiuta di ergersi al di sopra dell’altro tramite l’appello all’accesso alla Realtà e, quindi, alla Verità, quale vanto di alcuni eletti a scapito di altri, cosa che, invece, proprio Maturana e poi Varela decisamente rifiutano (si veda ad es. Maturana 2006a).

La scelta di una via conoscitiva, secondo una o l’altra prospettiva epistemologica, può dipendere allora in fin dei conti solo da una scelta etica.

Autopoiesi - Άυτοποιέσις

Bibliografia:
Mascolo Rossella, 2011, L’emergere della biologia della cognizione. La complessità della vita di Humberto Maturana Romesin, aracneeditrice.it
Alcuni passi sono citati dal libro dell’autrice di prossima pubblicazione: Dalla biologia della cognizione all'autopoiesi - fra Humberto R. Maturana e Francisco J. Varela

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