Per me la tromba si comporta come una donna. Occorre dedicarle attenzioni tutti i giorni...
A che età nasce il tuo amore per la musica, in particolare per la tromba?
Molto presto, da bambino. Sicuramente influenzato da mio padre, anch’egli trombettista. La prima tromba mi fu regalata all’età di sei anni, con l’idea che io la suonassi, invece io ci giocavo smontandola per poi rimontarla. Poi iniziai a giocarci suonandola e fu proprio così che il gioco si trasformò in qualcosa di più importante.
Che tipo di strumento è la tromba? Il suono, le difficoltà... con quali altri strumenti è in armonia? Insomma tutto ciò che vuoi raccontarci su di lei.
Per me la tromba si comporta come una donna. Occorre dedicarle attenzioni tutti i giorni, farla sentire importante, una primadonna. Quindi, importante è studiarla tutti i giorni, proprio perché è uno strumento molto complesso, ma dal suono unico e affascinante, che riesce a trovare armonia con tutti gli altri strumenti.
Raccontaci il tuo percorso formativo dal punto di vista musicale, le tappe più importanti.
Sicuramente molto precoce. All’età di nove anni ho iniziato a suonare ai concerti di mio padre e nonostante fossi così giovane, venivo presentato come la piccola star. Forse uno dei miei primi ricordi è proprio un Carnevale di Venezia, sarà stato il 1977. Lo studio è sempre continuato dalla tenera età come autodidatta, con l’ascolto di tanta musica. Mio padre è un appassionato di Chet Baker e Harry James, pertanto in casa si ascoltavano i suoi dischi, bella e soprattutto buona musica. Poi, ho continuato con altri dischi ancora, tra cui Donald Byrd, Lee Morgan, Clifford Brown, Bill Evans e più avanti Freddie Hubbard e tanti altri. Poi all’età di 15 anni, un noto batterista napoletano, Antonio Golino, mi volle nella sua band che ogni sera si esibiva all’allora famoso locale partenopeo Otto Jazz Club. Ricordo che la prima volta che mi chiamò ero talmente in preda alla paura, che rifiutai. Ma le sue insistenze mi fecero cambiare idea e per due anni abbiamo suonato tutte le sere insieme. Un'esperienza davvero importante, una scuola, una palestra.
Perché il jazz, cos'ha di diverso dagli altri generi e soprattutto cosa è per te?
Perché il jazz? Questa è la domanda che mi sono fatto e che continuo a farmi anche io e alla quale non so rispondere. Credo che il jazz sia il modo in “musica” di esprimere: per uno strumentista è l’arte più comunicativa. Ma io sono con vinto che il jazz abbia scelto me. Mi sono ritrovato a suonare jazz che neanche lo sapevo. Forse questa libertà di espressione era già dentro di me e il jazz l’ha fatta venire fuori.
Hai fatto tanti concerti e collaborato con molti artisti, puoi citarne qualcuno?
Sì, tanti i concerti e tante le collaborazioni: Lee Konitz, Steve Grossman, Gary Peacock, Tom Harrell, Peter Eskine, Diane Schuur, Kenny Davis, Dado Moroni, Danilo Perez.
Ora sei in tour?
In questo periodo sono impegnato per un nuovo progetto in trio, Organ Trio.
Il pubblico italiano e il pubblico straniero. Similitudini e differenze e come li vivi tu.
Devo ammettere che il pubblico straniero dà molte soddisfazioni, è più attento all’ascolto e rispettoso per gli artisti. Non voglio assolutamente dire che gli italiani pecchino in questo, ma nel nostro paese il jazz non solo è poco conosciuto, ma a volte confuso con altri stili che nulla hanno a che fare con il jazz.
Si può vivere di musica?
Busta A o B? Apriamo la “A”: la musica è la mia vita.
Quali sono i brani che prediligi suonare?
Rigorosamente gli standard americani e ovviamente le mie composizioni.
Nel 2009 sei stato premiato come migliore artista jazz italiano dell’anno. Raccontaci questa esperienza.
Sì, l’Italian Jazz Awards 2010. Bella soddisfazione, perché è un premio che ti dà la gente, poiché a votare ci sono persone che ti seguono.
Cosa pensa il pubblico del jazz, a tuo avviso? E’ musica per intenditori o attira anche neofiti?
Non è musica per un “orecchio facile”. Gli appassionati sono tanti e molti i giovani che si stanno avvicinando a questo genere. Purtroppo però esistono molte contaminazioni. Ad esempio, nelle manifestazioni che una volta si chiamavano Festival Jazz, oggi sono presenti gruppi o artisti che con il jazz hanno poco a che fare. Quindi confusione anche per il pubblico ascoltatore.
Quale tipo di tromba preferisci, la leggera, la pesante o di rame?
La mia Conn Connstellation del ’60.
Raccontaci qualcosa dei dischi in cui hai suonato, Mario Biondi, Gino Paoli, ecc.
Tante le collaborazioni, farei fatica a scegliere di parlare di qualcuna in particolare. Ho un ricordo molto interessante di ultime collaborazioni anche con giovani del jazz tra cui Francesco Cafiso, per il quale ho partecipato alla registrazione di un suo ultimo lavoro dedicato alla sua terra, la Sicilia. Poi ancora, Giovanni Scasciamacchia, giovane batterista lucano, con il quale ho lavorato al progetto Rainbow, un disco che contiene quattro miei inediti.
Il trombettista secondo te ama suonare da solo o necessariamente in gruppo?
In gruppo, decisamente.
Un consiglio che daresti a un giovane studente di tromba?
Sicuramente gli direi di non fossilizzarsi sullo strumento. Spesso succede che i trombettisti si appassionino talmente tanto solo alla tromba che ascoltino solo trombettisti, parlino solo di tecnica per tromba. Invece, credo che lo strumento sia solo il mezzo attraverso il quale esprimere l’arte. Ascoltare dunque più musica, i pianisti, i sassofonisti e anche i trombettisti. Fondamentale è allargare gli orizzonti.
Mel Broiles dice: “Ricordi il vecchio detto 'Tu sei bravo quanto? Buona l'ultima nota che hai fatto?'. Bene, oggi tu sei bravo quanto la nota che stai suonando ora (in sostanza, la bravura? Aleatoria e basta un errore per scendere nella scala dei 'bravi' suonatori)”. La tua opinione?
E se rispondo citando anche io Mr Broiles? “Senza esercizio le performance di un musicista declineranno sicuramente, come è sicuro che il sole tramonterà.”