L’Occidente è il mondo ricco e dominante della nostra epoca. Quali cittadini di questa parte del pianeta, più o meno consapevolmente, siamo tutti inebriati da un senso sottile di potere – anche intellettuale – che non ammette sudditanze né interferenze. L’antico sapere dei nostri avi è stato archiviato e catalogato sotto la dicitura “superstizioni e credenze” in nome di un sapere scientifico discutibile nelle sue forme, nelle sue convinzioni e nei suoi contenuti. Siamo convinti di dover accordare fiducia solo a quella parte di realtà che si presenta sotto un aspetto quantificabile, misurabile, deducibile da uno schematico quanto rigido rapporto scientifico spesso ridotto a una mera relazione di causa-effetto.
Parlare, scrivere e proporre al mondo occidentale l’antica medicina cinese risulta pertanto complesso, poiché la struttura di pensiero su cui essa si fonda è sostanzialmente diversa dal nostro comune modo di ragionare. E ciò può rendere difficoltoso l’approccio al lettore o addirittura suscitare delle resistenze all’apprendimento. Il pensiero occidentale, a differenza di quello cinese, è legato a procedimenti che si basano sull’analisi, sulla scomposizione dei problemi, sull’inconciliabilità degli opposti. Questa modalità è per noi così abituale da non farci percepire i suoi limiti, né fino a che punto essa restringa la nostra visione e ci impedisca di cogliere il reale nella sua complessità.
La radice di questo pensiero risale alla filosofia dell’antica Grecia, alle indagini sul principio delle cose, sulla loro l’origine. Una ricerca che si è fin dagli albori delineata come “discorso” (logos), verbalizzazione, quindi come un tentativo di fornire spiegazioni e definizioni, allo scopo di trovare una verità esente da contraddizioni. Con Aristotele, cui si fa risalire la fondazione della scienza in Occidente, nasce la logica, una modalità di ragionamento che porta a scelte rigide, all’aut-aut che esclude (un enunciato non può essere vero e non vero allo stesso tempo, come recita ad esempio il principio di non contraddizione), all’astrazione e alla concettualizzazione.
Su queste basi ormai consolidate, nel XVII secolo è nato il pensiero scientifico moderno (Cartesio, Galilei, Newton) che ha posto al centro della sua indagine le relazioni di causa-effetto tra i fenomeni e tutto ciò che fosse quantificabile e riproducibile sperimentalmente, evidenze comprensibili dalla mente razionale, basate su calcoli, deduzioni analitiche e schemi classificatori. La logica e il calcolo sono così diventati una sorta di “tiranni”, condannando come fosse privo di fondamento tutto ciò che appariva loro estraneo. L’universo e ogni sua singola parte però non possono così facilmente sottostare a criteri di schematicità e astrazione perché sono immersi in un fittissimo reticolo di interazioni. La realtà non è lineare ma è composta da una miriade di connessioni di cui la logica analitica e la fisica newtoniana non sono in grado di rendere ragione: e proprio in esse è compresa la vita, la nostra vita, con la sua mutevolezza e variabilità.
La ricerca più recente ha ormai spalancato nuove frontiere per la fisica, individuato nuove algebre per la matematica, nuove geometrie che sfidano apertamente le teorie su cui ha poggiato il sapere del passato. Ciò che appare evidente oggi è l’innegabile molteplicità di relazioni fra le cose, la “scoperta” che l’universo non è costituito da elementi rigidi ma dall’avvicendarsi di trasformazioni continue. E per comprendere tutto ciò è molto più funzionale una forma mentis non lineare e dialettica ma circolare, non analitica ma analogica, che ammetta i concetti di interdipendenza e relazione: un pensiero nuovo per noi occidentali e molto simile a quello orientale.
La nostra scrittura alfabetica ad esempio, si basa sulla scomposizione e ricomposizione di lettere che vanno a costruire un suono ed è legata a un procedimento mentale analitico. La scrittura orientale, attraverso i suoi caratteri (definiti un tempo “ideogrammi”), evoca invece un’immagine e non ha in sé un suono se non quello attribuito per convenzione dalla tradizione, funzionando secondo una modalità analogica, in quanto il segno tracciato suggerisce collegamenti e suggestioni che portano a intuirne il significato.
La cultura cinese non divide né oppone, ma raccoglie in una visione globale e organica. Non costruisce teorie da verificare tramite l’osservazione di un oggetto ma evidenzia le corrispondenze fra le cose, inserendole in un quadro complessivo. Il sapere dell’antica Cina è il prodotto di questo pensiero circolare, una cultura originale ed evoluta cui dobbiamo non solo le teorie mediche, ma numerose quanto originali scoperte e invenzioni, come ci ricorda Simon Winchester nella sua biografia di Joseph Needham (L’uomo che amava la Cina, Adelphi, Milano, 2010), nonché risposte diverse ai problemi comuni della vita, alle necessità quotidiane. In Cina, le campane vengono suonate muovendo semplicemente il battacchio, mentre in Europa è la campana a essere messa in movimento e spostata. In Occidente, i cibi sono preparati e serviti separatamente ed è il commensale a tagliarli, nel piatto; la cucina cinese ama invece piatti composti e i cibi sono già tagliati all’atto della loro preparazione: ne risulta che a tavola noi utilizziamo forchette e coltelli per separare, mentre in Cina il cibo viene riunito con l’ausilio delle bacchette di legno. Il metallo è analogicamente collegato alle armi, dunque non trova spazio sulla tavola cinese, dove il pasto è considerato momento di rilassamento e di sereno nutrimento. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi…
Una cultura tanto ricca non poteva non generare una sua medicina, anch’essa quanto mai evoluta, ma del tutto diversa rispetto a quella che si è andata affermando nei secoli in Occidente, basata su un modo di concepire l’uomo, la salute, la malattia del tutto originale. La medicina cinese basa la propria azione sullo studio degli equilibri dello yin e dello yang e sulla regolarizzazione dei flussi del qi (energia), elementi completamente alieni alla nostra tradizione e all’insegnamento universitario della nostra cultura medica. Il fatto che l’antico mondo cinese sia carico di simbolismo e credenze magiche non è stato di ostacolo alla evoluzione della loro medicina, anzi. Affondando le radici in questo tipo di pensiero, essa non è esente da elementi che potremmo oggi catalogare come “superstizioni”, ma proprio questo le ha consentito di percepire ed esplorare aspetti della realtà e dell’uomo altrimenti non conoscibili. Le diverse teorie elaborate sono state sottoposte a verifiche e approfondimenti nel corso del tempo, resistendo al logorio dei millenni. I principi degli albori si perdono nella notte dei tempi, ma sono tuttora il fondamento indiscusso di questo sapere medico che oggi viene comunemente chiamato Medicina tradizionale cinese. Quando si parla di Medicina tradizionale cinese però si indica in realtà una recente sistematizzazione del sapere antico, voluta da Mao Zedong e databile agli anni Cinquanta.
È inoltre opportuno precisare che la definizione cinese è semplicemente zhongyi, vale a dire “medicina cinese”; il termine “tradizionale” è occidentale ed è stato aggiunto per distinguere la medicina cinese autoctona da quella di matrice occidentale (xiyi), penetrata in Cina oltre un secolo prima di Mao. La MTC è dunque una medicina in parte nuova e moderna, anche se attinge nelle sue fonti a un patrimonio antico. Fu messa a punto con la collaborazione di esponenti di tutte le scuole esistenti ai tempi di Mao – ciascuna delle quali tra l’altro riteneva di essere l’unica valida – enucleando un curriculum di studi unitario che divenne materia di insegnamento in tutte le scuole cinesi, rese nel frattempo statali. La MTC non è quindi “tutta” la medicina prodotta dalla cultura cinese. Infatti, all’atto della sistematizzazione del suo corpus, si è fatto il possibile per costruire un insieme dottrinale omogeneo e al tempo stesso sufficientemente accettabile anche dalla medicina occidentale che, come abbiamo detto, era già diffusa e praticata.
Pur se non integralmente, questo sapere è riuscito ad arrivare sino a noi: nei momenti bui la trasmissione orale all’interno delle famiglie di medici e nelle scuole è stata un’insostituibile risorsa. Per capire a fondo la medicina cinese quindi è necessario andare oltre i semplici riferimenti tipici della medicina tradizionale, così come sopra definita, affidandosi dove necessario a elementi provenienti dalla più vasta medicina “classica”. Essi sono una ricchezza inestimabile che va acquisita da chi voglia veramente comprendere quest’arte terapeutica, così com’è imprescindibile studiare a fondo il contesto culturale che l’ha prodotta: ed è purtroppo evidente come questo di solito non avvenga, perché la medicina cinese il più delle volte è trasmessa come atto di fede, come tecnica da memorizzare rimanendo ancorati ai riferimenti occidentali o, nella migliore delle ipotesi, insegnata in modo superficiale.
L’apprendimento serio e ragionato di questa disciplina “diversa”, complessa e affascinante richiede anni di dedizione, studio e pratica, ma consente poi di essere ripagati abbondantemente: dalla sua efficacia clinica e dallo schiudersi davanti ai nostri occhi di un mondo “nuovo”, dove medicina, stili di vita e visione delle cose si fondono e arricchiscono reciprocamente. Dove la relazione tra filosofia e medicina è strettissima, stimolante quanto inevitabile, poiché l’approccio alla realtà avviene sempre attraverso un’interpretazione, l’uso di un modello. Il modo di concepire l’uomo e il funzionamento del suo corpo, la definizione di salute, patologia oppure il nome stesso che diamo a una malattia, sono solo interpretazioni della realtà. Solo all’interno di tale consapevolezza è possibile trovare un modo per fare convivere in una feconda integrazione gli elementi dell’antica medicina cinese con quelli della medicina scientifica della nostra epoca. Il dialogo è possibile solo riconoscendo limiti interpretativi e dignità d’essere di ognuna. E in sintonia con tale visione, da anni l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha riconosciuto nella medicina cinese un bene prezioso per l’intera umanità.
(Testo tratto dall’introduzione al volume Le basi della medicina cinese di Massimo Muccioli, Pendragon 2013.)
Agopuntore e farmacologo, Massimo Muccioli è uno dei più noti e apprezzati medici italiani che praticano la medicina cinese e ha al suo attivo numerose pubblicazioni. Da oltre trent'anni svolge la sua attività ambulatoriale nella Repubblica di San Marino e nel 2006 ha fondato ScuolaTao – scuola di agopuntura, tuina, farmacologia, alimentazione e ginnastiche energetiche cinesi – di cui è direttore didattico e referente principale (www.scuolatao.com). ScuolaTao ha centri di insegnamento nel Canton Ticino, a Milano e a Bologna, città in cui si trova la sede principale.