Anche se il mese di agosto non è proprio indicato per un tour dei giardini, la stagione propizia, con primavera piovosa ed estate fresca e soleggiata, ha consentito a un'appassionata di paesaggio, quale è chi scrive, di esplorare luoghi nascosti tra le colline dell’Appennino umbro.
Spesso i giardini che vorremmo visitare, magari pubblicati nelle note riviste di giardinaggio, risultano i più difficili da raggiungere perché aperti solo in certi periodi dell’anno, o non appartenenti ai circuiti di giardini privati visitabili che timidamente anche in Italia cominciano a interessare non solo una stretta cerchia di appassionati, ma anche il pubblico più vasto. La tradizione anglosassone e di tutto il centro Europa ha fatto scuola con la fondazione di enti morali non statali, come National Trust, in cui i proprietari di ville e giardini, aderendo a un progetto comune per la salvaguardia e la conservazione architettonica e paesaggistica rientravano tra quei luoghi visitabili secondo un calendario, anticipando a partire dal 1895 la legislazione nazionale di tutela.
Molto si potrebbe dire sull'affascinante storia di 118 anni di lavoro assiduo di National Trust affinché tantissimi luoghi diventassero accessibili, anche per merito dei suoi fondatori, una tra tutti Octavia Hill (1838- 1912). Più recentemente anche la Francia, in particolare per i giardini privati, ha costituito diversi circuiti in cui angoli di verde o grandi parchi diventano meta del grande pubblico con grande successo in termini di richiesta alla visita, sia locale ma soprattutto internazionale. Interessante il marchio Jardin remarquable istituito nel 2004 su proposta del Consiglio Nazionale dei Parchi e dei Giardini (CNPJ) di Francia che si propone di riconoscere e valorizzare la qualità di alcuni giardini aperti al pubblico, gli sforzi compiuti per la loro presentazione e per la loro accoglienza.
I giardini che entrano in questo gruppo sono contrassegnati da un etichetta che viene loro concessa finché sussistono le condizioni di accettabilità a far parte del circuito (bellezza, ospitalità, accessibilità, ecc.), anche con cartellonistica (su strade e autostrade). Anche in Italia è presente una istituzione analoga, che comprende sia dimore storiche sia giardini, privati e pubblici, chiamata Grandi Giardini Italiani, una rete di 120 giardini in dodici regioni italiane e del Canton Ticino.
La rete dei più bei giardini visitabili d’Italia è stata fondata nel 1997, su iniziativa di Judith Wade con capitale privato. Grandi Giardini Italiani è divenuto, negli anni, un marchio di prestigio che certifica e contraddistingue giardini storici e contemporanei. Un'iniziativa encomiabile in quanto mette a disposizione del turismo locale e non solo un patrimonio storico che contraddistingue l’Italia in tutto il mondo, facilitando la messa a reddito di giardini visitabili di proprietà privata e pubblica. Per ciascun giardino sono riportati indirizzi, una scheda informativa su storia e orari di visita. Questo è importante quando purtroppo non esiste un sistema analogo pubblico che metta in rete tutto il territorio nazionale, ma è lasciato all’iniziativa delle singole regioni, che non sempre hanno mantenuto negli anni progetti analoghi con aggiornamenti, siti web e punti informativi efficienti. Si deve citare anche il FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano, che, in oltre trenta anni di attività, oltre ai giardini, ha preso possesso di antiche dimore, castelli, ville, parchi storici, siti di interesse naturalistico che altrimenti avrebbero avuto grandi difficoltà a mantenere una gestione da renderli accessibili e godibili dal grande pubblico.
In Italia però sono sempre di più le proposte che riscuotono gran successo, finalizzate all’apertura di giardini privati e pubblici benché ancora realtà sporadiche come a Ravenna, Meraviglie segrete già alla terza edizione, in Friuli, iniziativa al livello regionale, in Emilia Romagna con Vivi il verde, e altri esempi di grande interesse. Purtroppo la maggioranza dei giardini sono invece invisibili e rimangono nascosti ai più anche quando gli stessi proprietari avrebbero possibilità di aprirli ma non hanno opportunità di inserirsi in un circuito di giardini visitabili.
Durante il mese di agosto, sebbene non sia il mese più consono alle visite poiché la calura estiva rende meno attraente e rigoglioso anche il più accattivante dei giardini, mi accingo sempre a sfidare la sorte e tentare di fare qualche esplorazione nelle campagne della Toscana o dell’Umbria. Quest’anno la sfida mi ha condotto alla visita di tre siti diversi tra loro e tutti di estremo interesse non solo perché luoghi di conservazione e collezione di specie ma anche per la loro bellezza paesaggistica.
Mi accingo quindi a visitare un giardino giovane, ha solo 10 anni, ma grazie alle cure e al lavoro del proprietario, Andrea Emiliani, agronomo paesaggista, appare ben più consolidato nel tempo. E’ una collezione di rose e il nome già ci dice molto: Il giardino delle cento rose. Nel giardino è presente un'importante collezione di Rose Inglesi di David Austin, noto ibridatore, con oltre 210 varietà, oltre 200 piante di peonie e iris. L’intento del suo ideatore e progettista è proprio quello di diffondere, coltivare e promuovere la conoscenza di rose inglesi disposte secondo un ordine stabilito quello della colorazione del fiore, con un'impeccabile cartellinatura che indica specie varietà e caratteristiche.
Molto regolare e simmetrico il giardino delle Centorose che si staglia nella pianura tra Spello e Foligno nell’Umbria della media valle del Tevere, dove la ricchezza d’acqua ha favorito la crescita di grandi alberature anche in pochi anni dal loro impianto. Cipressi, frassini e piante da frutto dai rami carichi di pesche, albicocche e mele rendono questa collezione, austera nell’ordine e nella rigorosa scansione delle aiuole, un luogo di delizia in cui il visitatore può gustare dall’albero i frutti maturi e ammirare un orto peculiare realizzato in enormi mastelle che ne rendono più facile la coltivazione e la raccolta. Fragole, zucchine, pomodori e aromatiche riportano questo giardino elegante e delicato al contesto rurale quale è la pianura circostante che sconfina sui monti Martani. Una Dalia imperialis alta oltre tre metri svetta insieme a una Buddleja a fiore giallo, la profusione di rose va vista in maggio quando il giardino è al massimo delle fioriture insieme agli iris e alle peonie. Il proprietario mi saluta e mi invita a tornare in primavera, ha già il suo carnet occupato per il mese di maggio ma il maggior afflusso di visitatori è dall’estero.
Il mio tour continua verso nord nella Val Tiberina, l’alta Valle del Tevere che parte proprio da Città di Castello. Qui nascosta tra le colline c’è una ormai famosa tenuta con piante di antica origine, Archeologia Arborea, oggi Fondazione, nata a San Lorenzo di Lerchi, con Livio e Isabella Dalla Ragione padre e figlia, cacciatori di piante dei nostri giorni. “La ricerca sulle vecchie varietà di piante da frutto è partita circa trenta anni fa nei territori dell’Alta Valle del Tevere, antico crocevia di diverse regioni , Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche.” Mi racconta Isabella, agronoma e studiosa di storia della cultura e della tradizione agricole del centro Italia: “Lo scopo fondamentale e primario è stato quello di salvare concretamente queste piante, lavorando quindi sempre con un carattere di estrema urgenza in quanto ogni anno abbiamo visto scomparire definitivamente sempre più numerose varietà ed ecotipi. Siamo andati a cercare nei luoghi ancora abitati dagli anziani agricoltori dove era possibile ritrovare oltre alla frutta anche tutte le informazioni e conoscenze popolari inerenti. In seguito sono stati visitati anche i poderi abbandonati, antichi nuclei abitati, giardini parrocchiali, ville padronali e orti dei monasteri, soprattutto quelli di clausura.”
Il giardino vivaio collocato in un contesto rurale di antica sapienza e bellezza, scampato alla speculazione e all’aggressione delle seconde case negli anni settanta, è un frutteto collezione coltivato con i sistemi tradizionali del luogo, di circa 400 esemplari di diverse specie tra melo, pero, ciliegio, susino, fico, mandorlo, nespolo e melo cotogno, in 150 varietà diverse ritrovate. La collezione non ha mai avuto scopi produttivi, ma essenzialmente il mantenimento delle risorse vegetali e culturali e soprattutto quello della conservazione della Biodiversità. Isabella, che da vent’anni porta avanti una ricerca assidua sulle fonti in archivi storici pubblici e privati, vecchi manuali di agricoltura, testi delle cattedre ambulanti di agricoltura e dalla toponomastica, mi parla dell’importanza del suo progetto per divenire Fondazione accreditato presso FAO International Treaty on Plant Genetic Resources for Food and Agriculture, Biodiversity International e Università degli Studi di Perugia. Mi lascia una delle sue pubblicazioni che coniuga una ricerca storica delle specie perdute o dimenticate attraverso lo studio degli affreschi in cui frutta e verdura erano rappresentati nei palazzi del centro Italia con festoni di scene mitologiche.
Il mio viaggio continua verso gli Appennini, nell’entroterra di Città di Castello verso Monte Santa Maria Tiberina, poiché ho avuto notizia di un giardino sui generis naturalistico e molto sostenibile; qui il proprietario, Paolo Parigi, ha voluto acclimatare specie mediterranee e non solo di ambienti estremi, per quanto riguarda la resistenza al freddo e alla siccità. Mi incuriosisce e mi interessa poiché oggi trovare situazioni in cui è posta particolare attenzione al risparmio delle risorse è cosa non molto diffusa, soprattutto in microecosistemi come i giardini in cui acqua e concimi sono spesso il segreto per renderli accattivanti e apprezzati tutto l’anno. Il giardino si chiama Petralta ed è difficile da trovare, ma forse è proprio questa la sua bellezza, un podere tra colline desolate dove la natura prorompe tra boschi misti di roverella e tratti più brulli quasi come calanchi e praterie che non potrei immaginare diversi da come apparivano nel Medioevo.
Chiedo a Paolo Parigi da quanto se ne occupa e mi confessa che solo dieci anni fa ha fatto ritorno in quel podere dove la sua famiglia fondò negli anni ottanta uno dei primi agriturismi della Regione. Ci si è buttato a capofitto e oggi quel giardino è casa sua e il suo compagno di vita. Il progetto era ambizioso, creare un luogo di sperimentazione ai margini di un bosco, uno spazio fatto di versanti più o meno scoscesi, piccole e grandi radure, precipizi ombrosi che guardano valle. Mi accorgo da pochi cenni su come ha realizzato delle bordure che c’è molto studio, dedizione alla materia botanica, perché mi perdo tra le centinaia di varietà di una sola specie che all’occhio grossolano potrebbero sembrare quasi uguali: i Plomis ! Mentre lui le conosce tutte per nome e sa bene perché le ha messe lì le une vicine alle altre, mai per caso ma per un progetto preciso e raffinato. Mi parla di un testo che tratta di specie mediterranee di tutti i paesi del mondo, lo conosco ma non avrei mai osato seguire quel manuale asserisco, per la sua difficoltà di applicazione.
Qui mi accorgo che si è andati ben oltre, giustapponendo specie a foglia grigia, graminacee, e molte altre al tessuto spontaneo, mai trascurato dice lui, anzi valorizzato e incentivato alla diffusione, in ragione di una sopravvivenza senza sprechi di energie. Lo studio che fa non si vede se non come risultato estetico eccellente, frutto di un progetto paesaggistico di gran gusto. Tutto ha carattere di selvatico e naturalistico quando si scende ai limiti del bosco dove si intravedono rose rampicanti che formano festoni, liane tra una quercia e un frassino, il bosco-giardino alla Gertrude Jeckill (1843-1932) , guru nella storia del giardino naturalistico inglese, è posto in essere.
Quando penso di aver visto un po’ tutto, mi accompagna a visitare la collezione di rose, sono più di mille, mi racconta CHe stanno tutte bene. “Vedi lì quella valletta. Sembra fatta per loro, non si concima gran che qui e non si tratta con gli antiparassitari, il micro-ecostistema gioca il suo ruolo e i predatori possono fare il loro lavoro.” Ci si perde tra un sentiero e l’altro che dice a maggio esplode di rose rampicanti ricadenti da alberi e siepi, tutto senza che la natura sia troppo addomesticata, con potature, costrizioni, pergolati. Preferisce colonizzare nuove zone emulando la natura che circonda il podere, raccogliendo piante per le valli e riproducendole in casa in un piccolo vivaio. Una galleria di foto del mese di maggio mi sorprende perché farebbe invidia al giardino inglese del circuito più quotato per specialisti cultori del settore.
E’ ormai sera e dopo l’ubriacatura da nomenclatura babelica assisto a uno spettacolo botanico, l’apertura notturna di un fiore appartenente a una specie esotica epifita, che cresce con radici aeree su tronchi d’albero. Questo fiore è bellissimo, l’Epiphyllum Oxypetalum, stellato e bianco candido, di un profumo insolito, conturbante quanto effimero, dura una sola notte e fiorisce una volta all’anno…