A volte, vicende apparentemente soltanto locali possono e debbono avere una risonanza ben più vasta. A volte, estenuanti dibattiti sul futuro di una città svaniscono nella riscoperta di un passato tanto recente nel tempo quanto remoto nella mentalità. A volte, una banale buca in una strada può disvelare le ultime tracce di un'età dell'oro colpevolmente obliata nell'asfalto.
È il caso di Genova, odierno confuso agglomerato restio a darsi una nuova identità, imbambolata com'è nella sua condizione di “ex”: ex-metropoli, ex-polo industriale, ex-capitale finanziaria, ex-Superba. Capita allora che in questa città un dibattito come quello sulla mobilità prenda, molto più che altrove, il gusto amaro del rimpianto. Rimpianto per una soluzione a tanti problemi di oggi, lunga tredici metri e larga poco più di due, diffusissima all'ombra della Lanterna fino a cinquant'anni fa e poi malamente accantonata: un tram chiamato “Genova”.
La serie “900” (o “littorina”, o appunto “Genova”), termine ultimo di fondamentali approfondimenti progettuali degli anni Trenta, è stato il riferimento di gran parte del disegno tranviario del Dopoguerra. Suo ideatore fu, nel 1939, l'ingegner Barbieri, direttore della società genovese UITE (Unione Italiana Tramvie Elettriche) dal '37, proveniente dall'azienda di trasporti di Bologna, per la quale aveva concepito, nel 1934, la vettura 200, sicura antesignana della littorina.
La UITE era un contesto aziendale di indubbio prestigio: fondata nel 1895 con capitali tedeschi, inizialmente era la diretta emanazione del fornitore di elettricità per Genova, la OEG (Officine Elettriche Genovesi), a sua volta fiduciaria della berlinese AEG. Passata in mani completamente italiane dal 1915, questa società per azioni a maggioranza municipale poteva vantare una rete estesissima, resa possibile sulle strette e tortuose strade della Superba grazie alla scelta dello scartamento metrico, e un consistente parco mezzi, progettato da validi tecnici come Remigio Castegini e assemblato nelle validissime officine aziendali.
Gli anni Trenta poi segnarono un passaggio fondamentale per il disegno industriale italiano in generale: il retaggio futurista ancora forte e il potenziamento dell'aviazione strenuamente voluto dal ministro Italo Balbo furono di grande stimolo per gli studi sull'aerodinamica, la cui applicazione sarebbe andata ben oltre il settore aeronautico. Nella “galleria del vento” del Politecnico di Torino, ad esempio, prendeva forma, nel 1934, l'elettrotreno “etr 200”, la cui testata a “muso di vipera” non aveva nulla da invidiare alle coeve sperimentazioni “streamline” americane.
Con Barbieri l'aerodinamica entrò nella progettazione tranviaria: nel caso della bolognese 200 l'approccio era ancora embrionale, ma già si attuava il passaggio da un profilo piatto e schiacciato a una sagoma “a cuneo”, grazie al disegno a trapezio rovesciato del parabrezza frontale. Cinque anni dopo, la vettura “Genova”, ulteriormente affinata grazie alla smussatura degli spigoli frontali, assurgeva, non senza il concorso attivo delle maestranze, a emblema del rinnovamento della UITE: un mezzo moderno, con cassa elettrosaldata autoportante (di nuovo la matrice aeronautica), apprezzato dal personale per la facilità di guida, e dall'utenza per il confort di marcia. In particolare si segnalava l'elevata capacità di accelerazione (2 m/s2), resa possibile dalla leggerezza del veicolo e dall'avviamento elettropneumatico. Non è esagerato affermare quindi che nel 1939, per le strade di Genova, si potesse vedere scorrere su rotaie il Futuro.
La UITE ne ordinò 100 esemplari, commissionati sia alle officine aziendali di Molassana, sia all'Ansaldo, sia alla Piaggio: il sapere di Barbieri divenne così patrimonio dell'IRI, che lo ripropose per le successive commesse per le aziende di trasporto di Firenze e Napoli. Contemporaneamente, le OMS (Officine Meccaniche Stanga) di Padova, già produttrici della bolognese “200”, imitavano la littorina per le nuove vetture per Roma e Trieste. Sei di quelle prime cento venivano poi cedute alla Breda, impegnata a fornire 15 mezzi a Belgrado. A loro modo, anche le requisizioni belliche naziste avrebbero contribuito alla diffusione europea di “Genova”.
Degno coronamento del successo della littorina sarebbe stata l'elaborazione, da parte della Breda, della serie 1100, versione articolata a due moduli, prodotta purtroppo in soli quattro esemplari. Se nel 1939 il tram a Genova rappresentava la modernità, sei anni dopo avrebbe simboleggiato la rinascita: le avanguardie della Quinta Armata americana, giunte a Nervi, periferia orientale, al tramonto del 27 aprile '45, trovarono i mezzi della UITE già tornati in regolare servizio. La rete tranviaria genovese, riparati i danni bellici e superate le ristrettezze del Dopoguerra, ritrovò la piena efficienza, facilitata dalla versatilità dei suoi veicoli, tutti bidirezionali, che facevano evitare complicate manovre ai capolinea e, grazie alle porte su entrambe le fiancate, consentivano lo sbarco sia a destra sia a sinistra, sia su una banchina laterale sia su un'isola a centro strada.
Tutti punti di forza che però non avrebbero salvato “Genova” e le altre vetture da un mesto, immeritato finale: la UITE infatti venne definitivamente affossata dai suoi ultimi dirigenti, di provenienza FIAT, i quali, guarda caso, attuarono a partire dal 1964 il totale smantellamento della rete tranviaria in favore del trasporto su gomma, sulla base di nebulose esigenze di ammodernamento del parco mezzi. Il 27 dicembre 1966, alle 4.25, con il rientro alla rimessa di Molassana della vettura 935 dal turno di notte, si chiudeva un'epoca. Un articolo del Secolo XIX stilato per l'occasione la dice lunga sull'assurdità della fine dei tram nella città della Lanterna. Si legge infatti: "Facile affermare che i tranvai sono superati, antieconomici, lenti e così via. In realtà il tranvai numero 935 ... è un mezzo che va ancora benissimo". "Questa sera - diceva un tranviere - sembrava di volare, tanto il tram andava bene". "Giustissimo. Entrati in servizio nel 1939 i 94 tram del tipo littorina (ma ormai ne erano rimasti in servizio una trentina, n.d.r.) vanno tuttora benissimo come nei giorni dell'esordio... Mezzi di trasporto ammortizzati, meccanicamente efficienti e sicuri: l'ideale per qualsiasi impresa... La vettura numero 935 sembrava ieri sera un salotto. E salotti erano le altre tre vetture che hanno camminato fino a sera... In via Canevari il tram si è fermato perché a una bimba vestita di rosso era scivolata di mano, mentre saliva a bordo, la borsettina, pure rossa. La vettura si è fermata, con le porte aperte, e il padre della piccola è sceso ed è risalito con la borsetta, complimentato con vivacità dal bigliettaio ... Difficilmente il prodigio potrà ripetersi tra gli scrolloni dei bus... Intanto, il primo autobus della linea 12 è pronto per effettuare la prima corsa, l'operazione rotaie è finita!".
Terminato questo “suicidio perfetto”, pochissime vetture scamparono alla fiamma ossidrica perché migrarono all'estero (due 1100 a Neuchatel), dove si dimostrarono così poco vetuste da operare per altri vent'anni. E a Genova, tutto perduto? Non ancora: una vettura 900, restaurata nel 1980 e lasciata in balìa delle intemperie nel deposito delle Gavette, sopravvive oggi in un'area più appartata in zona Campi, lontano dagli sguardi indiscreti di potenziali critici e dalla coscienza sporca di chi, lungi dal rimediare ai propri errori, pensa sia più furbo nasconderli. Periodicamente poi, sporadiche iniziative, perlopiù dal basso, tentano di promuovere il restauro dell'ultima littorina, e più in generale di rinfocolare il dibattito sul trasporto pubblico anche riproponendo l'ipotesi tranviaria, salvo essere puntualmente castrate dall'inerzia di istituzioni abilissime a celare la propria insipienza sotto la comoda maschera dei tagli di bilancio.
Su tutto infine aleggia mefitica la coltre di un viziaccio prettamente genovese: la prassi del “mugugno”, ovvero non una protesta variamente propositiva o quanto meno reattiva, ma una sterile, compiaciuta, onanistica lagnanza. Intanto “Genova” aspetta. E arrugginisce.