Il coraggio viene. Ecco la sintesi. Qualche giorno fa il Salone dei Cinquecento era pieno di donne coraggiose. Immensa, la sala del potere voluta da Girolamo Savonarola a Palazzo Vecchio alla fine del 1400, immenso il desiderio di vivere e non di sopravvivere, dopo il cancro o con il cancro. O di dissolversi, se il destino s’incarognisce, convinte dal Petrarca, pur accorate, che “un bel morir tutta una vita onora”.
Il coraggio viene è il titolo della testimonianza di Angela Boni, pubblicata, con un’altra ottantina, nel libro Le donne si raccontano. Storie di donne che hanno affrontato la malattia oncologica che raccoglie i racconti del premio omonimo, bandito per la prima volta nel 2007 dalla sezione fiorentina della Lega Italiana per la lotta contro i tumori.
Il coraggio viene, questi scritti lo spiegano, quando dal trauma della diagnosi riemerge la persona che in un istante era diventata solo malattia. Quella persona si batte allora contro il tumore per riappropriarsi di sé e, spesso, trova risorse che non pensava di avere. E che forse non aveva. Che in molti casi avrebbe preferito non dover scoprire di avere, per risparmiarsi il dolore indicibile, che in qualche caso è drammaticamente entusiasta di scoprire perché ne aveva bisogno per capire la propria vita. Tutto è molto misterioso. “Spesso ho pensato che nelle donne c’è il Dna degli eroi - scrive in una delle pagine introduttive del libro Bona Frescobaldi, promotrice della maratona benefica Corri la vita - infatti riescono spesso a fronteggiare delle situazioni tragiche e molto difficili”.
Elisabetta Bernardini e Giovanna Franchi, curatrici del volume, tengono a ricordare che non si tratta di un concorso letterario: “Sono racconti di vita la cui bellezza dirompente non è legata all’aver usato una certa forma di scrittura o un corretto stile, ma emerge dall’essersi messe a nudo, condividendo con il lettore le parti più intime, le speranze, le paure, la disperazione e il coraggio. Linguaggi semplici e diretti, ricordi, diari di malattia, lettere. Niente è mai banale, nulla già sentito: ognuna di loro ha messo se stessa e quindi la propria unicità e personalità in ogni frase. Il risultato è una lettura appassionante e coinvolgente che riesce sempre a stupire”. Una lettura istruttiva per chiunque e, specialmente, hanno spiegato le curatrici, per chi si affaccia a un percorso di malattia e deve sconfiggere una solitudine e uno smarrimento abissali.
“La medicina narrativa, che si fonda sul racconto, sulle esperienze e sulle sensazioni, è oggi uno strumento eccezionale per vivere meglio il ruolo di curante, di paziente, di familiare, ma anche di manager della società - spiega Gianni Amunni, direttore dell’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica e Istituto tumori toscano -. La medicina narrativa non può essere qualcosa per pochi affezionati cultori, ma deve avere dentro di sé la volontà di ‘contaminare’ la scienza”. Perché scienza ed emozione stiano insieme “occorre indagare con la stessa determinazione la malattia e l’esperienza di malattia”.
Il pomeriggio nel Salone dei Cinquecento è stato come doveva essere grazie a una ‘regia’ che ha imposto interventi di tre minuti al massimo e al flusso di empatia che scorreva fra le autrici, i relatori , il pubblico. La brevità ha neutralizzato i nemici di queste circostanze: la noia e le manie di protagonismo, così la commozione è stata palpabile e non ha trovato intralci. Ad Alexander Peirano, presidente Lilt Firenze, il compito di presentare l’incontro, alcune donne toscane in politica incaricate di scegliere e leggere pagine della raccolta lo hanno fatto con partecipazione , come mettendosi da parte. Una vera rarità che ha suscitato molti apprezzamenti. Giovanna Franchi, raggiante, dice che la felicità delle signore narratrici è stata grande. La responsabile del servizio di psiconcologia di Villa delle Rose l’aveva promesso, fin al primo momento: prima o poi quei racconti sarebbero stati pubblicati. E adesso la gioia di vederli di scena a Palazzo Vecchio.
Nella commozione, anche il divertimento. C’è chi è molto spiritosa, ed essere spiritose scrivendo sul seno perduto, è davvero eccezionale. Beatrice Filippini: “Io e le mie nuove tette. Taglia quarta! Almeno loro hanno tante cicatrici e tanti problemi ma non hanno il problema della forza di gravità… e almeno loro saranno eterne: non credo che il silicone sia biodegradabile!”. Alice Bianchi ama una frase di Gabriel Garcia Marquez: “Non c’è medicina che guarisca quel che non guarisce la felicità” ed è autrice di un’ode speciale che comincia così: “Avevo una volta un bel paio di tette. Non troppo grosse ma per me eran perfette. Le portavo ovunque anche senza sostegno. Che del reggiseno non avevan bisogno”. E si chiude così: “Morale della storia - che spero sia finita. Posso rinunciare alle tette ma non alla vita”.
Per maggiori informazioni:
Le donne si raccontano. Storie di donne che hanno affrontato la malattia oncologica. Editore Cesvot Centro servizi volontariato Toscana