Tosca era losca? Non si sa, ma divertente è la rima e ambigua l’atmosfera che suggerisce. Floria Tosca lasciamola in pace e con lei Giacomo Puccini che, se vivo, sarebbe sfinito dopo quasi un anno di celebrazioni per il centenario dalla sua morte. Occupiamoci di una Tosca sconosciuta quella per la quale, negli anni Venti del Novecento, il “naso” Alfredo del Conte abbandonò Teresa e la loro figlioletta di due anni, e che gli ispirò il profumo Tosca.
“Io l’ho attualizzato e aggiunto la losca al nome” racconta Rossella Gatti, nipote di Alfredo, anche lei “naso” molto rinomato. Nati entrambi a Firenze, dove il Rinascimento non trascurò nemmeno l’eccellenza delle fragranze, quindi eredi di una tradizione notevole.
Rossella, arguta e controcorrente, dal nonno ha preso la capacità di creare profumi. Una questione di genetica perché l’avrà visto in tutto una decina di volte, quand’era bambina. Generosa ed empatica, s’irrigidisce con i maleducati e gli scemi (“non capenti” scrisse Felice Andreasi oltre un quarantennio fa, cogliendo in anticipo che il doveroso politically correct aveva anche aspetti ridicoli). Tanto i maleducati e gli scemi non se ne accorgono.
Alfredo del Conte?
Il nonno era un essenziere. Aveva una bottega a Parigi dove preparava essenze, profumi e faceva alchimie varie. Un personaggio molto eclettico, folle, forse proprio un artista; mia nonna, vedova, con una figlia di 21 anni, Gina, lo conobbe per caso.
A un certo punto una cugina doveva fare una festa di fidanzamento a Firenze con un ragazzo che arrivava da Parigi, un tipo strano, un po’ al limite. Mia nonna offrì la sua casa perché era spaziosa, adatta. Quando lui arrivò e vide la mia nonna, di ventidue anni più grande di lui, scoccò la scintilla e decisero di fuggire insieme. La cugina rimase senza fidanzato, poveraccia.
Andarono in Liguria dove nacque la mia mamma, ad Alassio, e lì il nonno ricreò una sorta di bottega, ma non ho mai capito bene. Queste informazioni le ho sapute di straforo: quando mia madre aveva due anni lui scappò, con una donna che si chiamava Tosca, appunto. Il francese, la mia mamma non ce l’ha fatto studiare, tanto voleva dimenticare il padre “parigino”. In casa non si potevano nemmeno guardare i film d’Oltralpe.
Et puis?
Il nonno rientrò a Parigi. La nonna, che era una donna forte, una “carabiniera”, bella bella, tornò a Firenze, senza soldi. Si parla degli anni Venti e l’avevano tutti condannata. C’era stata una flagellazione di questa donna che aveva fatto una scelta d’amore. Discutibile, ma d’amore. Si rimise a lavorare e crebbe la sua figliola come una regina. Zia Gina, la sorellastra della mia mamma, faceva cappelli e ogni tanto andava a Parigi, aveva mantenuto un po’ di rapporti con il nonno (e perfino con la cugina arrabbiata). Io l’adoravo e la tormentavo perché mi portasse in Francia a conoscere questo nonno di cui sentivo parlare, ma senza chiarezza. Ha presente una di quelle faccende di famiglia avvolte nel segreto? Un giorno m’ha portata a Parigi e me l’ha fatto incontrare.
Quanti anni aveva?
Ero piccina, avrò avuto otto anni, lui era già grande, doveva essere nato alla fine dell’Ottocento. Siamo andate a bottega con la zia e io mi sono innamorata di quest’uomo perché era splendido. Fantastico. All’inizio ha provato una specie di fastidio, lo riportavo a un passato da dimenticare. Poi, alle successive visite, si è sciolto anche perché io son sempre stata fissata con gli odori.
Prima di sapere di lui?
Sì! Non potevo fare a meno di odorare. I bambini si mettono in bocca tutto, io annusavo. Una specie di mania. Odoravo anche i posti e ogni tanto dicevo: “In questa casa c’è puzzo”, e giù botte perché avrei dovuto stare zitta.
Quando sono arrivata dal nonno mi si è aperto un mondo e volevo sapere tutto, capire tutto. Lui ci ha preso gusto e mi faceva odorare gli oli essenziali: lavanda, neroli, sandalo. Poi mischiava le carte e mi interrogava, se sbagliavo mi dava uno schiaffetto sulla testa.
Ho una passione: infatti i soldi l’ho sempre spesi in profumi. Per la mia prima comunione mi sono fatta regalare Imprévu di Coty e ho riempito la chiesa di profumo, avevo le bolle da quanto me n’ero spruzzata. Non immagino una vita senza profumo: per me è più importante di un vestito, di un trucco, di tutto. È fondamentale.
Quando si è accorta di poter creare profumi?
Ci ho messo tanto, sono piena di dubbi.
Il primo approccio è stato con l’aromaterapia, ho studiato a lungo e profondamente, ho seguito dozzine di corsi, per entrare nell’anima della pianta, del fiore. Ho avuto, fra gli altri, un maestro eccelso, che non era famoso e si chiamava Giuseppe. Il cognome? È tanto che ci penso, ma non me lo ricordo più. Sperimentavo da sola, mischiavo gli oli.
Conoscevo bene Lorenzo Villoresi (celeberrimo profumiere fiorentino n.d.r.) e quando lui decise di fare sul serio mi son detta: perché io non posso provare? Non ho viaggiato come lui, non ho conosciuto tante cose come lui, non ho studiato come lui, però… lo volevo. E da lì è iniziata la sperimentazione vera, avevo già 40, 45 anni. Ho cominciato a fare profumi personalizzati per qualcuno e per aziende che me lo chiedevano, rimanendo sempre nell’ombra. L’idea era di creare una linea mia, ma non avevo soldi e, soprattutto, c’era ancora la mia mamma.
E le avrebbe ricordato il padre che aveva voluto cancellare.
Non mi sembrava proprio giusto. Quando non c’è stata più mi sono sentita libera di scegliere la strada. Oltretutto ho un libretto del mio nonno perché quando si è trattato di dividere i beni mi sono presa la sua collezione di profumi, le formule e un mobile. La casa l’ho lasciata alle mie sorelle.
Avevo tante remore, naturalmente non mi sentivo all’altezza. Sono partita con due formule del nonno Tosca la losca e Non lo so che, in origine, si chiamavano Tosca e 89, dal numero degli ingredienti presenti. Poi ho trovato in una scansia una sua boccetta di balsamo del Perù, ormai diventato sasso, tanto che ho dovuto rompere il vetro. L’ho grattato, distillato e ho prodotto un’edizione limitata.
Circa dieci anni fa, avevo anche fatto macerare alcuni profumi sotto terra, in giardino. Con la pioggia, il sole estremo viene fuori qualcosa di unico, bellissimo.
La nascita di un profumo?
Il profumo nasce nella testa. Io ho un odore in mente, fatto e finito. Il lavoro è farlo andare nella bottiglia e delle volte non ci riesco. Altre volte, sì. In un caso, per esempio, non riuscivo a trovare l’ingrediente che mi dava l’odore che sentivo con la mente poi, a un certo punto mi sono resa conto, mangiandolo, che era odore di sesamo. Mi sono incaponita: l’ho tostato, tritato, distillato, filtrato, e il profumo è arrivato: L’ossido. Volevo ricreare l’odore della ruggine perché la ruggine ha la valenza meravigliosa di essere una polvere, ma una polvere prepotente che sgretola il ferro.
Io non ho neanche tutte le possibilità che hanno i grandi “nasi”, quindi è ancora più difficile. Se sei piccolo non puoi comprare grosse quantità di materie prime perché hanno dei costi proibitivi. In qualche caso qualcuno di grande mi ha aiutato e abbiamo comprato insieme, ma da sola non ho accesso.
Il profumo oltre la vanità?
Intanto il profumo ti porta da un’altra parte. Diceva uno bravo che è memoria liquida. La vanità, comunque, conta.
Chi è questo bravo?
Shakespeare. Quando senti un profumo ti può riportare in una sensazione, in una situazione, in un luogo. Belli o brutti che siano.
Ed è un altro modo di essere: te col profumo, te senza profumo non sei uguale. Ti dà qualcosa che non saprei definire, secondo me anche necessario in certi casi. Curativo. L’olfatto fa parte del sistema nervoso, e il profumo va direttamente all’ipotalamo. Quindi ti fa crescere. Se usi un profumo per un periodo non è che cambi, ma trasformi leggermente degli aspetti. Tanto è vero che alcune persone smettono di usare un profumo perché appartiene a una fase già passata del loro percorso.
Ho una capacità, per lungo tempo non ci ho creduto, ma ora ne sono consapevole: so il profumo che va bene per qualcuno. In effetti, gli altri lo sapevano già: quand’ero ragazzina mandavano me a comprarlo.
Lei incontra una persona e capisce quale profumo è giusto? Senza occuparsi del ph della pelle?
Sì, ed è il primo che mi viene in mente, anzi in pancia. Il ph è, come dire, incluso in quel che sento. Un’americana si era fissata e voleva sapere come funziona. Non lo so spiegare. È inafferrabile. Non accade sempre, ma solo in momenti particolari. E, per rispetto, spesso non lo dico nemmeno.
Magari uno si crede gelsomino e lei percepisce che è vetiver?
Oppure intuisco che gli ci vuole l’arancio, per tanti motivi. Lo tengo per me e parlo solo se vedo che c’è un’apertura. E, allora, è un successo. Sono momenti di grazia.
I momenti di “disgrazia”?
Un giorno sono andata a una riunione di intelligentoni, di quelli che possiedono la verità, poi sono tornata a casa e mi sono detta: non voglio più saperne di profumi. Ero triste, arrabbiata. Mi sono messa in giardino su una seggiolina di ferro, con un plaid. Mi sono addormentata e ho sognato un gorilla che veniva avanti da una specie di foresta dicendomi: “No, non devi smettere, devi continuare. Beviamoci un caffè”. Ha fatto un focherello, ha messo una tazza di smalto sul fuoco e ci siamo bevuti questo caffè stupendo, mai assaggiato nella vita. Al risveglio ero rattrappita, dolorante, rotta. E ho cominciato a lavorare sul profumo, ma non sapevo dove andare, non era un’idea mia, ma del gorilla. Ci ho messo il geosmin che si trae dalla barbabietola e riproduce l’odore della terra, il caffè, ovviamente, una nota animalica (senza animale n.d.r.), un po’ di cioccolata perché l’avvenimento era abbastanza dolce e ho creato Falò.
Che storia!
Non è piaciuto a nessuno (ride). Proprio a nessuno.
A lei piaceva?
A me tanto.
Con il predominio della vita virtuale c’è una differenza nella scelta del profumo?
Assolutamente. Ora il 99,9 per cento delle persone esordisce: “Vorrei un profumo e l’unica cosa che mi interessa è che si senta e che si senta tanto”. E non sono solo i giovani tatuati e pieni di piercing. Una signora m’ha detto: “Voglio un profumo che quando entro in una stanza mi si senta anche se è piena di gente e che rimanga un quarto d’ora dopo che me ne sono andata.
Un tempo sarebbe stato uno spauracchio essere la tipica tizia che lasciava la scia.
Giustamente: era, ed è volgarissimo. Il profumo dovrebbe essere qualcosa che senti quando ti avvicini. Alcuni uomini indossavano la violetta, con cautela, e stavano benissimo, avevano un tocco di eleganza sofisticata, mi vien da dire umana. Ora vogliono autentiche bombe, danno retta agli influencer che pubblicizzano determinati profumi. La tendenza è: io sono io e mi si deve sentire. Però i profumi sono tutti uguali. Anche i ragazzini di dieci anni, li chiedono. C’è speranza? Boh, secondo me no.
Un egocentrismo omologato. Ben venga, allora, l’egocentrismo di una diva?
Certo, la diva ha costruito, si è impegnata. Inoltre i divi sono dei miti a cui può fare riferimento.
C’è qualcuno che aleggia nel suo laboratorio?
Audrey. Amava i profumi e glieli ha fatti tutti Hubert de Givenchy. Solo dopo sono stati messi in commercio.
Le conquiste del movimento LGBT hanno cambiato il panorama delle fragranze?
Non ci sono più confini. Prima una donna poteva indossare un profumo maschile e viceversa per una scelta di stile e di libertà adesso le aziende fanno profumi trasversali. Temo proprio ci stiano marciando…