Per Leonardo, descrivere “tutte le forme della natura” con grande accuratezza e rappresentarle in magnifici disegni e dipinti non era sufficiente. Egli doveva andare più a fondo e capire la natura e le radici causali dei processi che sottostanno alle forme viventi e le plasmano continuamente. In verità, l’esplorazione di queste relazioni causali è una delle caratteristiche principali che distinguono la ricerca di Leonardo da quella di altri studiosi del Rinascimento e ce la fanno sembrare così moderna. Nella sua botanica questo significò, come detto in precedenza, collegare le discipline adesso note come morfologia e fisiologia delle piante.
Nei suoi studi sulla crescita delle piante, Leonardo si pose domande fondamentali su molti processi di base che oggi sono studiati dai fisiologi delle piante: come le piante acquisiscono l’energia e i nutritivi necessari alla loro crescita? Come crescono in risposta allo stimolo ambientale? Quali sono i percorsi del flusso nutritivo attraverso i tessuti delle piante? Come le piante regolano la loro crescita? Nella botanica moderna, queste domande trovano risposta nei linguaggi della biochimica e della biologia cellulare e molecolare, che includono concetti come fotosintesi, tropismo, percorsi metabolici e ormoni delle piante. Leonardo, naturalmente, non aveva accesso a questi livelli di spiegazione scientifica. Ma le sue meticolose osservazioni e la grande intuizione sulla natura delle forme organiche lo portò a molti intendimenti che sono incredibilmente vicini alla conoscenza botanica moderna.
Gli antichi credevano che le piante crescessero ingerendo letteralmente la terra per nutrirsi ed aumentare la massa. Leonardo, così come fece in tanti altri campi, esaminò gli insegnamenti tradizionali in modo critico; e per farlo li sottopose ad un piccolo esperimento. Dissotterrò le radici di una piccola pianta di zucca e la portò a maturazione fornendole solo acqua. Io provai … a lasciare solamente una minima radice a una zucca egli registrò nel Manoscritto G - e quella tenevo nutrita coll’acqua, e tale zucca condusse a perfezione tutti li frutti ch’ella poté poi generare, li quali furono circa 60 zucche di quelle lunghe. Da questo esperimento, Leonardo trasse la notevole conclusione che il sole dà spirito e vita alle piante, e la terra coll’umido le nutrisce.
Per apprezzare l’originalità di questa affermazione e il modo in cui Leonardo ci arrivò dobbiamo ricordare che all’inizio del sedicesimo secolo non si era mai sentito parlare di esperimenti botanici. Non fu che alla metà del diciassettesimo secolo che un esperimento simile a quello di Leonardo venne portato avanti. Negli anni quaranta del 1600 il medico belga Jan Baptista van Helmont piantò un piccolo salice in un vaso di terracotta a cui aggiunse solo acqua. Dopo cinque anni Helmont registrò che il peso dell’albero era cresciuto in modo sostanziale ma che la terra aveva perso solo pochi grammi. Egli concluse da questo che tutto il corpo aggiuntivo della pianta era stato prodotto dalla sola acqua.
Oggi sappiamo che le conclusioni di Helmont erano scorrette, dal momento che la maggior parte della massa prodotta nella crescita della pianta viene dall’aria. Le radici assorbono acqua e sali minerali dalla terra, e la linfa che ne risulta sale verso le foglie dove si combina con l’anidride carbonica (CO2) dell’aria per formare zuccheri e altri composti organici. In questo processo di fotosintesi l’energia solare è convertita in energia chimica e legata nelle sostanze organiche, mentre l’ossigeno è rilasciato nell’aria. La massa del corpo della pianta consiste in atomi pesanti di carbonio e ossigeno che le piante prendono direttamente dall’aria nella forma di CO2. Quindi, mentre molte persone ancora oggi tendono a credere che le piante crescano dal suolo, in realtà la maggior parte della massa della pianta viene dall’aria.
Sia Leonardo che Helmont vissero molto prima dell’avvento della chimica e quindi erano incapaci di riconoscere i complessi processi implicati nella fotosintesi. Comunque, come sottolinea Emboden, Leonardo si avvicinò di più alla nostra comprensione moderna “nel suggerire che il sole come pure l’umidità del terreno erano responsabili della massa del corpo della pianta”. Il ruolo critico della luce del sole nella fotosintesi fu scoperto dal fisiologo delle piante olandese Jan Ingehouz verso la fine del diciottesimo secolo e una piena comprensione della sua complessa biochimica non fu raggiunta fino al ventesimo secolo. Il Manoscritto G contiene un altro passaggio incredibilmente presciente dove Leonardo sembra intuire il ruolo dell’atmosfera nel processo di fotosintesi. Qualche pagina dopo la descrizione del suo esperimento botanico, egli nota: Sempre li rami più bassi, poi ch’elli hanno generato l’angolo della lor separazione del suo fusto, si piegano in basso per non si serrare addosso alli altri rami, che sopra lui succedono nel medesimo fusto, e per poter meglio pigliare l’aria che li nutrisce.
Questo passaggio è degno di nota non solo per il brillante (e corretto) suggerimento che le piante ricevono nutrimento dall’aria, ma anche perché è un esempio dell’osservazione di Leonardo del tropismo, la tendenza delle piante a indirizzarsi in risposta ad uno stimolo dell’ambiente. Oltre a notare il piegarsi dei rami in risposta alla gravità, noto oggi ai botanici come geotropismo, Leonardo osservò il fenomeno del fototropismo, l’indirizzarsi delle piante verso la luce. “Li stremi delle ramificazioni” egli nota nel Trattato della pittura , “se non sono superati dal peso de’ frutti, si voltano inverso il cielo quanto è più possibile”. Sia il fototropismo che il geotropismo furono riscoperti e studiati in dettaglio da Charles Darwin alla fine del diciottesimo secolo.
Per capire come le piante si orientano e crescono in certi modi, Leonardo si rivolse al fluire della linfa attraverso il tessuto delle piante, come aveva fatto per la spiegazione dello schema di ramificazione. Usò il termine “umore” per l’essenziale fluido vitale delle piante e credette che esso nutrisse i tessuti delle piante e regolasse anche la loro crescita. Oggi sappiamo che la linfa contiene zuccheri e ormoni e che effettivamente gli ultimi incidono su vari aspetti della crescita della pianta. Questi effetti dell’attività ormonale sulla crescita delle piante non furono compresi fino al ventesimo secolo. Il fatto che Leonardo descrivesse vari di questi in modo qualitativo all’inizio del sedicesimo secolo è veramente incredibile.
Nei suoi studi sugli alberi, Leonardo distingue correttamente tra lo strato morto esterno della corteccia dell’albero, noto anche come sughero, e la corteccia vivente interna, nota ai botanici come floema, ch’egli chiama molto appropriamente “la camicia che sta infra la scorza e il legno”. Egli riconobbe che la funzione di questo tessuto vascolare è il trasporto della linfa attraverso la pianta ed è quindi di importanza critica per il mantenimento in vita della pianta. “In tale scorza e camicia sta la vita della pianta”, egli notò nel Trattato. Comunque Leonardo non comprese che il trasporto di acqua e minerali ha luogo attraverso lo xilema (o legno) dentro al floema, anche se identificò la corteccia interna e il legno (il floema e lo xilema) come due tessuti distinti. Non si è conosciuto il sistema di trasporto dello xilema fino al tardo diciassettesimo secolo.
Un buon esempio delle precise osservazioni botaniche di Leonardo è la così detta crescita secondaria (l’aumento del diametro dell’albero) in cui le nuove cellule sono create nel floema e alcune di queste si differenziano in sughero, che diventa parte della corteccia mentre gli strati più esterni della stessa si separano per consentire l’espansione. La descrizione di Leonardo di questo processo piuttosto complesso è completamente accurata: L’acrescimento della grossezza delle piante è fatto dal sugo, il quale si genera nel mese d’aprile infra la camicia e il legno d’esso albero; e in quel tempo essa camicia si converte in iscorza, e la scorza acquista nove crepature nelle profondità de l’ordinarie crepature.
Nelle sue osservazioni sulla crescita secondaria, Leonardo notò anche che alcune delle cellule appena prodotte si differenziavano in legno, diventando prima morbido alburno e successivamente durame che dà forza al tronco. Egli scoprì non solo che questo processo generava la crescita annuale di anelli nella sezione trasversale dei rami e dei tronchi di un albero, e che l’età approssimativa di un albero tagliato può essere determinata contando quegli anelli, ma anche - ancora più incredibilmente - che l’ampiezza di un anello della crescita è un’indicazione del clima durante l’anno corrispondente. Li circuli delli rami delli alberi segati mostra il numero delli suoi anni”, egli registra nel Trattato della pittura, “e quali furono più umidi o più secchi, secondo la maggiore o minore loro grossezza.
In considerazione della sua accurata localizzazione del fluire della linfa nel floema, o “scorza interna”, non è sorprendente che Leonardo fosse pienamente conscio dell’effetto letale dell’“incisione circolare”, in cui un intero anello di corteccia è rimosso. “Se leverai un anello di pelle all’albero”, si registra nel Manoscritto B, “dall’anello in su si seccherà, e da indi in giù resterà vivo”. Come sottolinea Emboden questa affermazione dimostra che Leonardo comprese che la linfa si immagazzina nelle radici e nelle porzioni inferiori di un albero e l’incisione circolare, prevenendo ogni linfa immagazzinata dal fluire verso l’alto attraverso il floema, taglia fuori il nutrimento vitale dell’albero. In verità, l’immagazzinamento della linfa nelle radici è menzionato esplicitamente in una nota del Manoscritto G: Li pedali delli alberi hanno superfizie globulosa, la quale è causata dalle sua radici, le quali portano il nutrimento a esso albero.
Possiamo solo stupirci per il fatto che, molto prima della scoperta degli ormoni e l’avvento della biochimica, Leonardo fosse in grado di usare la sua incredibile capacità di osservazione e la sua grande intuizione per arrivare a una corretta comprensione qualitativa degli schemi della ramificazione, della crescita secondaria, degli anelli di crescita annuale, del fototropismo e della risposta degli alberi alle lesioni. Come un moderno fisiologo delle piante, egli spiegò questi fenomeni in termini di specifiche peculiarità nello scorrere del fluido vitale delle piante attraverso i loro tessuti vascolari. Le osservazioni altamente sofisticate di Leonardo delle complesse forme botaniche e la sua abilità nel comprenderle in termini dei processi sottostanti di metabolismo e sviluppo, lo pone molto al di sopra dei naturalisti del suo tempo. In riconoscimento di questo, il fisiologo e studioso leonardiano Filippo Bottazzi conclude il suo saggio ormai classico,Leonardo come fisiologo, con il seguente omaggio: In arte egli fu supremo tra i grandi; nelle scienze meccaniche, egli fu il primo e principale restauratore. Ma la storia della moderna biologia comincia con lui.
Infatti, Leonardo da Vinci può essere considerato non solo come il primo botanico moderno, ma anche come il primo ecologista. Nei suoi dipinti, egli rappresenta sempre piante nel loro habitat e la sua piena sintesi di arte e scienza era intrisa di consapevolezza ecologica. Egli non perseguì la scienza e l’ingegneria per dominare la natura, come Francis Bacon sosterrà un secolo più tardi. Al contrario egli ebbe un profondo rispetto per la vita tutta, una speciale compassione per gli animali e una grande soggezione e venerazione per la complessità e l’abbondanza della natura. Un brillante inventore e designer lui stesso, pensò sempre che l’ingegnosità della natura fosse superiore al disegno umano, e sentì che sarebbe stato saggio rispettare la natura e imparare da essa.
Questo modo di vedere la natura come modello e ispirazione è stato recuperato oggi, mezzo millennio dopo, nella pratica del design ecologico. Questo è basato su un assunto filosofico che non vede gli esseri umani separati dal resto del mondo vivente, ma profondamente inseriti nell’intera comunità della vita nella biosfera. Oggi, questo assunto filosofico è promosso dalla scuola di pensiero conosciuta come “ecologia profonda”, che vede il mondo vivente nel suo essere fondamentalmente connesso e interdipendente e riconosce il valore intrinseco di tutti gli esseri viventi. Sorprendentemente, i Taccuini di Leonardo contengono un’esplicita espressione di questa visione: Le virtù dell’erbe, pietre, et piante non sieno in essere perché li omini non l’abbino conosciute (…) Ma diremo esse erbe restarsi in sé nobili senza lo aiuto delle lingue o lettere umane.
Questa profonda consapevolezza ecologica, secondo me, è la ragione principale per cui la scienza delle qualità di Leonardo è immensamente rilevante per il nostro tempo.
Testo tratto da: La botanica di Leonardo: un discorso sulla scienza delle qualità, di F. Capra.
In collaborazione con www.abocamuseum.it