Le connessioni esistenti tra mente e intestino sono note da decenni, è ben noto infatti che l’ansia o la depressione sono in grado di modificare l’appetito, i ritmi intestinali, o l’efficienza della digestione. E si sa che l’intestino è addirittura capace di produrre e mettere in circolo diversi neurormoni, tanto da essere stato definito “il secondo cervello” dell’uomo.
Eppure fino a non molto tempo fa la scienza riteneva che le comunicazioni mente-intestino si svolgessero a senso unico, per la precisione soltanto dall’alto verso il basso. L’arrivo di nuove ricerche sul microbioma intestinale (la popolazione dei microbi che ivi risiedono) ha però cambiato le carte in tavola, dimostrando che in realtà la comunicazione mente-cervello è paragonabile ad una autostrada a due sensi di marcia, né più né meno come ogni altra via nervosa.
Oggi sappiamo che modificando la popolazione di batteri residenti nell’intestino di un individuo è possibile modificarne il comportamento e l’affettività e ciò sta cambiando il modo in cui interpretiamo e trattiamo le malattie mentali e i disturbi del comportamento alimentare. La scoperta che l’acquisizione di un microbioma adeguato nel corso dei primi anni della vita è di importanza cruciale per lo sviluppo delle funzioni dei sistemi gastrointestinale, immunitario, neuroendocrino e del metabolismo in toto, unitamente alla scoperta che la somministrazione precoce di antibiotici agli animali da esperimento è in grado di alterare (talora irreversibilmente) lo sviluppo di funzioni emotive adeguate ci fa preoccupare. Soprattutto se pensiamo alla facilità con cui tali agenti vengono routinariamente prescritti ai nostri bambini.
Fortunatamente esistono studi che dimostrano che vi è una certa plasticità del sistema microbico intestinale e che almeno una parte di tali danni può essere corretta in epoche successive grazie al ripristino di una flora intestinale fisiologica. Da studi eseguiti sugli animali si è visto infatti che la somministrazione di probiotici quali il Lactobcillus Rhamnosus è in grado di diminuire i livelli di ansia e panico in alcuni soggetti. E un ricerca condotta alla UCLA lo scorso anno ha evidenziato che tali modifiche sono dimostrabili mediante risonanze magnetiche cerebrali anche nel sistema nervoso centrale umano.
Dunque non tutte le speranze sono perdute! E forse pensare di poter trattare un disturbo d’ansia con vasetti di yogurt potrebbe divenire presto realtà. E pure l’idea di curare un depresso mediante un unico trapianto fecale proveniente da un individuo felice potrebbe diventare una ipotesi percorribile (esattamente come si fa oggi per curare certe malattie infiammatorie croniche intestinali). Certo è che queste ricerche aprono nuovi affascinanti orizzonti verso mondi prima inesplorati che promettono di essere fonte di grandi ricchezze per il miglioramento della salute dell’uomo.