Vladimir Propp ci ha insegnato l’importanza della struttura e della forma nello studio della fiaba quale fenomeno socioculturale. Questa attenzione agli aspetti strutturali viene di solito utilizzata o in senso strettamente propperiano oppure in senso più lato quale strumento per sviluppare la valutazione comparativa delle fiabe a livello interculturale o diacronico, con il costante rischio del sincretismo quale tendenza preconcettuale e ideologica.
La lezione di Propp penso vada invece valorizzata in senso di analisi endonarrativa cioè astraendo dalla struttura e dalle dialettiche strutturali quella che parafrasando Warbug possiamo definire la “funzione narrativo-semantica”. Si vuole affermare in pratica che indagando la struttura interna della narrazione fiabesca possiamo trovare indizi che aiutano a comprendere il concreto e specifico significato di quella specifica fiaba, al di là e prima ancora di una sua riaggregazione funzional-dinamica generale, archetipale o storicistica, prima ancora di un'indagine sul contesto socioculturale della fiaba stessa e indipendentemente dall’interrogazione sull’origine del suo modello/matrice. La struttura ci aiuta insomma a “leggere la fiaba tramite la fiaba stessa” muovendoci in senso centripeto e non più disperdendo la specifica identità del racconto verso un’eccessiva astrazione dallo stesso di un modello generale quale petizione di principio.
Detto questo può essere utile analizzare internamente due importanti fiabe francesi: Pollicino e La Bella e la Bestia, le quali presentano tre connotati di assimilazione: 1. sono narrazioni semplici, e quindi probabilmente derivano da materiali assai arcaici, e si può facilmente distinguere in esse la loro dimensione di allegoria morale e di costume cortigiano da quella più ancestralmente e squisitamente narrativa 2. appartengono alla stessa culturale aristocratica francese fra '600 e '700, che vide l’esplosione di una vera e propria “mania fiabesca” che produsse migliaia di opere; un sogno collettivo e individuale che solo la rivoluzione francese bruscamente interruppe; 3. presentano un aspetto strutturale importante tale da poter essere studiato a livello di una sorta di “parallelismo e polarità dialettica”.
Iniziamo con Pollicino, racconto di Charles Perrault (1628-1703), che rappresenta il nucleo più antico della simile fiaba ottocentesca Hansel e Gretel, raccolta in Germania dai fratelli Grimm, a cui comunque accenneremo incidentalmente. Tutta la storia di Pollicino si fonda su una polarità dialettica fra la casa famigliare e la fitta foresta con la casa della famiglia dell’Orco. Possiamo facilmente evidenziare un chiarissimo e preciso parallelismo fra le due famiglie tanto che possono simbolicamente considerarsi due rami/dimensioni di una stessa famiglia/clan. Pollicino è il settimo di sette fratelli maschi e le figlie dell’Orco sono sette, la madre di Pollicino è buona e compassionevole come la moglie dell’Orco, il padre di Pollicino è più aggressivo e duro come lo sarà massimamente l’Orco, le mogli/madri sembrano svolgere un ruolo di sapienza e di regolazione, prevalente su quello maschile, le sette figlie assomigliano al loro terribile padre e i sette figli sembrano assomigliare nella dolcezza alla loro madre. La prevalenza del ruolo femminile viene confermato dal fatto che le sette figlie dell’Orco mostrano delle coroncine sul capo mentre il primogenito Pierino, preferito dalla madre, ha i capelli rossi come lei. La decapitazione delle sette orchettine, frutto dell’astuzia mercuriale di Pollicino, è segno della vittoria del patriarcato sul matriarcato?
Emerge poi una relazionalità di tipo complementare fra i due territori ideali: la casa/famiglia di Pollicino è povera, quella dell’Orco è ricca, quella di Pollicino è fuori dalla foresta o al meno in un “al di qua” della foresta, quella dell’Orco sembra porsi simbolicamente nel centro più buio della grande foresta, anche se viene poi indicata come collocata “al di là” della stessa. Questa foresta è fittissima, grande e buia e Pollicino con i fratelli sembrano simbolicamente essere rientrati nel grembo materno, trovandosi spersi e bagnati nel fango. La “lucina” che vedono, lontana ma certa, quasi metafisica, ricorda quella che vedrà Pinocchio inseguito dagli assassini. I sette bambini sembrano qui invece inseguiti dai lupi e dall’oscurità. L’Orco sembra Polifemo e si ciba di carne di montone quasi cruda come farà il Mangiafuoco di Pinocchio. Ricordi ancestrali di sacrifici umani, echi di tribalità primitive. Il parallelismo strutturale simmetrico ritorna con la chiusa della fiaba in quanto scompare improvvisamente dalla scena sia la moglie dell’Orco, che, seppur in quanto ingannata, è comunque latrice di ricchezza per Pollicino e la sua famiglia, che la madre di Pollicino, fattore in questo caso apparentemente del tutto anomalo. La fiaba finisce con un padre solitario e ricco e un Orco anch’esso dimenticato addormentato. Simul stabunt e simul cadunt.
Certo è che la chiarificazione di questa polarità si rivela essenziale per indagare il senso del racconto. Una fiaba che potrebbe anche celare sfumature alchemiche. Possibili indizi, a ragionare come Fulcanelli, li possiamo assumere nel triplice ricorrere del numero sette nei due gruppi di figli e negli stivali dalle “sette leghe”, nella possibile allusione di simbologia metallurgica degli stivali stessi, nella dialettica interna, anche cromatica, fra il primogenito Pierino, dai capelli fulvi come la madre, e l’ultimogenito Pollicino, gracile e minuto, nel segno della “roccia cava” dove si celano i sette figli, nel segno finale dell’oro liberato dalla moglie buona dell’Orco. La stessa figura sapiente, aerea e sfuggente di Pollicino, potrebbe rivelarsi un'allegoria ermetica. Per Pollicino potrebbe applicarsi lo stesso ragionamento che Giuseppe Sermonti fa rispetto all’Hans nell’analoga favola dei Grimm: una figura alchemica, simile a quella di Arlecchino e dell’"Uomo selvatico", allegoria del “mercurio” degli alchimisti.
La decapitazione delle sette orchettine potrebbe invece alludere alla purificazione e riunificazione degli spiriti dei sette metalli. Quando compare la possibilità di una lettura alchemica spesso è praticabile anche un confronto con il linguaggio e l’immaginario dei Vangeli (e viceversa). Abbiamo allora il segno vangelico del rapporto fra pietre e pane, proprio del tema cristiano della Quaresima e della vocazione dei figli di Abramo, e la dimensione dell’umida e scura foresta quale allegoria battesimale, quale figura iniziatica di morte e di rinascita. L’immagine degli uccelli che rubano il pane seminato da Pollicino ricorda pure un altro episodio vangelico, quello della parabola della Parola di Dio e del seminatore. La “pietruzza bianca” è infine segno escatologico e trasformativo presente nell’Apocalisse di Giovanni. Il clima generale del racconto è un clima “sacrificale” , in quanto parte dal tema della fame e della carne nella casa di Pollicino per poi passare al tema del “sacrificare” i sette figli, come se implicitamente l’“offerta alla foresta” dei bambini potesse propiziare una nuova ricchezza, e concludersi infine con la sostituzione sacrificale delle sette orchettine rispetto ai sette figli.
L’Orco inoltre ondeggia molto nel dubbio se ucciderli e imbandirli subito o accontentarsi del montone, assimilando così simbolicamente i sette bambini all’antico segno sacrificale del montone. Persino l’episodio finale parla di sacrificio quale offerta sostituiva in quanto Pollicino inganna la moglie dell’Orco facendogli credere che sia in pericolo di vita e che occorra offrire oro per aver in cambio la sua vita dai briganti che lo tengono in pugno. Anche la versione tedesca raccolta dai Grimm mostra un prevalente parallelismo strutturale, anche più semplice, in quanto la matrigna dei due bambini assomiglia molto alla strega della casetta commestibile. Quando ritornano a casa la madre è già morta. Una volta ho assistito al racconto di questa fiaba e un bambino di 5 anni spontaneamente ha detto ad alta voce: la strega è la matrigna! I bambini colgono subito le questioni formali e simboliche in quanto di tratta quasi sempre di strutturazioni logiche molto coerenti ed efficaci e i bambini sono ottimi logici!
Se passiamo ora ad analizzare La Bella e la Bestia, fiaba di Jean Marie le Prince de Beaumont (1711-1780), noteremo un’analoga importanza dei nessi strutturali. Chi è la protagonista assoluta della fiaba? La Rosa. Bella chiede una rosa al padre quale dono al suo ritorno dal mare in quanto le manca, non la trova nella sua campagna. Staccando un ramo di rose dal giardino del palazzo di Bestia si mette in moto tutto il meccanismo narrativo-sacrificale della fiaba. Il tema del “prendere il fiore” quale gesto fatale che scatena una conseguenza trasformativa trova una matrice antica nell’immagine di Kore che coglie uno straordinario narciso quale contesto dell’improvviso irrompere di Ade quale rapitore. Bestia assomiglia ad Ade quale figura quasi invisibile, impulsiva, rumorosa, sonora. Anneo Cornuto nel suo compendio teo-mitologico allegorizza Ade assimilandolo all’elemento dell’aria e non ha caso Ade ha come attributi l’aureo carro alato, i cavalli alati, i calzari alati e l’elmo dell’invisibilità, che impresterà poi a Perseo.
Anche in questa fiaba come in Pollicino appare importante l’immagine del grande bosco in cui si perde e l’incontro con un luogo “nuovo”, dotato di un proprio differente spazio/tempo, elemento presente con forza in tutto il ciclo bretone con il “Castello avventuroso” o “delle meraviglie” o del “Re pescatore”. A cosa possiamo associare la Rosa? All’anello. Per l’amore verso la rosa, che accomuna Bella e Bestia, Bella è ora ostaggio d’amore di Bestia, che continua a chiederle di sposarlo. Dopo la Rosa Bestia vuole anche l’Anello. Solo legando Bella Bestia può liberare se stesso. Per tornare nel mondo fatato di Bestia Bella deve togliersi l’anello quando va a dormire. Il tema è antichissimo: solo senza anelli si poteva partecipare a riti magici-iniziatici. L’assenza dell’anello scioglie il velo che separa i due mondi, ma, paradossalmente, è proprio il valore simbolico dell’anello a entrare in dialettica, nel sottotraccia narrativo, con il tema della rosa.
Qual è il vero tema della fiaba? Il tema cortese del rapporto fra fedeltà e amore, e, archetipicamente, il tema ancestrale della richiesta fedeltà fra chi semina e chi raccoglie. Chi raccoglie contrae un debito e deve dare un’offerta in cambio della propria libertà. Bella diventa la nuova Rosa del giardino di Bestia, giardino di cui Bestia stesso è spinosa radice. Bestia e Bella sono nell’essenza simili: entrambi sono solitari, incompresi, irrelati. Abitano luoghi che non appartengono loro. Altra complementarietà la troviamo nel rapporto implicito fra la rosa e il mare quale destinazione del viaggio paterno. La Rosa è stabile e fedele, mentre il mare è segno dell’ondivaga fortuna. Altra “immagine narrante”: Bestia agonizzante steso immobile sull’erba vicino a un ruscello. Sembra subire quella cristallizzazione che le sorelle malvagie subiranno quando saranno trasformate in statue, come Lot. Lo scambio fra anello e rosa ridà acqua, vita, a Bestia, rianimandolo e liberandolo dalla sua scorza morganica. L’analisi della struttura sulle narrazioni più antiche guida sempre con saggezza la mente verso il cuore del significato. Il resto è maschera di corte.