Immaginate una torre alta 33 metri, dal peso di circa 5 tonnellate, totalmente illuminata, che si aggira per il centro storico della città trasportata con la sola forza di 153 uomini. Sembra incredibile, eppure è così, uno spettacolo unico al mondo, un'emozione indescrivibile quando passa vicino o quando la si intravede svettare tra i tetti della città. E' uno spettacolo talmente unico che la Macchina di Santa Rosa è entrata dall'anno scorso a far parte del patrimonio immateriale dell'Unesco. Il 3 Settembre di quest'anno è stato il primo trasporto con lo stemma ufficiale dell'Unesco inciso alla base, ma la tradizione della macchina di Santa Rosa ha ben più di 750 anni.
Il tutto iniziò a Viterbo nel lontano 1233 quando nacque la piccola Rosa, una bimba di umili origini nata con una grave malformazione, era priva di sterno. Tutta la vita della piccola Rosa fu una serie di miracoli poiché lei stessa sopravvisse fino a 18 anni, impensabile per la sua malformazione, spegnendosi nel 1251. Il papa Alessandro IV fece spostare il corpo della Santa dalla Chiesa di Santa Maria del Poggio al Monastero delle Clarisse che l'avevano rifiutata quand'era in vita, per poi dedicare il Monastero a lei. Era il 4 Settembre del 1258. Da allora, ogni 4 settembre viene festeggiata Santa Rosa e il 3 settembre viene trasportata una macchina per ricordare quell'evento, ma le macchine di allora non avevano nulla di monumentale come quelle di oggi. Fu solo nel XIX secolo che la macchina diventò così grande e maestosa al punto che viene indetto un bando al quale partecipano numerosi architetti per avere l'onore di essere il prossimo ideatore della macchina.
Ogni macchina viene utilizzata per 5 anni e quest'anno Fiori nel Cielo ha compiuto il suo ultimo viaggio, quindi l'anno prossimo ci sarà grande suspence per vedere la nuova macchina. Assistere al trasporto di questa mastodontica creatura, che si innalza notevolmente al di sopra dei tetti della storica città di Viterbo, è un'esperienza mozzafiato di per sé, ma ogni nuova macchina attira anche migliaia di curiosi solo per vedere com'è fatta. Disegnare questa creatura è tutt'altro che semplice poiché in alcuni tratti le strade sono talmente strette che bisogna ridurre il numero dei facchini a 75 e gli spettatori devono rannicchiarsi nelle porte per lasciare lo spazio alla macchina per passare.
Diventare facchini è un grande, grandissimo onore per qualsiasi uomo viterbese e addirittura molti di loro aspettano anni per poter prendere il posto di qualche facchino più anziano che lo cede a malincuore. Viene fatta una vera e propria selezione minuziosa, dove è richiesto all'aspirante facchino di percorrere almeno 90 mt con 150 kg sulle spalle. Chi di loro supererà la prova, potrà avere l'onore di appartenere al Sodalizio dei Facchini. Il facchino però non è una figura che esce fuori una sola volta all'anno per trasportare la macchina, chi è facchino lo è sempre. Essi si occupano di beneficenza, organizzano cene dove ognuno di loro si cimenta per poter raccogliere fondi da donare ai poveri, per comperare macchinari per l'ospedale o per qualsiasi altra opera caritatevole necessiti alla loro città, mettendoci cuore, corpo e anima.
Sicuramente il momento più emozionante del trasporto è l'ultimo tratto, dove da Piazza Verdi, i facchini percorrono di corsa Via di Santa Rosa per fermarsi davanti al suo santuario. Questo è anche il tratto più pericoloso perché c'è un dislivello di ben 15 metri ed è anche l'ultimo, quindi i facchini sono più stanchi, ma ad attenderli sulla scalinata ci sono le loro famiglie che li incitano e li sostengono, scoppiando di orgoglio nel vederli arrivare di corsa. Una volta giunta davanti alla Chiesa, la macchina ruota su se stessa e finalmente i facchini possono posarla a terra e abbracciare le loro famiglie, ringraziando la santa di averli protetti durante il trasporto.
Non solo questo spettacolo merita di essere visto almeno una volta nella vita, ma essendo Viterbo una piccola città, l'evento unisce tanto i cittadini dando loro un senso di identità e di fierezza. Come disse Giovanni Paolo II quando assistette a un trasporto eccezionale della macchina il 27 maggio 1984 “Vale la pena di venire a Viterbo”.