Ospiti di un sontuoso banchetto, gli argenti più sgargianti e i cristalli più splendenti risuonano tra le mille teatralità della tavola. Sculture di ghiaccio e trionfi di ogni prelibatezza perdono subito la scena all’ingresso di sua maestà, l’ostrica.
Degna rivale dello zucchero, considerato indiscusso protagonista di ogni mensa reale, riesce a spodestare questo immancabile elemento superando (grazie all’evolversi dei gusti) la predilezione per l’agrodolce. Così, sino a oggi, adagiata su un’irregolare strato di ghiaccio l’ostrica ruba vivida la scena della tavola a ogni altra vivanda. Sono gli architetti dei nostri fondali marini, ospitate e protette durante le fasi della loro crescita da scogliere ed ecosistemi.
Già nota alla civiltà greca non solo per ricavarne monili preziosi utilizzati come moneta di scambio, ma principalmente per la sua “necessaria” presenza sulla tavola; pare che l’ostrica venisse cotta con miele (solitamente di palma, melograno e datteri) e servita con vino dolce speziato per esaltarne al meglio gli aromi. I greci, lussuriosi e goderecci, danno vita al mito del potere “afrodisiaco” dell’ostrica narrando della dea Venere, la quale emerse dagli oceani a dorso della nota conchiglia per poi partorire Eros, dio dell'Amore. Un minuto, ma solido forziere dalle curve eleganti, la quale cela al suo interno, protetto da indescrivibili aromi, il “frutto proibito”; stuzzicando il desiderio dei più “golosi”. Questo mito si evolve in spazio e tempo, giungendo ai Romani, i quali mandarono molti schiavi in Bretagna e pagarono le ostriche a peso d’oro pur di garantirsi quell’ambrosia in grado di rendere felici amanti e sovrani di tutto il mondo. Dopo aver degustato il cuore dell’ostrica le valve venivano polverizzate e miscelate con vino molto profumato e miele, dando così vita a un potente “nettare d’amore”.
Oggi l’ostricoltura non è sfuggita all’attenzione dei suoi artisti, come si può notare in molti paesi tra cui Inghilterra, Francia, Cina e in particolare Scozia, dove le numerose varietà vengono allevate in veri e propri “parchi osteari”, in cui il tempo è scandito dalle maree e l’impeto della corrente non può recare danno allo sviluppo del mollusco. Raggiunti tre anni di età e dimensione idonea al suo debutto, l’ostrica, bramante delle nostre tavole parte alla volta di alberghi e ristoranti di tutto il mondo.
Per secoli sono state elaborate ricette di ogni tipo: bollita, al vapore, arrosto, aromatizzata con spezie di ogni genere e provenienza, è anche stata accostata alla degustazione di prodotti in voga per ogni momento, dai datteri dei greci allo Champagne nel Settecento; tutto per comprendere che forse, alla fine, non esiste forma migliore della Sua per percepirne al meglio struttura e complessità aromatica. Un fresco letto di ghiaccio e una platea di tartufi e scampi incorniciata da qualche ciuffo di alghe orna l’ultimo atto della nostra protagonista, la quale imperturbata regna sovrana sui ricchi piatti di crudités francesi.
Non appena le valve, una volta aperte, concedono l’onore di assaporare il suo delicato e cremoso cuore, ecco evolversi sulle curve della nostra lingua i tanto bramati aromi che rimbombano nella mente come la marea sulla costa; la sua scia imperversa a lungo sul palato così come la salsedine avvolge i nostri abiti e capelli passeggiando sul bagnasciuga. C’è chi aggiungerebbe qualche acidula nota agrumata per onorare al meglio i suoi attributi, chi non desidera altro che accoppiarla a qualche profumato vino da pasto e chi, tutt’oggi, legato alla sua ipnotica leggenda spera di vedere rotolare dal suo piatto una minuscola, preziosa perla a conclusione di un magico viaggio sensoriale.