I sogni che si sono annidati in un’anima continuano a vivere... nelle opere di colui che sa sognare.
(Gaston Bachelard)
E questo vale anche per alcuni gioielli artistici dove la forza creatrice e la vitalità magica che anima lo spirito di chi li realizza passa nelle opere stesse rendendole creature di luce. Degli “oggetti capaci di tutto”, come quelli che s’incontrano nelle fiabe romantiche di Novalis e Clemens Brentano: degli oggetti capaci di trasmettere “l’incanto” a chiunque li guardi soltanto. Come spesso accade agli artisti, e che l’opera realizzata sia un quadro o un gioiello ben poco importa, essi possiedono quella capacità innata di saper dar forma alla vibrazione degli esseri e delle cose, di espandere la vitalità stessa della vita, di avvicinare le cose agli uomini. Come se attraverso le loro creazioni esprimessero un potere taumaturgico sulla realtà stessa.
Così passando ai gioielli, troviamo il calcedonio nelle sue molteplici sfumature, e l’ossidiana così misteriosa che Roger Caillois scriverà che con essa si fanno degli specchi che riflettono l’ombra più che l’immagine degli esseri e delle cose; e il corniolo e il diaspro che sembrano custodire l’essenza stessa della terra, l’ametista che, come scrive Ovidio nelle Metamorfosi, conserva cuore e mente sempre uniti. E così tutte queste pietre sembrano rivivere sul corpo, sulla pelle di chi le indossa, respirando il mito stesso che le ha generate. Ed ecco il cristallo, che fu ninfa trasformata da Artemide in gioiello per salvarla dalla lussuria di Dioniso, il turchese, la più delicata tra le pietre dure, che Plinio riteneva potesse essere intaccata persino dal vizio.
L’ematite nera e le perle bianche incastonate in filigrane sottilissime d'oro e d'argento ora escono trasformate dalle mani di Annina, come il “lapis” dall'“athanor” dell’alchimista, dal crogiolo dove materia e metalli trasmutano in sostanza preziosa. E' una sorta di sensibilità alchemica quella che serve per creare opere che ci portano sulla stessa linea del cielo e della terra, per realizzare, restando dentro la fiaba come metafora, uno di quegli oggetti che sono tramiti fra noi e un altrove ineffabile.
Perché se è vero che, come diceva Walter Benjamin, l’originale di un’opera, a differenza delle sua copia, si riconosce dal fatto che possiede l’aura (intesa come l’“apparizione unica di una lontananza per quanto possa essere vicina”) allora spetta a noi, specie in tempi di “oscuramento” come questi, riconoscere e sentire quando un oggetto possiede l’aura o meno, una sua luminosità intrinseca, perché mai come oggi c’è così bisogno di riscoprire, e tornare a sentire la bellezza delle cose e del mondo.
Per maggiori informazioni: Annina 28 www.annina28.it